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I L CONSOLIDAMENTO DELLA NUOVA TEATROLOGIA U N PASSAGGIO FRA ASSESTAMENTO E SPERIMENTAZIONE

2. S VILUPPO DELLA NUOVA TEATROLOGIA

2.1.0 I L CONSOLIDAMENTO DELLA NUOVA TEATROLOGIA U N PASSAGGIO FRA ASSESTAMENTO E SPERIMENTAZIONE

La nuova teatrologia italiana, fra anni Settanta e Ottanta, continua a svilupparsi secondo le linee che abbiamo fin qui individuato; in questo senso, si può dire che essa sia protagonista di una fase di consolidamento e assestamento, rispetto al processo di definizione epistemologica e accademica avviato durante la sua rifondazione fra anni Sessanta e Settanta.

Questo, è vero, se si vanno a considerare gli accadimenti e le vicende che segnano la storia della disciplina a questa altezza: si assiste al consolidamento di quelli che abbiamo in precedenza definito “focolai di attenzione teatrale”, insieme a una proliferazione di nuovi centri e strutture di ricerca in tutto il Paese; le figure che abbiamo osservato come protagoniste della fase di rifondazione della disciplina vedono incardinarsi e strutturarsi i propri ruoli e i propri insegnamenti all'interno dell'università italiana; intanto, si procede naturalmente alla formazione di nuovi allievi, i primi specificamente in ambito strettamente storico-teatrale e teatrologico. Parallelamente, al di là degli accadimenti prettamente accademici, si osservano anche in altri contesti sintomi che vanno in questa direzione: a partire dalla fine degli anni Settanta, da un lato, c'è un percorso di progressivo ampliamento degli strumenti divulgativi e dei territori di discussione che corrisponde alla graduale apertura del campo della pubblicistica periodica del settore; dall'altro lato, nei primi Ottanta, si assiste all'inaugurazione del filone scientifico delle storie del teatro cosiddette generali, processo di evidente assestamento del sapere teatrologico che si svilupperà lungo tutto il decennio, naturalmente anche in relazione a quello, come abbiamo visto, della diffusione degli insegnamenti e dei centri di ricerca.

L'ipotesi del consolidamento, fra anni Settanta e Ottanta, ricorre anche se si osservano le vicende della nuova teatrologia sullo sfondo degli accadimenti che investono, negli stessi anni, la cultura umanistica italiana in generale. È facile immaginare come possa prevalere il senso di assestamento e stabilizzazione, se riprendiamo l'ipotesi che abbiamo introdotto in precedenza riguardo l'“anomalia” italiana e, con essa, quella di una penetrazione “debole” del postmoderno nel nostro Paese, fenomeno che si verifica proprio nel periodo che ci apprestiamo ad esaminare. Con questo, non si vuole implicare un minor impatto della teoria post-strutturalista sulla cultura italiana di quegli anni, ma, ancora una volta, semplicemente evidenziarne le modalità peculiari, che, con Cesare Segre, abbiamo definito nel segno di un assorbimento pragmatico e applicativo, più che ideologizzato e mediatizzato. Valutare l'ipotesi di una introduzione “debole” della logica postmoderna in Italia è utile per spiegare alcune – appunto – anomalie anche teatrologiche che si manifestano in questa fase: ad esempio, la mancanza di un dibattito specifico ed esplicito a riguardo (segno distintivo del fenomeno in altri Paesi); ma può essere anche una prospettiva particolarmente produttiva per affrontare problemi meno contingenziali ed evenemenziali, a partire dal senso stesso dell'idea di consolidamento. Di conseguenza, la fase fra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, in Italia, con il suo post-strutturalismo “anomalo”, si andrebbe a riconfermare più nei termini di un

momento di assestamento e verifica, che – come invece accade altrove, ad esempio in Francia e nel mondo anglosassone – come un nodo di trasformazione e rottura.

Che quella fra anni Settanta e Ottanta si possa considerare principalmente una fase di consolidamento della nuova teatrologia, infine, è una prospettiva legittimata anche dalle ipotesi che abbiamo voluto formulare in precedenza rispetto alle dinamiche di trasformazione del paradigma disciplinare: se riconosciamo alla fase della rifondazione, fra anni Sessanta e Settanta, la pertinenza rispetto a un doppio slittamento di paradigma, che abbiamo voluto considerare nel contesto di un unico continuum di ridefinizione epistemologica, la fase successiva sembra situarsi nei termini di una verifica e di un consolidamento delle acquisizioni teorico-metodologiche precedenti. Da questa prospettiva, non è lecito parlare, per la fase teatrologica della fine degli anni Settanta e dei primi Ottanta, di un vero e proprio slittamento di paradigma. In effetti, fra anni Settanta e Ottanta, non si danno, in campo teatrologico, esperienze di altrettanto profondo rinnovamento epistemologico, di messa in crisi e in discussione delle impostazioni teoriche, di imprese pionieristiche di riperimetrazione del campo di studio o, comunque, si tratta di episodi specifici, non inseriti in un progetto condiviso organico ed esplicito. Piuttosto, sembra che in questa fase quelle istanze che si erano proposte alla base del processo di rifondazione della disciplina vengano esplorate nella loro validità, portate a maturazione e a compimento, in qualche caso condotte anche alle estreme conseguenze delle loro implicazioni teoriche.

Un esempio si potrebbe rinvenire rispetto al processo di progressiva dilatazione dell'oggetto- spettacolo e alle prime ipotesi sulle qualità di matrice socio-antropologica dell'oggetto-teatro che, lungo gli anni Settanta, vengono verificate nei fatti, conducendo, fra l'altro, alla definizione della nozione fondante di “cultura materiale” del teatro; un altro caso, in questo senso, è la piega assunta dal piano dei rapporti extra-disciplinari, che abbiamo visto manifestarsi già nei primi anni della nuova teatrologia in termini di riferimenti sostanziali, nel loro insieme, all'avanzamento degli studi, e che, qui, sono oggetto di un profondo percorso di esplorazione interno alle loro potenzialità e di momenti applicativi capaci di ridefinirne le modalità di contributo – in senso pluridisciplinare e sperimentale – al campo degli studi teatrali.

Tuttavia, in questa fase, cruciale tanto per le arti della scena che per la storia culturale e politico- sociale, quegli elementi che abbiamo visto emergere, definirsi e agire all'interno della cornice epistemologica della neonata teatrologia si trovano su terreni di discussione di primaria rilevanza che, pure operando su piani non inediti rispetto alla tradizione degli studi, assumono profili e forme piuttosto originali; vanno, cioè, a precisare – e, in qualche caso, a ridefinire – le proposte e le idee che, soltanto qualche anno prima, avevano segnato gli sviluppi della disciplina nel momento della sua rifondazione. All'interno del passaggio in oggetto, collocato fra la seconda metà degli anni Settanta e la prima del decennio successivo, si osservano processi di mutamento e riassetto che è importante portare ad emergere sia per arrivare a tentare di rintracciare quelli che si possono considerare i lineamenti della teatrologia italiana post-novecentesca, ma anche per fare chiarezza rispetto a un nodo storico cruciale – molto spesso rimosso – della vita almeno culturale del Paese. È qui che, ad esempio, vengono anche avanzate delle proposte “eretiche”, per usare una formula efficace con cui Franco Ruffini descrive le maggiori acquisizioni teoriche del periodo, dagli studi sulla pedagogia di Fabrizio Cruciani all'adozione di una prospettiva processuale che determina l'osservazione anche del processo creativo-produttivo del fatto teatrale261 – tutte idee, queste e altre

di uguale intensità, che vengono in effetti inaugurate nel decennio che ci apprestiamo ad osservare. Qualcosa di simile si può dire anche per gli altri fenomeni che abbiamo appena introdotto a certificare la legittimità dell'inquadramento del passaggio fra anni Settanta e Ottanta nei termini di un processo di consolidamento. Prendiamo ad esempio l'avvento del pensiero postmoderno: è vero che nelle letture coeve non si danno consistenti indicazioni in proposito, almeno non a livello esplicito, così da poterne definire l'introduzione in senso “debole”; ma il lavorio teorico del disegno

post-strutturalista produce comunque i suoi frutti nella cultura (anche teatrologica) del nostro Paese. Sono spostamenti – come vedremo – epocali, sia sulla scena che negli studi; e sono slittamenti di prospettiva – seppure inizialmente minimi o poco percepibili o, ancora, considerabili anche in termini di continuità rispetto a posizioni precedenti – che contribuiscono non poco a rielaborare il profilo della disciplina. Quello fra anni Settanta e Ottanta, è un passaggio per cui, dunque, non si può parlare propriamente di uno slittamento o di un mutamento del paradigma disciplinare, quanto piuttosto, più correttamente, di un momento di consolidamento e maturazione; che, però, si pone come territorio di sperimentazione teatrologico di primaria rilevanza, non solo perché permette di comprendere il senso e il valore di alcune proposte teoriche avanzate in precedenza, ma anche e soprattutto in quanto è in questa fase – attraverso quel processo di verifica che le porta alle loro estreme conseguenze – che si pongono le basi e le premesse epistemologiche per gli sviluppi post- novecenteschi degli studi teatrali.

2.1.1 FRARIMOZIONEESOVRA-LETTURA. UNTENTATIVODIRECUPERODEI “FAMIGERATI” ANNI OTTANTA

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