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I SECONDI ANNI S ETTANTA I L PROCESSO DI CONSOLIDAMENTO SULLO SFONDO DI UN ' ATTENZIONE TEATRALE SENZA PRECEDENT

2. S VILUPPO DELLA NUOVA TEATROLOGIA

2.2 CRONACHE: IL CONSOLIDAMENTO DELLA DISCIPLINA

2.2.1 I SECONDI ANNI S ETTANTA I L PROCESSO DI CONSOLIDAMENTO SULLO SFONDO DI UN ' ATTENZIONE TEATRALE SENZA PRECEDENT

Abbiamo proposto di osservare il processo di consolidamento della disciplina all'interno dell'università italiana attraverso due ordini di fenomeni differenti e successivi – la diffusione dei centri di attività teatrologica prima, l'affinamento dei suoi strumenti poi. Procediamo ora a considerare la prima serie di fatti, che si manifesta ancora negli anni Settanta. Oltre il polo romano, che abbiamo visto già vivacemente attivo in precedenza – e che rimane saldo anche a questa altezza cronologica, seppure in modo diverso –, si attivano centri e aree di ricerca in tutta Italia, al nord come al sud, tanto nelle città-chiave dell'attività culturale del Paese che in centri più periferici. La mappatura è, dunque, piuttosto vivace, in via di complicazione sempre crescente. A metà degli anni Settanta, oltre il proseguimento delle attività presso l'ateneo romano, con Ferruccio Marotti, come si è visto, si sviluppano a Bologna le attività del primo corso di laurea specificamente dedicato, fra le altre cose, alle discipline dello spettacolo: al Dams si trovano a lavorare insieme, lungo questo decennio, numerosi fra i nuovi studiosi di storia del teatro, dallo stesso Marotti a Fabrizio Cruciani, Franco Ruffini e Claudio Meldolesi – che abbiamo visto attivi, in precedenza, in area romana – ad altri giovani studiosi che collaboravano al locale Istituto di Musica e Teatro, come Marco De Marinis (che si è formato con Benedetto Marzullo, ideatore e fondatore del Dams), fianco a fianco con le avanguardie sia della scena (fra cui Giuliano Scabia e Luigi Squarzina) che delle rinnovate o nuove scienze umane (Umberto Eco, Omar Calabrese, Tomas Maldonádo, Luciano Anceschi), che avranno un ruolo non secondario nello sviluppo degli studi teatrali. Parallelamente, anche gli altri

291 Senza scendere per il momento nel dettaglio dei singoli contributi, visto che la rivista si presenta con un taglio

monografico, si ricordano almeno i numeri dedicati a Teatro e attore nel novembre del 1978 (I, 2), a Gruppi e spazi

teatrali l'anno dopo (II, 3, febbraio 1979), nel 1982 all'Animazione teatrale e ai Discorsi teatrali tra teoria e pratica

(V, 15, febbraio, e 18, novembre), nel 1984 alla Trasmissione dell'esperienza in teatro e al Teatro americano in

Italia (VII, 23, febbraio, e 26, novembre), più tardi a Julian Beck (IX, 33, agosto 1986); in ogni caso tenendo conto

che le pressioni e le urgenze manifestate dalla scena coeva trovano diffusamente spazio sulle pagine di «Quaderni di Teatro» anche al di là della scelta tematica del singolo numero, sia nei diversi contributi che nella sezione conclusiva, dedicata di volta in volta ad ospitare interventi di natura diversa rispetto all'orientamento monografico.

292 Anche qui non si ritiene opportuno scendere nel dettaglio dei testi pubblicati dalla rivista (alcuni dei quali saranno

ripresi nello scorrere del capitolo), sia per la consistenza della pubblicazione (prima bimestrale e poi mensile dal 1980), ma soprattutto per la sua natura e il suo taglio, attraverso cui si definisce specificamente come periodico che si occupa d'attualità (non solo) teatrale, pure accogliendo in numerosi casi contributi di più ampio respiro, comunque inquadrati in quasi tutti i casi a questioni legate alla scena coeva.

293 In particolare, «Il Patalogo», oltre a raccogliere il catalogo annuale della produzione teatrale, si distingue per

l'individuazione, di volta in volta, di campi problematici ampi e di grande attualità, su cui sono chiamati a intervenire artisti, critici e studiosi, dando vita a un consistente spazio di discussione all'interno della pubblicazione, che a posteriori fra l'altro si rivela indispensabile sia per cogliere alcuni temi-chiave del teatro dagli anni Ottanta in poi, che per conoscere in parte le modalità in cui si andava svolgendo il dibattito coevo.

“focolai” di attenzione teatrale procedono a strutturarsi: a Torino, dopo la breve ma cruciale presenza di Ludovico Zorzi fra il '68 e il '72, lavorano Roberto Alonge e Roberto Tessari; a Padova, Umberto Artioli; a Milano, presso il magistero inaugurato da Mario Apollonio, ci sono prima Sisto Dalla Palma e, poi, Annamaria Cascetta e Claudio Bernardi. Anche in Toscana, quegli stessi primi centri di lavoro teatrologico si sviluppano: lo stesso Zorzi arriva a Firenze, per poi restarvi – lì, in questi anni, ci sono giovani studiosi di impronta storico-filologica, ma attivi anche sul piano della critica come Siro Ferrone (allievo di Lanfranco Caretti) e Sara Mamone (che si è formata con D'Arco Silvio Avalle) –, mentre l'Istituto creato da Carlo Ludovico Ragghianti a Pisa continua a lavorare fra arti figurative e dello spettacolo. Ma, come si diceva, oltre al consolidamento dei precedenti nuclei di attività teatrologica, si nota anche l'attivazione di nuovi centri: a metà del decennio, Cesare Molinari insegna a Parma (fino alla fine degli anni Settanta, quando si trasferirà definitivamente a Firenze); a Lecce, Ferdinando Taviani e Alessandro d'Amico, poi Nicola Savarese. Questi, grossomodo, gli itinerari accademici della neonata teatrologia che si possono selezionare, a grandi linee, fra anni Settanta e Ottanta, anche alla luce degli accadimenti successivi, come punti originari di ambienti e centri di ricerca che si riveleranno determinanti per gli sviluppi della disciplina, dunque senza contare la vivace proliferazione di insegnamenti – che però è doveroso segnalare – lungo tutta la penisola: fra gli altri, a Cagliari, con Mario Baratto (dove arriverà anche Gigi Livio), a Napoli, con Claudio Vicentini, a Genova con Vito Pandolfi e a Pescara con Claudio Meldolesi.294

Per completare il quadro, accenniamo anche ad elementi che appartengono invece al secondo ordine di fenomeni, quello dell'affinamento degli strumenti della nuova teatrologia, che abbiamo detto si pone più distintivo degli anni Ottanta (e verrà infatti debitamente analizzato più avanti). Ma il progressivo irrobustimento di incarichi e insegnamenti, con l'incardinamento dei ruoli in cui sono attivi gli studiosi di teatro, e l'avvio di numerosi progetti di ricerca di interesse nazionale, è già attivo alla fine degli anni Settanta e viene qui utile evocarlo in quanto è il contesto presso cui, proprio in questo momento, lavorano le nuove leve della disciplina, le prime, in effetti, specificamente e strettamente formate in ambito teatrale: presso il Dams di Bologna si formano, negli anni Settanta, Eugenia Casini-Ropa, Daniele Seragnoli, Gerardo Guccini, dove lavorano anche Paola Bignami e Giovanni Azzaroni; negli ambienti della “scuola romana”, negli stessi anni, studiano Luciano Mariti, Roberto Ciancarelli, Silvia Carandini, Gioia Ottaviani e Antonella Ottai; parallelamente, a Firenze, Ludovico Zorzi è impegnato nella strutturazione di lavori d'équipe, all'interno di cui lavorano giovani studenti e studiosi, come Marzia Pieri, Anna Maria Testaverde, Lia Lapini, Paola Ventrone, ma anche Sara Mamone e Maria Ines Aliverti, che ha studiato fra l'Istituto ragghiantiano di Pisa e il magistero di Julia Kristeva a Parigi. Anche se il loro lavoro sarà preso in considerazione più avanti, quando si manifesterà compiutamente agli orizzonti degli studi, è importante collocarne anche il periodo formativo nel quadro della prima parte del processo di consolidamento della disciplina e, dunque, all'interno dei tratti operativi che stiamo prendendo in esame.

La diffusione degli insegnamenti e delle strutture di ricerca teatrali, negli anni Settanta, si può anche leggere in relazione al fenomeno che – negli stessi anni – vede il teatro protagonista di un'attenzione eccezionale, trasversale in senso geografico, generazionale, disciplinare; tanto da rivendicare un ruolo primario, prima nei processi collettivi di strutturazione dell'identità e di definizione dei rapporti interpersonali, poi come strumento di analisi ed espressione individuale; tanto, appunto, da invocare una radicale ridefinizione del proprio ruolo all'interno della società. Per raccontare il campo che va sotto il nome di teatro di base e, poi, di teatro di gruppo, ci avvaleremo ancora una volta dello sguardo messo in opera dagli studiosi stessi, questa volta sulle

294 Oltre le numerose fonti che sono state utilizzate per ricostruire i “movimenti” geografici della nuova teatrologia

italiana fra anni Settanta e Ottanta, si fa riferimento a un dossier specificamente dedicato ai rapporti fra teatro e università pubblicato nel 2005 dalla rivista «Hystrio»: Giulia Calligaro (a cura di), Teatro e università. Viaggio negli

pagine di «Scena». Tale scelta ha ragioni molteplici che si contestualizzano anche oltre la pregnanza che abbiamo visto assumere, in questa fase, dal piano dei rapporti fra studi e pratica teatrale: la rivista ha il pregio documentario di riunire prospettive – anche teatrologiche – diverse su questioni di grande attualità teatrale. Così, sulle sue pagine, è possibile cogliere oggi anche altri elementi che scandiscono e definiscono gli sviluppi degli studi nella seconda parte degli anni Settanta, come, ad esempio, le mutazioni incorse alle modalità dell'impegno politico – che saranno specificamente oggetto del capitolo dedicato all'analisi del paradigma disciplinare – o il processo che vede, a questa altezza, un polarizzarsi delle posizioni e un estremizzarsi del dibattito (questione di cui ci occuperemo ora, in particolare nel contesto del fenomeno che è stato definito del teatro di gruppo). Il proposito, qui, non è soltanto quello di ricostruire i termini della polemica in corso, quanto piuttosto evidenziare l'emergere, già a questa altezza, di prospettive inconciliabilmente differenti, le cui istanze – in diverso modo legittime – ci accompagneranno nell'approcciare le condizioni in cui si sviluppano gli studi (e i teatri) negli anni Ottanta. Le critiche che sorgono intorno al fenomeno del teatro di gruppo, i limiti che si evidenziano intorno a quelli di base, il percorso stesso di queste esperienze, le questioni che sollevano anche in termini di contraddizione, i loro nodi irrisolti e le loro risposte – così come si colgono nello sguardo “a caldo” degli studiosi – si convertono in questa storia in dati di grande rilevanza per comprendere la natura e la qualità del successivo cambiamento e, con esso, le radici di quello post-novecentesco.

Prima di addentrarci nella questione, come introduzione, riprendiamo il filo del racconto del teatro e degli studi degli anni Settanta. Per rievocare lo svolgersi di questa parabola storiografica richiamiamo una tipologia di fonte particolarmente emblematica: tre libri che raccolgono in un contesto unitario interventi sul periodo in questione (e sui problemi che ci apprestiamo ad affrontare): Teatro come differenza di Antonio Attisani, Al limite del teatro di Marco De Marinis e Contro il mal occhio di Ferdinando Taviani.295 Nell'insieme, sono utili per rendere le modalità e le

qualità dell'attività svolta dagli studiosi in quegli anni come osservatori partecipi rispetto al teatro e ai suoi mutamenti. Ma il dato di ricorrenza e di pregnanza non è soltanto questo. Il contesto editoriale, l'approccio e l'intento dei tre volumi sono sostanzialmente differenti e specifici: il primo formula una serie di ragionamenti a caldo, nel 1978; il secondo «avrebbe dovuto essere un instant book» anch'esso, raccogliendo interventi dal '75 all' 81, ma «uscendo per varie ragioni solo pochi anni dopo, si ritrovò suo malgrado ad essere un libro di memorie e testimonianze su di un teatro “sparito”», in una dilazione editoriale che oggi si rivela uno scarto prezioso proprio per il diverso inquadramento dei fenomeni di cui tratta;296 il terzo ripubblica contributi scritti lungo l'arco di

trent'anni (fra cui molti legati ai fatti degli anni Settanta e Ottanta), accompagnandoli con note introduttive fondamentali per contestualizzare a posteriori il discorso (e anche per ricostruire le vicende). Ma, fatte le dovute distinzioni, tutti e tre, nel loro insieme, rendono con particolare efficacia le tensioni e le urgenze di una fase in cui «la nozione di teatro è esplosa».297 E, tanto

nell'uno che nell'altro volume, il percorso da “un teatro necessario” all'“impossibilità di fare teatro”

295 A. Attisani, Teatro come differenza, cit.; M. De Marinis, Al limite del teatro, cit.; F. Taviani, Contro il mal occhio,

cit.

296 Così l'autore racconta la vicenda editoriale di Al limite del teatro, valorizzando, appunto, anche il ruolo dello scarto

temporale che separa la preparazione del volume dalla sua effettiva pubblicazione. M. De Marinis, Prefazione.

Appunti per una storia dei movimenti teatrali contemporanei, in Pierfrancesco Giannangeli, Invisibili realtà. Memorie di Re Nudo e Incontri per un nuovo teatro, Titivillus, Corazzano (Pisa) 2010, pp. 12-13. Il testo è ora

ripubblicato col titolo Teatri invisibili. Appunti per una storia dei movimenti teatrali contemporanei in Italia, in Marco De Marinis, Il teatro dopo l'età d'oro. Novecento e oltre, Bulzoni, Roma 2013, pp. 367-386.

297 Riprendiamo per intero il ragionamento che Attisani svolge sul tema: «Una persona a cui dieci anni fa si fosse

chiesto cos'è il teatro avrebbe avuto una risposta pronta e sicura. Il teatro è lo spettacolo teatrale, avrebbe detto, il suo senso è racchiuso nelle sue rappresentazioni più alte, commerciali o colte, e diluito (o degradato) in quelle minori. Oggi la nozione di teatro è esplosa, dover rispondere alla domanda “cos'è il teatro” metterebbe in serio imbarazzo non poche persone. Solo i più stupidi avrebbero una risposta pronta». A. Attisani, Teatro come differenza, cit., p. 15.

– entrambi le definizioni sono estratte dal libro di De Marinis298 –, fra anni Settanta e Ottanta, è

vertiginoso, senza scampo. È quello in cui dovremo addentrarci a questa altezza.

Nell'intensità del percorso che lega la contestazione del Sessantotto alle rivolte del Settantasette, nel nostro Paese, si assiste alla nascita – Mirella Schino, nel suo libro dedicato al teatro di gruppo, parla piuttosto di “fioritura”299 – di una serie di esperienze teatrali alternative, non propriamente o

non primariamente di ricerca, così come la intendiamo oggi; più che altro è un “teatro-fuori-dal- teatro” (De Marinis), “di minoranza” (Taviani), un fenomeno dalle manifestazioni differenti, che cresce spontaneamente e autonomamente secondo esigenze sempre specifiche, e che si riesce a considerare storicamente unitario esclusivamente perché i gruppi, presi nel loro insieme, vanno a costituire un “sistema stellare” (Schino) che cresce al di fuori e al di là di qualsiasi convenzione consolidata della pratica e dell'idea di teatro allora in vigore.300 Insieme, e a fianco delle citate

esperienze delle avanguardie della scena, vanno a costituire un importante nodo di attività teatrale del decennio che stiamo prendendo in esame; insieme, vanno a comporre una costellazione di percorsi, idee, esperienze completamente differenti, riunite nel proposito di affrontare il teatro, non più soltanto come forma d'arte o d'intrattenimento (il suo “valore di scambio”), ma nei termini del suo “valore d'uso”. Scrive Ferdinando Taviani, nel '77, sulle pagine di «Scena»:

«La linea di tendenza mi pare chiara: la materiale ridefinizione del teatro nella nostra società: il passaggio del teatro dal contesto delle Arti e della Cultura a quello dei “costumi”: la scoperta sempre più chiara che non è con lo spettacolo che un gruppo può incidere nella realtà che lo circonda, o meglio: che il senso dello spettacolo sta nel suo valore d'uso, e non in un significato che gli sarebbe intrinseco assolutamente. E, insomma, che un gruppo teatrale è efficace in quanto gruppo, prima ancora che come teatro.

La rivoluzione è sociologica prima ancora che estetica. O si annuncia tale».301

Il fenomeno del “teatro di gruppo”, affacciatosi agli orizzonti culturali italiani intorno alla metà degli anni Settanta, negli anni successivi si declina in rivoli e tendenze specifiche e differenti fra loro che, prese nel loro insieme, vanno a comporre la mappatura di un fermento teatrale – plurale, differenziato, diffuso – di carattere eccezionale. Il teatro di base emerge come fenomeno di socializzazione del teatrale e di teatralizzazione del sociale nella prima parte del decennio; spontaneamente, liberamente, in zone decentrate e marginali, in tutta autonomia.

A metà degli anni Settanta, qualcosa è già cambiato. Teatro di base, teatro spontaneo, Terzo Teatro. Lo indica giustamente Ferdinando Taviani: non sono sinonimi, non indicano scelte, posizioni, percorsi omologhi; non sono nemmeno – per usare le formule dello stesso Taviani – «tre differenti

298 Nello specifico, si tratta dei titoli di due diversi interventi raccolti nel volume. In particolare, il “teatro necessario”

cui si fa riferimento appartiene a un testo del 1977, collocato fra i primi della raccolta (Verso un teatro necessario:

dall'avanguardia al teatro di base); l'“impossibilità di fare teatro” è invece una definizione estratta dalle ultime

pagine del libro (Intermezzo: l'impossibilità di fare teatro. Crisi dell'avanguardia in Italia (e fuori) tra

interdisciplinarità, analisi metateatrale e soggettività patologica). Cfr. M. De Marinis, Al limite del teatro, cit.

299 Il volume di Mirella Schino in questione, in realtà, è dedicato alla ricostruzione della storia del Centro per la

Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera (oggi Fondazione Pontedera Teatro); ma, pur ben tenendo saldo l'oggetto di ricerca, la studiosa riesce anche a utilizzarlo come “filtro” per osservare contemporaneamente la complessità, la vivacità e l'intensità delle altre esperienze e dei processi di mutamento che sostengono e presiedono la nascita del fenomeno del teatro di gruppo, ufficialmente intorno alla metà degli anni Settanta. M. Schino, Il

crocevia..., cit., p. 79.

300 La descrizione di Mirella Schino è quanto mai efficace: «Nel 1976 si stava rendendo visibile in Italia un vasto

movimento di gruppi teatrali privi di legami col teatro ufficiale, per lo più molto giovani, un movimento di grande intensità e dalle imprecise e plurime facce, quali lo spontaneismo nella produzione, una certa centralità del corpo nelle embrionali tecniche d'attore, la ricerca di un diverso rapporto tra il teatro, chi lo fa e chi lo va a vedere». Ivi, p. 67.

ambiti di realtà, né tantomeno tre diverse “teorizzazioni” di una stessa realtà, o – addirittura – tre diverse poetiche». Sono più che altro «tagli problematici diversi e complementari», tre livelli o aspetti differenti e specifici di quello stesso fenomeno che abbiamo definito genericamente di eccezionale attenzione al teatrale durante gli anni Settanta.302

All'interno delle particolari condizioni di diffusione e attenzione di cui è protagonista il teatro negli anni Settanta, in ogni caso, il fenomeno del Terzo Teatro fa storia a sé. Ed è una storia che coinvolge molto da vicino parte di quei giovani e giovanissimi studiosi di teatro che abbiamo osservato – e che osserveremo ancora – all'opera fra anni Sessanta e Settanta.303

Sulle pagine di «Scena», si incontrano e si scontrano molte di queste differenti prospettive, sul campo tematico dell'avvento e dei possibili sviluppi del fenomeno del teatro di gruppo. La rivista, che fin dal suo primo numero, nel 1976, dimostra una certa sensibilità e una consistente attenzione per le pressioni che animano il Nuovo Teatro in Italia (e non solo), comincia a occuparsi sistematicamente del fenomeno già alla fine del '76 (anche se sia il discorso sui gruppi di base che sul Terzo Teatro erano già apparsi sulle sue pagine episodicamente nel corso dello stesso anno): in apertura del numero di novembre-dicembre, c'è il noto editoriale (non firmato, ma con tutta probabilità attribuibile al direttore Antonio Attisani) intitolato E la fame?.304 Il testo è celebre per la

vivace polemica innescata intorno alla definizione di Terzo Teatro che, nel paragone con quella di Terzo Mondo, viene interrogata su possibili linee di ambiguità: «Quale Terzo Mondo – si chiede Attisani –, quello degli sceicchi o quello dei movimenti di liberazione?»,305 ipotizzando una forma

di omologia con gli “sceicchi” della scena (i gruppi della grande avanguardia internazionale) e i “proletari” che ne imitano l'operato, ma allo stesso tempo ne sono sfruttati. Il documento è certo utile per ricostruire la vivacità del dibattito che si è attivato immediatamente a ridosso della definizione del Terzo Teatro da parte di Eugenio Barba (il Bitef di Belgrado, con la sua conferenza-

302 In particolare, secondo Taviani, le definizioni si distinguono per il riferimento «all'organizzazione […] di un nuovo

modo d'essere del teatro nella nostra società» (“teatro di base”), ai contesti della sua nascita «al di fuori dei quadri tradizionali dell'istituzione teatrale» (“teatro spontaneo”), all'insieme delle motivazioni della sua ricerca, «che strutturano un senso nuovo di ciò che, in questi anni chiamiamo “teatro”, e che lascia a parte il bivio attorno a cui si organizzava e si divideva il teatro degli anni Sessanta» (“Terzo Teatro”). Ivi, pp. 38-39.

303 Il Terzo Teatro viene inaugurato ufficialmente da una conferenza-manifesto di Eugenio Barba al Bitef di Belgrado

nel 1976 – anche se in verità si potrebbe dire che si tratti quasi di una relazione a consuntivo, più che di un programma di intenti –, in cui l'artista e teorico propone di individuare, appunto, una terza tipologia di teatro, diversa sia da quello istituzionale che dall'avanguardia: la distinzione si basa su criteri della marginalità nei confronti dei circuiti esistenti, dell'auto-formazione, della struttura di gruppo e della varietà di modalità messe in atto come strategie di resistenza rispetto ai sistemi dominanti. Scrive infatti Eugenio Barba: «Quel che sembra definire il Terzo Teatro, quel che sembra essere comune denominatore fra gruppi ed esperienze così differenti, è una tensione difficilmente definibile. È come se bisogni personali a volte neppure formulati a se stessi – ideali, paure, molteplici impulsi che resterebbero torbidi – volessero trasformarsi in lavoro, con un atteggiamento che all’esterno viene

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