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I L “ TURNING POINT ” DEL PROCESSO DI RIFONDAZIONE G LI STUDI TEATRALI PRIMA E DOPO IL 1970 Sullo sfondo di quello che sembra un secondo slittamento di paradigma della neonata teatrologia,

1. O RIGINI DELLA NUOVA TEATROLOGIA

1.2 CRONACHE: LA (RI)FONDAZIONE DELLA DISCIPLINA.

1.2.3 I L “ TURNING POINT ” DEL PROCESSO DI RIFONDAZIONE G LI STUDI TEATRALI PRIMA E DOPO IL 1970 Sullo sfondo di quello che sembra un secondo slittamento di paradigma della neonata teatrologia,

quasi contestuale – o comunque di poco successivo – al primo, che ha presieduto l'innesco del processo di rifondazione della disciplina negli anni Sessanta, ci sono almeno due dati di grande rilevanza da individuare, uno di afferenza strettamente accademica, l'altro sempre sul versante dei rapporti fra il contesto degli studi e quello della pratica teatrale. Il profilo della nuova disciplina cambia repentinamente in coincidenza, da un lato, alla fondazione del Corso di laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (Dams), a Bologna all'inizio degli anni Settanta, e, dall'altro, all'incontro e il consolidamento delle relazioni con alcuni esponenti della neoavanguardia teatrale, in particolare, in questa fase, con l'Odin Teatret.

A questo livello eminentemente storico, ci si limiterà a ricostruire le vicende che hanno segnato gli studi teatrologici italiani negli anni Settanta e a rilevare possibili piani di interazione fra questi differenti contesti; si accennerà solo in alcuni momenti, parzialmente e localmente, alle conseguenze in campo scientifico di tali processi, per la cui analisi dettagliata si rimanda invece alla prossima sezione, dedicato alla produzione teatrologica coeva.

Si è già accennato al particolare clima che, fuori e dentro le scene, si poteva respirare a Roma nella seconda metà degli anni Sessanta e dell'operatività del Teatro Ateneo, che, in seguito, portò nella capitale alcuni dei nuovi gruppi della scena contemporanea; in questo contesto, gli studiosi

incontrano per la prima volta l'opera di un artista come Eugenio Barba. Il senso di rifondazione, lo spirito di rinnovamento, altre possibilità di fare e pensare il teatro – sono queste gli elementi che riecheggiano fra l'uno e l'altro spettacolo, fra il periodo romano del Living e le sempre più frequenti visite degli altri gruppi nordamericani; ma l'incontro con l'Odin Teatret è destinato a trasformare persistentemente e profondamente il lavoro degli studiosi delle Isole Pelagie.

Si è detto che Ferruccio Marotti, alla fine degli anni Sessanta, lavorava per la Rai: uno dei suoi impegni consisteva nella registrazione audio di alcuni spettacoli di grande interesse che si allestivano in quegli anni sui palcoscenici italiani. È questa commissione che lo porta all'incontro con il lavoro dell'Odin Teatret, prima con Ornitofilene e poi con Ferai, esperienza che in occasione del secondo spettacolo, alla Biennale di Venezia nel 1969, accompagna con una lunga intervista al regista – vero e proprio «turning point», nella testimonianza dello stesso Marotti, per il gruppo di studiosi romani.99

Poco dopo, telefona ai compagni di studio e lavoro, per raccontare dell'incontro; tornato a Roma, mette a disposizione dei colleghi la documentazione dello spettacolo e dell'intervista, è intenzionato a portare il lavoro dell'Odin nella capitale e vi riesce, l'anno successivo.

Ricorda Ferdinando Taviani:

«Il punto di partenza, ancora una volta, è stato Ferruccio Marotti: Marotti va a Venezia con il Nagra a registrare l'audio degli spettacoli per la Rai. Vede Ferai e si entusiasma, chiede un'intervista a Barba – che all'epoca non le concedeva – e hanno una conversazione lunghissima, di tre-quattro ore.

Marotti ci telefona, ci racconta dello spettacolo e dell'intervista, vuole farne una trasmissione per la radio. Quando torna a Roma, ci porta i nastri della registrazione, ci descrive tutto lo spettacolo in maniera entusiasmante – ha sempre avuto una grande memoria fotografica, era capace di vedere uno spettacolo e poi di ricostruirlo minuto per minuto –, ci fa ascoltare l'intervista. Io e Cruciani eravamo abbastanza perplessi: magari Barba sarà stato un grande artista, ma non ci convinceva; invece aveva ragione su tutto, solo che aveva tutto un altro modo di ragionare, tutta un'altra cultura. Poi Marotti volle farlo venire a Roma, ci riuscimmo. Ferai per alcuni di noi è stato l'apertura».100

L'incontro con Barba è talmente interessante da attivare Marotti, dunque, per organizzare una tournée romana per l'Odin Teatret: nel 1970 arriva Ferai, più tardi, l'Odin tornerà con Min Fars Hus, nel dicembre del '73. Nello stesso anno, il gruppo di studiosi è a Pontedera, proprio per vedere quello spettacolo; rientrano a Roma con Eugenio Barba: «in qualche modo – dice Mirella Schino, riportando l'aneddoto raccontatole da Fabrizio Cruciani – fu quello l'inizio di tutto».101 Di lì a poco,

sarà l'inaugurazione di esperimenti come quello di Carpignano e della Sardegna, fra il 1974 e il 1975.

“L'inizio di tutto” (dei rapporti fra studi e pratica), il “turning point” (della teatrologia italiana) è diverso per ognuno: Ferruccio Marotti ne colloca l'avvio all'interno del più ampio contesto della creatività delle neoavanguardie fra fine anni Sessanta e inizio Settanta, Ferdinando Taviani e Franco Ruffini concordano sul ruolo-chiave della visione di Ferai, Nicola Savarese – si è visto, di poco più

99 «Ho visto il Principe costante di Grotowski a Spoleto nel '67, perché registravo l'audio dello spettacolo per la Rai.

Alla Biennale di Venezia vidi i primi lavori di Eugenio Barba – prima Ornitofilene e poi Ferai – e con lui feci una lunga intervista. Fu in qualche modo il turning point per il nostro gruppo: tornai a Roma entusiasta di questo nuovo modo di pensare e di fare teatro che avevo visto in Barba e prima ancora in Grotowski. […] Facemmo questa intervista, da cui poi trassi un ciclo di due o tre trasmissioni sull'Odin Teatret per Terzo programma. E introdussi Barba al gruppo. Tutti videro lo spettacolo, che, dopo Venezia, passò a Roma su iniziativa di Gerardo Guerrieri». Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 11 novembre 2011).

100 Da una intervista concessa all'autrice (L'Aquila, 21 marzo 2012). 101 M. Schino, Il crocevia..., cit., p. 321.

giovane – rimanda a Min Fars Hus;102 Cruciani racconta a Mirella Schino del viaggio a Pontedera,

come la studiosa riporta nel suo libro; Claudio Meldolesi – come si evince nel medesimo volume – entra in contatto con l'Odin più tardi, nel contesto di un più ampio riavvicinamento ai territori del teatrale e al gruppo di studiosi romani. In ogni caso, quale che sia il punto esatto di rottura – giustamente soggettivabile rispetto alle diverse esperienze personali –, tutti gli studiosi concordano nel situarlo fra il 1970 e il 1975, in relazione all'una o l'altra esperienza di contatto e di incontro con Eugenio Barba e il suo Odin Teatret.

Nell'arco degli stessi anni, accade un altro evento destinato a segnare in profondità il profilo della neonata teatrologia: a Bologna, si fonda il Corso di laurea Dams. È un grecista, Benedetto Marzullo, a concepire e portare a realizzazione il progetto del primo corso di laurea italiano esplicitamente dedicato, fra le altre cose, alle discipline dello spettacolo dal vivo, mentre, altrove, gli insegnamenti di ambito teatrologico continuavano a essere attivi nel contesto dei percorsi formativi letterari. Nato dall'esperienza, anche in questo caso, di una precedente struttura accademica – un centro interfacoltà chiamato IMET (Istituto di Musica e Teatro) –, il nuovo corso di laurea viene attivato ufficialmente nell'anno accademico 1970/1971 (dopo un primo anno di sperimentazione). Qui, il processo di svincolamento dell'oggetto della neonata teatrologia dal contesto degli studi letterari si sostanzia grazie all'affiancamento di materie nuove o rinnovate – come Istituzioni di regia o Semiologia dell'arte, le discipline della comunicazione e le scienze umane – e si avvale dell'insegnamento delle eccellenze della cultura dell'epoca, accademica e non: nel Dams delle origini ci sono lezioni di Umberto Eco, Furio Colombo, Tomás Maldonado e, per quanto riguarda il teatro, Giuliano Scabia e Luigi Squarzina. Ci sono, ovviamente, anche quegli studiosi del gruppo delle Isole Pelagie: prima Ferruccio Marotti e Fabrizio Cruciani, poi Franco Ruffini (dal 1976) e Claudio Meldolesi (dal 1979).

Si rimanda alla sezione successiva per comprendere il portato di una esperienza di questo tipo, fra didattica e ricerca, fra università e operatività teatrale, fianco a fianco da un lato con gli artisti della scena, dall'altro con le avanguardie delle rinnovate scienze umane e sociali; per il momento è opportuno notare come il trasferimento dei componenti di questo gruppo di studiosi – parallelamente, nel 1972, Ferdinando Taviani raggiunge Alessandro d'Amico all'Università di Lecce, cui poco dopo (nel '76) succederà Nicola Savarese – implica lo scioglimento dell'ambiente di studio di via Isole Pelagie, dunque la conclusione della prima fase – abbiamo visto, eminentemente romana, ma non soltanto – di gestazione della nuova teatrologia e del suo processo di rifondazione fra anni Sessanta e Settanta. Non è, naturalmente, una storia che si conclude con questi eventi che, anzi, sono destinati – come si vedrà – a sviluppare ancora più in profondità il profilo della disciplina, a spostarne ulteriormente gli orizzonti e la cornice epistemologica.

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