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F RA RIMOZIONE E SOVRA LETTURA U N TENTATIVO DI RECUPERO DEI “ FAMIGERATI ” ANNI O TTANTA L'idea di una doppia lettura del processo di consolidamento della nuova teatrologia fra anni Settanta

2. S VILUPPO DELLA NUOVA TEATROLOGIA

2.1.1 F RA RIMOZIONE E SOVRA LETTURA U N TENTATIVO DI RECUPERO DEI “ FAMIGERATI ” ANNI O TTANTA L'idea di una doppia lettura del processo di consolidamento della nuova teatrologia fra anni Settanta

e Ottanta, che si propone di comprendere contestualmente sia nei termini dei suoi nodi di continuità rispetto alle vicende precedenti degli studi – dunque di considerarla come una fase di assestamento –, che osservandone i dati di innovazione, anche rispetto alle fasi successive della disciplina, potrebbe sembrare una prospettiva contraddittoria. Invece, la persistenza di spinte eversive, il tentativo di consolidamento delle posizioni acquisite, i continui momenti di verifica sono elementi di cui è indispensabile tenere conto per affrontare un passaggio tanto ambiguo come quello fra gli anni Settanta e Ottanta, momento congiunturale fra due fasi della cultura e della società occidentali quanto mai – almeno in apparenza – incommensurabili fra loro.

Lo scarto è talmente forte che nei discorsi su quel periodo si danno due tendenze si direbbe di segno opposto, ugualmente significative: nonostante le innumerevoli letture “a caldo”, che si confrontano piuttosto esplicitamente con la qualità del cambiamento in atto, alcune delle quali anche cercando di inserirlo in quadri interpretativi di ampio respiro (anche storico), dunque certificandone apertamente il ruolo, successivamente si assiste a un processo che gli studiosi non hanno esitato a definire di “rimozione storiografica” del passaggio in questione.262 Qui, di nuovo, si intende seguire entrambe

le strade, accogliendo, in una prospettiva unitaria, tutte e due le opzioni teoriche che rappresentano: quella della rimozione del passaggio fra anni Settanta e Ottanta e quella legata a una sorta di sua sovra-lettura “a caldo”, traendo, per quanto possibile, da entrambe gli elementi necessari per introdurre l'analisi del fenomeno e, dalla loro interazione, un'indicazione di orientamento teorico importante.

Per quanto riguarda il versante dell'intensità del dibattito di quegli anni, si possono citare le discussioni che si svolgono all'epoca sulle pagine di riviste come «Quaderni di Teatro» e «Scena», entrambe importanti, fra anni Settanta e Ottanta, nel riunire su un unico terreno di dibattito prospettive teatrologiche differenti; le numerose occasioni di confronto rappresentate da giornate di studio e convegni (uno per tutti, il modenese Le forze in campo, dell''86, che chiama molti teatrologi a riflettere proprio su questo passaggio);263 alcune antologie di scritti coevi predisposte dagli

studiosi: Teatro come differenza di Antonio Attisani, edito nel 1978, e Al limite del teatro di Marco

262 La definizione è tratta da un testo di Gerardo Guccini pubblicato nel 2000 su «Culture Teatrali», il cui ragionamento

seguiremo lungo tutto il presente capitolo. Fra l'altro, lo studioso, in questo intervento, sembra sostenere una prospettiva molto prossima a quella che abbiamo appena introdotto, valutando il problema della “rimozione storiografica degli anni Ottanta” – sulla questione, non si danno, in effetti, come dice lo studioso «significative visualizzazioni storiche» – a fianco, invece, alla consistenza degli sforzi del lavoro teatrologico e critico-teatrale coevo (p. 20). G. Guccini, Teatri verso il terzo millennio: il problema della rimozione storiografica, «Culture Teatrali», I, 2-3, primavera-autunno 2000 (Quarant'anni di nuovo teatro italiano), pp. 11-26.

De Marinis – che, raccogliendo contributi della fine degli anni Settanta, al momento della sua pubblicazione, nel 1983, ne parlava già nei termini di “un teatro che non c'è più” –, ma anche Contro il mal occhio di Ferdinando Taviani, che, anche se edito nel '97, offre, fra le altre cose, un percorso di riflessione di tutto rilievo su questo passaggio.264 Non che si osservi una così dilagante

abbondanza di contributi storiografici di vocazione complessiva e sistematizzante, ma, almeno, esiste una certa attenzione alla questione dello scarto fra anni Settanta e Ottanta, di cui si scrive e si discute evidentemente molto, almeno “a caldo”.

Quella di Gerardo Guccini è una prospettiva invece preziosa per cominciare ad addentrarci nella questione a tutt'altro livello. In un testo pubblicato nel 2000 su un numero di «Culture Teatrali» interamente dedicato a Quarant'anni di nuovo teatro italiano, cercando di inquadrare la qualità della discontinuità teatrale post-novecentesca, lo studioso propone di affrontare il “problema della rimozione storiografica” e, contestualmente, di reinserire i “famigerati anni Ottanta” nel “continuum dei fatti teatrali” del secondo Novecento.265 In coincidenza alle prospettive

pessimistiche e/o allarmistiche che, di fronte alle esperienze precedenti, li hanno voluti considerare anni anni «“micidiali”, “di omologazione”, “di restaurazione”, “di stagnazione”, […] “un buco nero” o “una parentesi” che sarebbe stata chiusa soltanto dalle affermazioni generazionali e artistiche del decennio seguente»,266 sostiene Guccini, si è verificato un processo di azzeramento

che, oltre a impedirne l'analisi storica, rischia di compromettere anche le prospettive critiche sugli accadimenti successivi. E questo, naturalmente, non solo nel teatro o negli studi, in cui – tornando a noi – ci si trova a confronto con una «teatralità parziale, composta da opere avulse dalla propria genesi e da artisti senza passato», messa in forma, riplasmata e ritoccata anche ad oggi proprio dall'«ombra di una mancanza»,267 quella dell'elaborazione del ruolo degli anni Ottanta nel contesto

della storia (del teatro) del Paese. Il tentativo di Guccini, che consiste proprio nell'affrontare questo scarto e risolverlo, ci accompagnerà lungo tutto il presente capitolo, andando a costituire una coordinata preziosa per interpretare il passaggio teatrologico fra anni Settanta e Ottanta, tanto come processo di assestamento che da punti di vista più discontinuisti. Infatti, quello che è interessante cogliere, fra le altre cose, dalla proposta di Gerardo Guccini, è il doppio versante presso cui lo studioso va a mettere in opera la sua ipotesi di reinserimento dei “famigerati” anni Ottanta all'interno del continuum storiografico:

1) da un lato, lega il periodo in questione ai suoi precedenti storici così come si sono manifestati nel secondo Novecento, ad esempio leggendo il processo della cosiddetta

263 Il convegno, dal titolo Le forze in campo. Per una cartografia del teatro, si svolge a Modena il 24 e 25 maggio

1986, promosso dal Centro Teatrale San Gimignano. Stimolato da una lettera-invito a firma di Giuseppe Bartolucci, Pietro Valenti, Antonio Attisani e Gabriele Vacis sul tema del cambiamento in atto nel teatro coevo, si concretizza come una discussione cui prendono parte insieme artisti della scena (fra cui Barberio Corsetti, Claudia Castellucci, Leo de Berardinis, Mario Martone, Luca Ronconi), critici (oltre Bartolucci, anche Franco Quadri, Carlo Infante, Gianni Manzella, Oliviero Ponte di Pino) e alcuni nuovi teatrologi (Meldolesi, Ruffini, Taviani, ma anche Franco Perrelli e Valentina Valentini). L'esito – oggi osservabile attraverso la documentazione raccolta da Attisani in volume – è uno spaccato piuttosto significativo sia della qualità e dell'intensità del dibattito teatrologico e teatrale di quegli anni, che dello spessore dello scarto interno alla scansione temporale che ci apprestiamo ad analizzare (e infatti tornerà spesso fra le fonti del presente capitolo). Cfr. A. Attisani (a cura di), Le forze in campo, cit.

264 Ma possibilità di riflessione si trovano anche in seguito, se prendiamo, ad esempio, il recente libro di Mirella Schino

sulla storia del Centro Teatrale di Pontedera, in cui si affronta esplicitamente la questione del rientro dei fermenti artistici e socio-politici degli anni Settanta e, fra l'altro, si raccontano le prospettive a riguardo di studiosi ed artisti. Anche questo rappresenta un insieme di testimonianze e ragionamenti che ritroveremo di frequente fra le fonti del presente capitolo. Antonio Attisani, Teatro come differenza, Feltrinelli, Milano 1978 (2a ed. Essegi, Ravenna 1988);

M. De Marinis, Al limite del teatro, cit.; F. Taviani, Contro il mal occhio, cit.; M. Schino, Il crocevia..., cit.

265 G. Guccini, Teatri verso il terzo millennio, cit. 266 Ivi, p. 11.

“riteatralizzazione” nei termini di un possibile rapporto con il rinnovamento linguistico-formale delle neoavanguardie degli anni Sessanta;268

2) dall'altro lato, ne valuta il ruolo in senso determinante rispetto alla successiva rottura post-novecentesca, quando ne coglie il dato di incommensurabilità al livello della auto-dichiarata insufficienza degli strumenti critici preesistenti e nella tendenza a impegnarsi in una «riformulazione delle definizioni di base»,269 evidentemente rese

inutilizzabili e inapplicabili.270

In questo senso, la rimozione storiografica degli anni Ottanta ha operato impedendo al teatro e agli studi di valutarne le forme di eredità (comunque esistenti), andando a comporre un patrimonio culturale piuttosto particolare, in quanto sdoppiato sul versante propriamente estetico-materiale e su quello ideologico: secondo lo studioso «le realtà teatrali “rimosse” non si sono ovviamente dissolte, ma hanno lasciato in eredità» due ordini di elementi distinti: un «pulviscolo di invenzioni e possibilità, che costituisce in modo ormai stabile l'atmosfera del nuovo teatro italiano», ma anche «il velo che le ha coperte e, con esso, un senso di vacuità, di dubbio e confusione»,271 con cui

appunto sono stati percepiti, raccontati e trasmessi i teatri degli anni Ottanta e le loro pulsioni ed urgenze. Recuperarne il ruolo, sia in termini di continuità che di rottura rispetto alle stagioni precedenti e successive del teatro e della teatrologia, è uno degli obiettivi di questo capitolo; cercare di valutarlo rispetto al passaggio che li lega e li separa dal fermento degli anni Settanta, si rivela quasi un passaggio obbligato.

Il periodo compreso fra il movimento del Sessantotto e quello del Settantasette – che coincide fatalmente, come vedremo, con eventi teatrali e teatrologici di assoluto rilievo – è attraversato da forme di impegno politico che spesso si esprimono in percorsi di critica delle istituzioni e delle gerarchie convenzionalmente accettate, quando non addirittura di loro eversione e sovversione. Queste tendenze si manifestano, naturalmente anche in campo culturale, artistico ed intellettuale. È un'epoca di esplosione delle possibilità e della creatività a livello collettivo, in cui, specificamente, l'arte diventa soprattutto uno strumento. E il teatro, nella scena e negli studi, viene considerato per il suo “valore d'uso”, con le avanguardie che abbandonano il loro progetto originario di rinnovamento linguistico-formale a favore di una stagione di diffusione eccezionale in nuovi e inaspettati territori. Gli Ottanta, invece, sono anni di riassorbimento, riordino e restaurazione: con la fine delle stagioni dell'impegno e l'avvento di quelle del disimpegno, l'attenzione si sposta dalla dimensione collettiva a quella individuale, abbandonando almeno in apparenza l'idea della trasformazione della società. Se gli anni Settanta trovano il loro terreno di espressione nella dimensione socio-collettiva, gli Ottanta sono anni di riflusso al privato e all'individuo; se i primi sono quelli del dibattito politico, per i secondi si parla di post- e anti-politica; sovversione e normalizzazione, estremismi e ricomposizione. Dal teatro senza spettacolo delle esperienze-limite di dilatazione degli anni Settanta ai successivi processi della cosiddetta riteatralizzazione, che riporta al centro il testo, l'attore, l'opera. Sono, in effetti, momenti distinti e distinguibili in profondità; ma, insieme, anche nella loro successione temporale e pure nelle naturali sovrapposizioni che si sono verificate, fanno parte dell'attuale eredità storico-politica, culturale, artistica e anche teatrologica.

268 Ivi, p. 17. 269 Ivi, p. 21.

270 Per fare un esempio più specifico, Guccini formula una originale (e, per noi, centrale) revisione della dinamica

oppositiva che mette tradizionalmente in tensione la polarità del processo con quella del prodotto, scardinando la convenzionale attribuzione che vorrebbe schierare in senso esclusivo gli anni Settanta sul versante processuale e gli Ottanta sul cosiddetto ritorno delle opere e leggendo invece quest'ultimo fenomeno come una rielaborazione dell'eredità processuale della neoavanguardia capace di combinare insieme gli opposti, nella innovativa soluzione rappresentata dalla nozione di “progetto”. Ivi, pp. 24-25.

Per provare a capire quello che è successo, sposteremo ora il nostro punto di vista proprio sullo scarto fra i due decenni, andando a osservare direttamente il passaggio dalla fine degli anni Settanta all'inizio degli Ottanta.

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