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P RIMI MOVIMENTI NEGLI ANNI S ESSANTA L' INAUGURAZIONE DEL PROCESSO DI RIFONDAZIONE FRA TEORIA , PRATICA E STORIA

1. O RIGINI DELLA NUOVA TEATROLOGIA

1.2 CRONACHE: LA (RI)FONDAZIONE DELLA DISCIPLINA.

1.2.1 P RIMI MOVIMENTI NEGLI ANNI S ESSANTA L' INAUGURAZIONE DEL PROCESSO DI RIFONDAZIONE FRA TEORIA , PRATICA E STORIA

I nuovi teatrologi, dunque, si formano presso ambienti di studio e ricerca operanti intorno ad alcune cattedre universitarie, prevalentemente di ambito storico- e critico-letterario. Ma, a focalizzare con più attenzione le singole fasi di rifondazione della disciplina, è doveroso notare come questo primato della diffusione presso l'area letteraria vada a costituire un dato complementare e non esclusivo all'interno degli scenari formativi dei primi teatrologi. L'altra polarità operante in questo contesto si può rinvenire in territori più strettamente teatrali e teatrologici ed è osservabile fin da quella che si può identificare come una fase-cerniera determinante per la nuova disciplina. A cavallo della vera e propria messa in opera di questi ambienti in senso teatrologico, infatti, si trovano tre esperienze fondanti, liminari rispetto sia alla stagione precedente degli studi che al successivo processo di rinnovamento: buona parte degli studiosi concordano nel riconoscere la paternità del nuovo campo di studio a Ferruccio Marotti, Cesare Molinari, Ludovico Zorzi, tutti e tre già attivi in diverse aree della cultura teatrale almeno fin dagli anni Cinquanta.

Marotti, allievo attore di Memo Benassi a Trieste, si trasferisce a Roma per frequentare l'Accademia Nazionale di Arte Drammatica; una volta giunto nella capitale – ammesso come uditore sia all'Accademia che al Centro Sperimentale di Cinematografia –, comprende di non voler proseguire con la formazione e la carriera attoriali, così la sua attenzione si focalizza soprattutto sulla dimensione della ricerca storico-teorica (senza però mai far venir meno quella pratico-operativa);79

all'università di Roma, alla fine degli anni Cinquanta, intraprende il percorso degli studi di regia sotto la guida di Giovanni Macchia.80 Molinari, nello stesso periodo, è a Pisa: si laurea nel '57,

allievo di un critico e studioso delle arti (ma anche grande operatore culturale e figura politica di primo piano) come Carlo Ludovico Ragghianti. La figura di Ludovico Zorzi è a diversi livelli

79 «Poi c'è la mia storia personale. Io da ragazzo volevo fare l'attore: a Trieste già lo facevo, come allievo di Memo

Benassi, vecchio grande attore all'antica italiana; poi mi sono trasferito a Roma, per fare l'Accademia di Arte Drammatica: ho seguito da uditore corsi all'Accademia e al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove, vedendo il lavoro e la formazione dell'attore, in qualche modo mi raffreddai rispetto al fare teatro in prima persona».

Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 11 novembre 2011).

80 L'informazione è reperibile nelle introduzioni ai primi lavori pubblicati da Ferruccio Marotti. In particolare, nella

premessa (datata 1959-1963) al volume dedicato ad Adolphe Appia (edito nel '66), lo studioso disegna la propria genealogia formativa, dichiarando di aver intrapreso da sei anni (quindi fra il 1958 e il 1960) lo studio della storia della regia con la guida di Giovanni Macchia. Cfr. F. Marotti, La scena di Adolphe Appia, Cappelli, Bologna 1966, p. 8.

eccezionale tanto negli scenari di gestazione della nuova teatrologia che per i suoi sviluppi successivi: studente di Lettere all'università di Padova, è presto coinvolto nelle attività del centro teatrale di ateneo, dove conoscerà il regista Gianfranco De Bosio. La carriera accademica di Zorzi si svilupperà altrove, nella seconda metà degli anni Sessanta e nei primi Settanta, fra Torino e Firenze; tuttavia, i primi studi ruzantiani prendono avvio proprio in questa fase della sua formazione accademica e teatrale.

Se l'eccezionalità della figura di Zorzi è da annotare soprattutto per aver affrontato questioni che si riveleranno centrali per gli studi soprattutto in momenti successivi (ad esempio il ruolo delle pratiche di contestualizzazione rispetto al materiale iconografico, ma anche, più in generale, la dimensione dei rapporti fra teoria e pratica, fra teatro e cultura o la possibilità di esistenza di diverse intensità di temporalità storiche), nei primi anni Sessanta ha una ricaduta concreta immediata, e, bisogna dirlo, dirompente, l'operato di Marotti e Molinari, le cui vicende scientifiche e accademiche sono profondamente legate fin dagli esordi.

I due studiosi si conoscono all'inizio degli anni Sessanta. All'epoca poco più che ventenni, oltre all'intreccio fra dimensione storico-teorica e pratico-operativa, condividono l'interesse per una figura-chiave del Novecento, Edward Gordon Craig.

È nota la lunga vicenda che ha portato Ferruccio Marotti, ancora studente, a incontrare e frequentare Craig nella sua ultima dimora francese:

«Parallelamente – segno del destino – avevo letto On art of the Theatre, in cui Gordon Craig parla di un giovane che desidera fare l'attore, ma che in realtà vuole volare: fare l'attore significa volare, riuscire a entrare nella mente degli altri personaggi, vivere la vita di tutti... E poi si ritrova sul palcoscenico: invece deve dire le battute, fare quei passi e così via, gli viene la disperazione. Questa era un po' la mia situazione e mi innamorai di Gordon Craig. Altre follie che si fanno quando si è ragazzi: volevo conoscere Craig. Così feci delle ricerche bibliografiche: un libro che allora andava per la maggiore – Spettacolo del secolo di Vito Pandolfi – raccontava di come Craig fosse infine morto solitario in Francia; invece nell'Enciclopedia dello Spettacolo c'era la data di nascita e non di morte, mentre pubblicava una fotografia con la didascalia “Gordon Craig a Tourrettes-sur-Loup”.

Così, scrissi a Gordon Craig a Tourrettes-sur-Loup. Naturalmente non mi rispose, ma tre mesi dopo, invece, arrivò un bigliettino su carta celeste in cui, con una grafia bellissima, mi scriveva: “se vuoi sapere qualcosa di più su di me vai a Firenze, dove ci sono tutti i miei libri e la mia rivista; se vuoi sapere ancora qualcosa di più, vai dalla mia ex segretaria Dorothy; se poi sei pazzo, dopo le due di pomeriggio puoi venire a trovarmi, sono a Vence”. Nella follia, presi la mia 600 sgangherata e andai lì: partii il pomeriggio e viaggiai tutta la notte, a mezzogiorno arrivai a una villetta completamente chiusa; aspettai e, alle due in punto, sentii una voce stupenda che chiamava “Nellyyy...” e qualcuno che rispondeva “Papààà...”: erano Gordon Craig e sua figlia. Allora bussai e conobbi Craig. Invece che restare una giornata, come credevo, sono rimasto lì circa un anno e mezzo, due anni, facendo parallelamente l'università a Roma: facevo avanti e indietro ogni settimana, sempre con la mia 600 sgangherata, lezioni all'università, lavoro ai Mercati Generali e poi, la domenica, ero di nuovo da Craig a lavorare con lui. Erano anni folli, bellissimi».81

Da questa esperienza nasce un libro – il primo in Italia –, pubblicato nel 1961 da Cappelli;82 ma non

è a tutti gli effetti il primo studio in materia: Molinari, alla fine degli anni Cinquanta aveva già

81 Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 11 novembre 2011). 82 Ferruccio Marotti, Edward Gordon Craig, Cappelli, Bologna 1961.

pubblicato vari lavori sull'artista sulla rivista «Critica d'arte»,83 a detta dello stesso Marotti

fortemente criticati nel suo volume.84 Poco dopo, i due studiosi si conoscono di persona. Marotti,

nella stagione 1962/'63 collabora con il Piccolo Teatro di Milano: fra gli assistenti di Giorgio Strehler che sta preparando Vita di Galileo, si occupa anche di altre questioni con la guida di Paolo Grassi. È in occasione di uno di questi impegni collaterali che i due si incrociano, ma, prima, abbiamo visto che avevano già avuto modo in qualche maniera di conoscersi sui libri, attraverso le loro opere. Quando si conoscono – ricorda Marotti –, l'imbarazzo è grande; ma Molinari condivide la prospettiva dello studioso e da lì comincia un sodalizio umano e professionale destinato a segnare le sorti della neonata teatrologia.85

Poco dopo, nel 1963, Marotti assumerà l'incarico dell'insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo presso la Facoltà di Lettere dell'università di Roma, al posto di Giovanni Macchia, di cui è assistente – incarico ufficializzato cinque anni più tardi, in coincidenza all'attribuzione della libera docenza, un titolo attivo fino al 1970 che abilitava all'insegnamento di una certa materia. E, nel frattempo, Cesare Molinari, acquisita la libera docenza nel '62, cinque anni dopo si sposta da Pisa all'Università di Parma, incaricato di insegnare la medesima materia. Sono, in effetti, i primi incarichi ufficiali, assieme a pochi altri.86

Ma non è solo l'interesse per Gordon Craig a unire questi due studiosi: Molinari si forma in ambito storico- e critico-artistico con la guida di Ragghianti, non solo eminente esperto della materia, ma grande operatore culturale, attivo tanto nell'organizzazione di eventi espositivi e di studio, quanto nel processo di ristrutturazione della didattica accademica. Marotti, invece, è allievo di Giovanni Macchia, ma, abbiamo annotato proprio da una sua testimonianza, coltiva, almeno inizialmente, una frequentazione diretta della pratica teatrale, con l'ambizione di diventare attore; il rapporto con la scena, poi, prosegue anche una volta accantonato questo progetto, con la già citata esperienza al Piccolo al fianco di Grassi e Strehler. Dunque, il primo elemento condiviso che possiamo attribuire all'esperienza dei due studiosi si può rinvenire nell'intenso dialogo che entrambi nutrono con una dimensione pratico-operativa, oltre che storico-teorica, nel loro avvicinamento al teatro. L'elemento è altrettanto saliente anche nella biografia professionale di Ludovico Zorzi, che continuerà a frequentare attivamente l'operatività teatrale, dando contributi di primario interesse, almeno fino ai primi anni Settanta (per poi in ogni caso non venir meno, ma concentrandosi di più in ambito artistico): Zorzi, è noto, durante gli studi a Padova – anch'essi di ambito letterario –, è animatore del centro teatrale universitario: lo comincia a frequentare nel '49 grazie all'incontro con l'allora

83 Cesare Molinari Le teorie sul teatro di Gordon Craig, «Critica d'arte», IV, 21, 1957, pp. 178-195; id., Regie e

scenografie di Gordon Craig, «Critica d'arte», V, 27-28, 1958, pp. 170-187, 301-315; id., L'opera grafica di Gordon Craig (1-2-3), «Critica d'arte», VI, 31-32-34, 1959, pp. 15-29, 73-79, 229-239.

84 Per la questione, si rimanda ad alcune considerazioni in nota del già citato studio marottiano su Craig: l'autore fa i

conti con la critica e la storiografia esistente sull'artista, prendendo a riferimento, fra gli altri, i tre studi su Craig prodotti da Cesare Molinari, cui rimanda di frequente, sia per integrare il proprio lavoro (ad esempio nel caso dell'analisi dell'opera grafica dell'artista), sia intessendo con lo studioso un intenso (e, a volte, acceso) dialogo storico-critico. In particolare, le contestazioni in oggetto si legano a ragioni di ordine documentario, sia per quanto riguarda l'ampiezza e la disponibilità delle fonti, che, in certi casi, per il processo di loro integrazione e interpretazione. Cfr. F. Marotti, Edward Gordon Craig, cit., pp. 23, 31-33, 42, 55, 101.

85 «Molinari è stato il primo in Italia a lavorare su Craig: prima di me e aveva fatto delle analisi ricostruttive

dell'Amleto al Teatro d'Arte di Mosca. Nel mio libro, lo indicai come una persona intelligente, ma criticai violentemente il suo studio perché pensavo fosse sbagliato – fui pesantissimo.

Poi, quando lavoravo al Piccolo, una domenica andai a una riunione che aveva lo scopo di fondare un ente sul teatro antico a Sabioneta: c'era Albini, un famoso architetto, e anche Molinari, che insegnava già Storia del teatro. E ci fu questo momento. Quando Grassi ci presentò, Molinari disse: “Ah, lei è Marotti, il fiero critico delle mie idee!”; io mi sentii sprofondare, non sapevo che dire. Poi, invece, lui mi diede ragione e rimasi di stucco. Da allora siamo diventati molto amici». Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 11 novembre 2011).

86 Vito Pandolfi acquisisce la libera docenza nel 1962 e viene incaricato dell'insegnamento dall'Università di Genova

nel '66; poco più tardi è la volta di Ludovico Zorzi (nel '68, poi incaricato nel '70 a Torino) e di Roberto Alonge, che nel '72 va a ricoprire l'insegnamento torinese appartenuto a Zorzi, ormai trasferitosi definitivamente a Firenze.

direttore, il poeta Diego Valeri, che lo introduce poco dopo a Gianfranco De Bosio, appena rientrato dalla Francia; i due fonderanno così un sodalizio duraturo, che segnerà l'avvio dei primi studi ruzantiani di Zorzi e della sua conoscenza di Brecht (ad opera di Eric Bentley, uno dei fondatori del Berliner Ensemble, chiamato a Padova proprio dal Cut). In questa fase, Zorzi, appena ventenne, organizza letture, prepara drammaturgie, scrive recensioni in una dimensione di coinvolgimento operativo che, una volta lasciata Padova, si ritrova – oltre che in collaborazioni con i grandi registi del suo tempo (Squarzina nel '68, Strehler nel '69) – anche nell'esperienza alla direzione dei Servizi Culturali Olivetti a Ivrea (dove si trasferisce nel '56).87

Se Molinari, almeno inizialmente, da questo punto di vista, è naturalmente impegnato più nel campo delle arti visive, Marotti, invece, l'abbiamo visto, è attivo nella pratica teatrale prima ancora dei suoi studi universitari. Questo coinvolgimento non si limita a quelle originarie esperienze di rapporto con la scena, ma prosegue anche in parallelo alla sua carriera accademica su altri fronti. Un esempio, fra i molti possibili, si ritrova nei rapporti con i mezzi di informazione: è la Rai a presiedere la realizzazione dei suoi primi viaggi in Asia, l'incontro con i coevi artisti della scena e a commissionargli la trasmissione Tutto il mondo è attore – che co-dirige con Alessandro d'Amico e Gerardo Guerrieri –, una folta serie di puntate radiofoniche di argomento teatrale che, assieme ad altri giovani studiosi, Marotti preparò per Terzo Programma.88

Dunque, a fianco della matrice storico- e critico-letteraria e artistica, la prossimità fra il processo di rifondazione degli studi e la frequentazione diretta, attiva della scena è un dato da annotare, per comprendere quello che abbiamo definito presentarsi come la doppia trasformazione del paradigma disciplinare fra anni Sessanta e Settanta, di cui ora ci si appresta a entrare nel vivo.

1.2.2 UNLABORATORIODELPENSIEROTEATRALE. A ROMA, NELLASECONDAMETÀDEGLIANNI SESSANTA

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