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U N LABORATORIO DEL PENSIERO TEATRALE A R OMA , NELLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI S ESSANTA Se questi primi passi devono ritenersi fondanti per il rinnovamento degli studi teatrali italiani, in

1. O RIGINI DELLA NUOVA TEATROLOGIA

1.2 CRONACHE: LA (RI)FONDAZIONE DELLA DISCIPLINA.

1.2.2 U N LABORATORIO DEL PENSIERO TEATRALE A R OMA , NELLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI S ESSANTA Se questi primi passi devono ritenersi fondanti per il rinnovamento degli studi teatrali italiani, in

quanto proposte di apertura epistemologica su diversi fronti che si riveleranno costitutivi per le successive generazioni degli studi, tuttavia, il processo di rifondazione della disciplina che dà propriamente origine alla teatrologia italiana si inaugura nella seconda metà degli anni Sessanta e vede affiancarsi a queste figure una serie di studiosi poco più giovani.

87 Per una ricostruzione delle interazioni fra la dimensione della ricerca storica e quella dell'operatività culturale nella

figura di Ludovico Zorzi, si veda il già citato contributo di Stefano Mazzoni (Ripensando Ludovico Zorzi, «Drammaturgia.it», cit.), ma anche i testi che corredano il catalogo della mostra sullo studioso organizzata nel 1993: Elvira Garbero Zorzi, Lia Lapini, Sara Mamone, Paola Ventrone, Andrea Zorzi (a cura di), Ludovico Zorzi. Tra

ricerca, didattica e organizzazione culturale. Catalogo della mostra, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, 15- 31 marzo 1993, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze/Istituto Ludovico Zorzi, Firenze 1993.

88 «Perché – molto brutalmente – eravamo tutti senza stipendio fisso: a parte Ruffini e Cruciani che insegnavano a

scuola, gli altri andavano avanti a borse di studio. Io aprii allora un portale importante che fu la radio. Era l'epoca in cui il Terzo Programma lavorava molto e io cominciai con queste cosiddette radio-scene; la prima, se non vado errato, fu su Gordon Craig (in cui praticamente sceneggiavo i miei studi), poi ne feci una sulle Laudi... fino alla più eclatante, tre puntate su Antonin Artaud che andarono in onda fra il '63 e il '64. […]

Il capo, all'epoca, era Adriano Magli, singolare figura di uomo di teatro, nato alla Soffitta di Bologna come autore e operatore teatrale e regista, che aveva poi fatto una carriera molto forte in Rai ed era il vice di Corrado Guerzoni, direttore generale che guidava tutta la parte spettacolo della radio italiana. Ci fu anche un interscambio molto fattivo, perché Magli era molto interessato anche di studi teatrali. Insegnavo, seppure gratuitamente, all'Università dal '63 e avevo tantissimi studenti – tanto che avevo un gruppo di assistenti fra cui Taviani, Cruciani, Delia Gambelli... –, quando riuscii a sdoppiare l'insegnamento, ne fu incaricato Magli. Ci fece fare un ciclo venti o trenta trasmissioni che poi fu pubblicato anche in un volume intitolato Tutto il mondo è attore, che curavo con Gerardo Guerrieri e Sandro D'Amico e con la collaborazione di Taviani, Cruciani e Ruffini: consisteva in una serie di interviste con uomini di teatro di quegli anni, ma anche con letterati, scienziati, su che cos'è l'attore da un punto di vista neurologico, fisiologico e così via... Era un'indagine a tutto campo sull'attore, non sullo spettacolo ». Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 11 novembre 2011). Cfr. “Tutto il mondo è attore”. Ipotesi per un'indagine

Abbiamo visto come Ferruccio Marotti sia incaricato di tenere le lezioni di Storia del teatro e dello spettacolo presso l'ateneo romano fin dal 1963; presto, sarà con lui un nutrito gruppo di neolaureati, anch'essi allievi di Giovanni Macchia, che, nella veste di assistenti volontari, lo affiancheranno nell'impresa di rifondazione della teatrologia italiana dentro e fuori l'università. Stiamo parlando della cosiddetta “scuola romana”, il primo nucleo unitario effettivamente e ufficialmente attivo nel processo di ridefinizione del paradigma disciplinare, dopo le grandi aperture operate da Marotti, Molinari e Zorzi nei primi anni Sessanta.

Ferdinando Taviani, d'origine genovese, si trasferisce a Roma piuttosto giovane, dove frequenta la Facoltà di Lettere e si laurea – sempre con Macchia – con un lavoro su Claudel; Fabrizio Cruciani studia nella medesima Facoltà e, anche se la sua intenzione iniziale sarebbe lo orienterebbe verso Storia del cristianesimo, infine – sempre con la guida di Macchia – si impegna nella stesura di una tesi su Copeau, a tutt'oggi un masterbook dell'argomento nel nostro Paese;89 Claudio Meldolesi,

invece, frequenta parallelamente l'università, l'Accademia Nazionale di Arte Drammatica – studia da attore – e le avanguardie dei movimenti politici (coinvolgimento che poi, per qualche anno, lo terrà in qualche modo laterale rispetto al lavoro del gruppo).90

Con loro ci sono, fin dagli inizi, Delia Gambelli, Clelia Falletti, Wanda Monaco. Insieme, oltre a prestare assistenza all'insegnamento, sono coinvolti da Ferruccio Marotti in un'impresa ambiziosa: fra il 1963 e il 1968, Marotti dirige, insieme ad Alessandro d'Amico, un progetto editoriale in

89 L'aneddoto che racconta l'avvicinamento di Fabrizio Cruciani agli studi teatrali e all'ambiente formativo in questione

è celebre. Qui, si intende raccontarlo con la fonte più diretta che è stato possibile recuperare, la testimonianza di Ferdinando Taviani, che torna sull'argomento in Contro il mal occhio: «[...] la causa prossima dei suoi studi teatrali fu Ambrogio Donini, storico del Cristianesimo ateo e marxista (marxista perché ateo, non viceversa), che il giorno che doveva fargli l'esame all'università di Roma restò a casa con l'influenza e lasciò a esaminarlo Padre Ilarino da Milano, cappuccino predicatore del Santo Padre, non molto sereno coi marxisti tranquilli e cocciuti. Così Cruciani non potè ottenere più d'un 24. Aveva desiderato laurearsi in Storia del Cristianesimo […]. Si laureò con un grande letterato, Giovanni Macchia, su Jacques Copeau, regista cattolico. […] È vero che Cruciani non ha avuto una naturale inclinazione al teatro. Ma ne ha sentito la vocazione». F. Taviani, Lo spazio del teatro e Fabrizio (1992), in Id., Contro il mal occhio, cit., p. 262.

Si preferisce qui integrare con una testimonianza estratta da un colloquio concesso all'autrice (L'Aquila, 21 marzo 2012). La scelta è ricaduta su questa prospettiva non solo per la primarietà della fonte: il dato interessante che emerge si rinviene nella possibilità di legare questo aneddoto a una riflessione più ampia sulla figura (anche teatrale e teatrologica) di Cruciani, rivelando rapporti possibili fra quell'interesse iniziale e il successivo coinvolgimento con le cose teatrali:

«Sulla storia di Cruciani ho riflettuto molto. E poi, alla fine, ho capito: era un marxista – razionalista, non un marxista d'azione (infatti non era iscritto al partito) –, seguiva Storia del cristianesimo perché era interessato alla possibilità di smantellare tutta una serie di idee “leggendarie”, non razionalmente fondate – questo faceva Donini: deputato del Partito Comunista, smantellava tutte le false credenze sulla storia del Cristianesimo. […] Quando Cruciani si è avvicinato al teatro, immediatamente ha trovato la stessa sete di smantellare tutto un modo di vedere».

90 Per la ricostruzione degli anni della formazione di Claudio Meldolesi, si rimanda di nuovo a una testimonianza di

Ferdinando Taviani: «Meldolesi si stava diplomando all'Accademia di Arte Drammatica, mentre studiava all'università e faceva politica nello scontento, già pronto '68. In lambretta, la coppola in capo, faceva la spola fra l'una e l'altra scuola. Si accorse che la professione dell'attore non era per lui. Ma essa si incistò nei suoi studi, vi scavò sotterranei». F. Taviani, Attor fino. Undici appunti in prima persona sul futuro di un'arte in via d'estinzione, «Teatro e Storia», XXIV, 31, 2010, p. 66.

Per il successivo temporaneo allontanamento dal gruppo, complice l'impegno attivo in politica, si rimanda ai documenti raccolti da Mirella Schino per il volume Il crocevia sul ponte d'Era (cit.), dove la studiosa si riferisce alla questione almeno in due momenti, dedicati entrambi all'analisi dei rapporti fra quella generazione degli studi e la coeva pratica scenica: nel primo caso, segnala che lo studioso «fino a quel momento (si parla della prima metà

degli anni Settanta, nda) era stato particolarmente impegnato in una attività di militanza politica che aveva ritardato

la sua conoscenza con l'Odin» (p. 315), citando una lettera scritta da Meldolesi a Taviani nel '75, dove lo studioso si scusa per «non aver[ti] cercato in passato più apertamente, un po' scettico sul fatto che dai vecchi rapporti potessero venirne di nuovi» (p. 316). Nel secondo caso, vi si riferisce descrivendo l'ambiente creato prima intorno alla cattedra di Giovanni Macchia, poi anche con la generazione successiva, dando notizia del temporaneo allontanamento dello studioso: «Al gruppo iniziale si aggiunse, poco più tardi, Claudio Meldolesi, cui l'esperienza in gruppi politici di estrema sinistra rese facile l'inserimento» (p. 343).

diversi volumi per Il Saggiatore di Alberto Mondadori intitolato Fonti e documenti per la storia del teatro italiano.91

In questo contesto, al gruppo si aggiungono Johann Drumbl e Franco Ruffini, all'epoca scrittore e professore di matematica e fisica nei licei, coinvolto per una consulenza sui trattati rinascimentali di scenografia.92 Ogni studioso si occupava di un ambito tematico specifico – si vedrà nella prossima

sezione il profilo metodologico e lo spessore scientifico –, andando a costituire quello che Ruffini definisce, in un'intervista, «un laboratorio di pensiero teatrale», in cui la spinta alla ridefinizione dei territori disciplinari si combina con un'eccezionale vocazione filologica e l'intreccio delle differenti formazioni degli studiosi si riversa in un approccio di straordinaria varietà. Il progetto non si concretizza nella maniera in cui lo si era immaginato – appunto, una storia unitaria del teatro italiano in diversi volumi fondata sui suoi documenti –, a causa di un mutamento e dei rapporti con l'editore; ma, si vedrà fra poco, tanto le condizioni di elaborazione teorico-metodologica che la concreta produzione scientifica di quegli anni vanno a costituire a tutti gli effetti l'ambiente in cui viene sostanzialmente reinventato il profilo degli studi teatrali italiani. Di più, quell'ambiente non scompare con la conclusione del progetto del Saggiatore: il gruppo di studiosi, per sviluppare la ricerca, dispone di un appartamento-studio. Lo studio delle Isole Pelagie – dal nome della via romana in cui è collocato – continua a rappresentare, almeno fino ai primi anni Settanta, un punto di incontro in cui si discutono e sviluppano i lavori per la collana “Biblioteca Teatrale” (nata nel '66 per i tipi di Bulzoni) e poi per l'omonima rivista (dal 1971). In questi anni, si aggiunge al gruppo Nicola Savarese, dopo la laurea in Storia del teatro e dello spettacolo, sempre alla Facoltà di Lettere di Roma.93

Così, gli studiosi che partecipano a questo ambiente di ricerca, sono riuniti insieme prima in un progetto unitario di grande ambizione – la storia documentaria per il Saggiatore –, poi, sempre sul versante scientifico, dai lavori per la collana e la rivista; parallelamente, sono impegnati nell'insegnamento universitario intorno a Ferruccio Marotti e, sempre su sua iniziativa, sono operativi in contesti più legati alla scena contemporanea, ad esempio con le trasmissioni radiofoniche di Terzo programma. Infine, il gruppo delle Isole Pelagie frequenta l'attivissimo Teatro Ateneo, che – assieme ad altri teatri della capitale – proprio fra gli anni Sessanta e Settanta ospita alcuni dei maggiori artisti teatrali dell'epoca.

Sono gli anni in cui il Living Theatre si trasferisce in Europa e comincia il suo contatto con l'Italia: arriva con The connection nel '61, nel '65 torna con Mysteries and smaller pieces e The brig (anche

91 Tutti gli studiosi che hanno preso parte al progetto, nelle testimonianze raccolte durante la fase di ricerca sul campo

alla base di questo studio, hanno raccontato la vicenda, ognuno arricchendo il materiale documentario con diversi elementi. Si danno pochissimi casi di discrepanza e, fra questi, soltanto uno che non è stato possibile sciogliere attraverso la comparazione con altre fonti, che qui si approfitta di esplicitare: non c'è concordanza sul numero di volumi previsto originariamente, che gli studiosi collocano fra i dieci e i venti; si può motivare tale contraddizione con lo statuto appunto eminentemente progettuale del lavoro, che come vedremo non si concluderà nelle modalità previste. Per questa ragione, nella stesura, si è evitato di dare riferimenti precisi a riguardo e si è preferito, qualora necessario, utilizzare termini quantitativi neutrali.

92 Così ricorda i fatti Ferruccio Marotti: «Franco Ruffini era un outsider: veniva da altri contesti e non aveva una

formazione specifica di studi teatrali, in qualche modo si è formato lì. Era un professore di fisica al liceo, l'avevo chiamato per una revisione matematica dei trattati di scenografia». Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 11 novembre 2011).

Questa, invece, la testimonianza diretta di Ruffini: «Non ero un frequentatore di teatro, ero un laureato in fisica che insegnava matematica al liceo e, nel frattempo, lavoravo al progetto di storia documentaria del teatro, ma unicamente perché conoscevo bene il latino e la matematica: mi occupavo di tutti i trattati di prospettiva e scenotecnica del Cinque e Seicento, per lo più scritti in latino e pieni di formule». Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 10 novembre 2011).

93 Nicola Savarese comincia a frequentare il gruppo dopo la conclusione del progetto per il Saggiatore, in seguito alla

sua laurea nel '72: «Quando sono andato a via Isole Pelagie, mi ero appena laureato con una sostanziosa tesi sulla tragedia del Cinquecento, due volumi, con un catalogo bibliografico e critico. E Ferruccio Marotti mi disse: “ma lei non è che vuole continuare all'università?”». Da una intervista concessa all'autrice (Roma, 20 marzo 2012).

a Roma), il Frankestein alla Biennale di Venezia, nel '66 con Le serve e Antigone. È il momento in cui si comincia a incontrare il lavoro dell'Odin Teatret di Eugenio Barba (nel '67 è a Ivrea e alla Biennale), di Grotowski (al festival di Spoleto nello stesso anno con Il principe costante), di Ariane Mnouchkine e dell'avanguardia nordamericana (Bread & Puppet e Open Theater).

Su suggerimento di un contributo storico-critico di Daniele Seragnoli che, alla fine degli anni Ottanta su «Teatro e Storia», affronta la questione dei rapporti fra quella prima stagione degli studi e le coeve avanguardie della scena,94 si può rendere l'idea del clima teatrale di quegli anni andando a

scorrere le pubblicazioni di una rivista attenta come «Sipario» (all'epoca diretta da Valentino Bompiani e con la cura redazionale di Franco Quadri) – Seragnoli non a caso si concentra sull'annata esemplare del 1965 –, dove c'è il ritorno critico-teorico di questa grande apertura internazionale: si parla di Artaud e di Grotowski, del caso Living e di Scabia, si fanno inchieste sulla drammaturgia italiana e sull'attore. Nel frattempo, c'è una avanguardia tutta italiana che si affaccia sui palcoscenici (fra gli altri, Carmelo Bene, Carlo Quartucci, Mario Ricci) ed esperimenti eccezionali, che creano immediatamente veri e propri “casi” (sia teatrali che politici), dall'allestimento alla Biennale veneziana del '65 di Zip di Giuliano Scabia con la direzione di Carlo Quartucci e il coinvolgimento di numerosi attori che saranno poi fra i maggiori esponenti del rinnovamento del teatro italiano, all'organizzazione del celebre Convegno di Ivrea nel '67.95

Non si tratta, ovviamente, di stabilire linee di influenza dirette fra la pratica teatrale di quegli anni e i contesti di formazione della neonata teatrologia; ma una breve e parziale panoramica dei maggiori avvenimenti della scena attorno alla metà degli anni Sessanta può essere utilizzata per rendere l'idea del clima in cui questa fase originaria di gestazione disciplinare ha mosso i primi passi. Le vicende della neoavanguardia, che vedono una inedita creatività italiana intrecciarsi con le punte di eccellenza della ricerca internazionale, si possono piuttosto osservare come elementi per rintracciare il senso del teatro di quegli anni: un'idea di fare (e vedere) teatro percepita davvero come nuova, come qualcosa di mai visto prima sulle scene italiane. Ricorda Ferdinando Taviani:

«Però, prima di Ferai, c'era stato il Living: Antigone, più ancora di Mysteries. Per l'Italia, sono state grandi scosse nel teatro. Io, personalmente, ero ossessionato da due o tre spettacoli che avevo visto quando ero ragazzino; poi, c'era l'ammirazione sconfinata per lo Strehler di quegli anni. Ma quando vedevi il Living – fra queste, è stata una delle prime compagnie che ho visto – ti faceva a pezzetti, andavi fuori di testa: non pensavi nemmeno fosse possibile qualcosa del genere a teatro. Era una scossa così forte, che ti faceva riflettere.

All'epoca eravamo tutti brechtiani, pensavamo che Brecht fosse in non plus ultra. Quando arriva il Living era come se ti scoppiasse una bomba in salotto, non si poteva restare indifferenti: scoprivi che il teatro aveva una dimensione che prima non si poteva neanche immaginare».96

Una delle indicazioni che è possibile trarre dallo studio di Seragnoli dedicato all'analisi dei rapporti fra studi e pratica teatrali va proprio in questo senso: non si tratta di individuare le linee di «una storiografia teatrale che si lega direttamente al fare artistico»;97 la possibilità di osservare gli

andamenti della creazione scenica di allora in rapporto al processo di rifondazione teatrologica,

94 Daniele Seragnoli, Elogio del disordine: annotazioni fra Cinque e Novecento, «Teatro e Storia», IV, 7, ottobre 1989,

pp. 355-383.

95 Per una ricostruzione più ampia e dettagliata delle vicende italiane del Nuovo Teatro, si veda almeno: M. De

Marinis, Il Nuovo Teatro. 1947-1970, cit.; Franco Quadri, L'avanguardia teatrale in Italia (Materiali 1960-1976), Einaudi, Torino 1977. Per, inoltre, un'analisi dei rapporti fra le neoavanguardie della scena e la coeva generazione di studiosi, si rimanda al già citato D. Seragnoli, Elogio del disordine, cit., pp. 355-383.

96 Da una intervista concessa all'autrice (L'Aquila, 21 marzo 2012). 97 D. Seragnoli, Elogio del disordine, cit., p. 364.

pertiene piuttosto a un più ampio campo di indagine, che ha a che fare con il clima socio-politico e culturale che si respirava in quegli anni. Così continua Seragnoli:

«Ma non fu solo il Living. Di molti altri fu la capacità di “coinvolgere” intellettualmente, di fare discutere e assumere responsabilità, di analizzare in sintesi il proprio dentro in rapporto a e attraverso il teatro. Alla luce di una cultura “underground”, di una creatività comune e comunitaria, con quel tanto di magico e di rituale che l'humus del tempo sembrava sprigionare mettendo in evidenza la possibilità di costruire relazioni tra la conoscenza e la consapevolezza di problematiche e bisogni attuali (e forse anche il sapere storico), e il territorio della sperimentazione e dell'esplorazione».98

Vedremo nella prossima sezione la qualità scientifica espressa da questa prima fase rivoluzionaria della teatrologia italiana, il suo portato in senso epistemologico e le conseguenze sulla delimitazione del campo di studio della nuova disciplina, sia per quanto riguarda i suoi orizzonti più strettamente teatrali che all'interno della dimensione dei rapporti con la pratica scenica di quegli anni.

L'ambiente riunito intorno a Marotti, si è detto, ha avuto inizialmente il ruolo di segnare un primo sostanziale movimento del paradigma disciplinare, definendone l'oggetto nei termini del fatto spettacolare, sancendone così l'indipendenza dall'ambito letterario e approntandone la strumentazione metodologica nel contesto di un rigoroso approccio critico-filologico, concretizzando, alla fine, in un movimento ampio e unitario gli inneschi operati nei primi anni Sessanta. Ma le pressioni che scuotono la prima fase degli studi non si concludono nel contesto di questo iniziale – e fondamentale – slittamento di paradigma, nei confronti di cui, ben presto, si avvertiranno movimenti di insoddisfazione e insofferenza. La storia della nuova teatrologia e delle sue trasformazioni riprende subito, con una profonda messa in discussione interna che, concentrandosi sui limiti teorico-metodologici emersi in questa prima fase di sperimentazione, prova già a immaginare nuove strade per la disciplina.

1.2.3 IL “TURNINGPOINT” DELPROCESSODIRIFONDAZIONE. GLISTUDITEATRALIPRIMAEDOPOIL 1970

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