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BAIE STORICHE (MEDITERRANEO) 1. Prassi mediterranea

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 27-31)

Come esempio paradigmatico di baia storica mediterranea potrebbe essere citato il caso del golfo di Venezia, termine con cui la Repubblica di Venezia, nei secoli XIV- XVII, indicava l’intero Adriatico su cui pretendeva di esercitare giurisdizione marittima esclusiva, vietando l’accesso, in nome dei propri in-teressi vitali, di navi, da guerra e mercantili, straniere non autorizzate. La prassi veneziana fu teorizzata da Paolo Sarpi nel suo Dominio del mare Adriatico della Serenissima Repubblica di Venezia del 1616 sostenendo che: «Venezia si è fatta padrona di tutto il Golfo [che] era serrato e limitato, posseduto e custodito con fatica e spese da tempo immemorabile»: A parte gli aspetti geografici della conformazione dell’Adriatico che non può evidentemente essere considerato un golfo in senso proprio, la pretesa veneziana appare significativa perché basata su elementi giuridicamente rilevanti secondo l’attuale teoria delle baie storiche. Peraltro il de Cussy, nel suo Phases et Causes Célèbres du Droit Maritime des Nations (Lipsia, 1856), cita sì il golfo di Venezia tra le baie storiche, ma correttamente lo limita geograficamente alla parte nord dell’Adriatico in prossimità di Venezia tra la foce del Po e l’Istria.

Le prime iniziative moderne assunte da paesi mediterranei in materia di chiusura di baie risalgono all’Egitto che, con decreto reale del 15 gennaio 1951, provvide a inserire all’interno di un sistema di linee di base i golfi di Solum, Abu Hashaifa, El Arab, Pelusium ed El Arish aventi, rispettivamente, una aper-tura di 45, 31, 94, 49 e 65 miglia.

Nessuna di queste insenature è stata però rivendicata dall’Egitto come una zona di «acque storiche», anche se il golfo di El Arab è citato nell’apposito Memorandum sulle «Historic Bays» elaborato dal Se-gretariato delle Nazioni unite per la I Conferenza del Diritto del mare del 1958.

Successivamente è stata la Tunisia, con la legge 4573 del 2 agosto 1973, a chiudere i golfi di Tunisi e di Gabes la cui apertura è, rispettivamente, di 38 e 46 miglia. Entrambi i golfi erano peraltro già stati com-presi nella casistica trattata nel suindicato Memorandum delle NU, in quanto la Tunisia aveva esercitato, sin dal XIX secolo, forme di giurisdizione esclusiva su di essi in materia di sfruttamento delle specie ma-rine sedentarie (v. pescherie sedentarie) e sul controllo della relativa attività di pesca.

In aggiunta a tali casi ci sono poi le note e controverse chiusure del golfo della Sirte e del golfo di Ta-ranto la cui situazione può riassumersi come segue.

2. Golfo della Sirte

La chiusura dell’intero golfo della Sirte è stata attuata dalla Libia con decreto del Consiglio della guida della rivoluzione del 9 ottobre 1973, prevedendo il tracciamento di una linea di base di 306 mn di lun-ghezza tra le città di Bengasi e Misurata, alla latitudine 32° 30’. Nel comunicato del Governo libico emesso in concomitanza con l’emanazione del suindicato decreto, si giustifica l’iniziativa con il fatto che «I diritti di sovranità sul golfo della Sirte sono stati esercitati senza alcun contrasto, durante i lunghi periodi della storia».

In relazione a ciò, il golfo è stato inserito nell’ambito della categoria delle baie storiche. La dichiarazione libica richiama peraltro l’esistenza di interessi vitali come fondamento della sovranità.

Non sono note, ciononostante, prese di posizione, ufficiali o ufficiose, della Libia volte a documentare fatti e circostanze su cui si basa il titolo storico acquisitivo della sovranità. Per questo motivo gli Stati Uniti hanno eccepito sin dal primo momento — per poi passare, nel 1986, alla nota fase di confronto ar-mato — che l’iniziativa libica doveva considerarsi una «inaccettabile violazione del Diritto internazionale»,

non riscontrandosi nella fattispecie quel requisito dell’esercizio di autorità sulla zona «remoto, effettivo, notorio, continuo e con l’acquiescenza dei paesi stranieri» posto a base della teoria delle baie storiche.

Tra l’altro, il dissenso degli Stati Uniti nei confronti delle pretese marittime eccessive della Libia è di antica data ed è documentato.

Sin dal 1801 gli Stati Uniti rifiutarono di con-cludere un accordo con il Pashà di Tripoli per ottenere la libertà di transito nelle acque co-stiere della Libia dei mercantili statunitensi og-getto di attacchi di pirateria (v.) in cambio del pagamento di un tributo; successivamente ne nacque un conflitto che portò, nel periodo dal 1803 al 1805, al blocco statunitense di Tripoli, alla cattura da parte libica della fregata ameri-cana Philadelphia e a un’azione di forza dei Ma-rines in territorio libico.

In assenza di concreti riferimenti documen-tali è stata avanzata la tesi che l’esercizio della giurisdizione sull’area possa farsi risalire al periodo della dominazione italiana quando, con il R.D. 27 marzo 1913 n. 312, sulla pesca marittima nella Tripolitania e nella Cirenaica, furono emanate disposizioni intese a regola-mentare la pesca delle spugne al di là del li-mite delle 3 miglia delle acque territoriali. Tale possibilità è stata tuttavia esclusa in conside-razione del fatto che non è ben chiaro se i ban-chi spongiferi su cui venivano esercitati diritti esclusivi di sfruttamento si trovavano proprio all’interno della Sirte.

È egualmente considerata senza fondamento l’opinione di chi ritiene che l’appropriazione dell’area (avente una superficie di circa 22.000 miglia quadrate) possa giustificarsi facendo

ri-corso alla teoria, di stampo geopolitico più che giuridico, delle cosiddette «baie vitali» che ammette la terri-torializzazione di una baia sulla base delle fondamentali esigenze economiche e di difesa di una nazione.

E circa le caratteristiche geografiche va notato che, a fronte di un’apertura di 306 miglia, la Sirte ha una profondità massima, nel punto di maggiore concavità della costa, di sole 125 miglia. Questa circo-stanza, cui è correlato il fatto che la superficie dell’area è nettamente inferiore a quella del semicerchio avente come diametro la linea di chiusura, fa sì che l’insenatura, essendo priva della caratteristica di marcata indentazione nella terraferma, non possa definirsi una «baia» né dal punto di vista geografico né da quello giuridico. In relazione a queste premesse è convincimento quasi unanime, in campo inter-nazionale, che la chiusura del golfo della Sirte, non sia legittima (l’iniziativa libica risulta essere stata ri-conosciuta esclusivamente da Siria e Sudan). Molti paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Grecia, Malta e UK) hanno espresso negli anni Settanta del secolo scorso riserve in merito. Una nota di protesta è stata formulata nel 1985 dall’ambasciata olandese a Tripoli per conto della Comunità europea affer-mando l’illegalità della «proclamazione, contrariamente al vigente diritto consuetudinario internazionale, della sovranità libica sulla totalità delle acque del golfo della Sirte».

Nel 2005 la pretesa libica — a seguito del provvedimento di creazione della Zona di protezione della pesca (v. Pesca (Mediterraneo) — è stata nuovamente contestata dall’Unione europea, con la nota verbale n. 08/2005, durante la presidenza britannica, riguardo ai suoi limiti esterni spostati verso il largo per ef-fetto di linee di base non conformi al diritto internazionale.

Baie storiche a confronto: Pietro il Grande, golfo di Taranto e golfo della Sirte (Fonte: Francalanci).

3. Golfo di Taranto

È qualificato come «baia storica» dal D.P.R. 26 aprile 1977, n. 816 sulle linee di base del mare territoriale italiano che ne ha previsto la chiusura con una linea (della lunghezza di 60 miglia) tracciata tra S. Maria di Leuca e Punta Alice. L’insenatura è una baia in senso giuridico in quanto ha una superficie pari a quella del semicerchio che ha come diametro la linea di chiusura e presenta, perciò, caratteristiche di marcata indentazione nella terraferma. Questa circostanza, cui è collegata quella particolare situazione di sottoposizione al dominio terrestre che è presupposto dell’esercizio di diritti esclusivi di sovranità, trova anche conferma nel fatto che le fauces terrarum del golfo (penisola salentina e Calabria) sono di no-tevole lunghezza e modesta larghezza.

Gli elementi su cui si basa la storicità non sono stati indicati dal nostro paese né al momento della emanazione del suindicato provvedimento sulle linee di base né in altre precedenti o successive occasioni.

Il caso del golfo di Taranto è inoltre ignorato dalla letteratura sulle baie storiche a eccezione del già citato de Cussy (Phases et Causes Célèbres du Droit Maritime des Nations, del 1856) che lo enuncia assieme a quelle della baia canadese di Hudson, al golfo del Messico e ai golfi italiani di Napoli e Salerno. Per questo mo-tivo sono state avanzate riserve nei confronti della iniziativa italiana, sia da parte della dottrina interna-zionalistica sia da parte degli Stati Uniti che, nell’ambito del «Freedom of Navigation Programme»

(FON), il quale prevede l’opposizione alle pretese marittime giudicate non conformi al Diritto interna-Carta nautica dell’Istituto Idrografico della Marina riportante la linea di chiusura del golfo di Taranto (Fonte: IIM).

zionale, hanno manifestato le loro perplessità con una prima nota diplomatica di protesta, nel 1984, e con successive iniziative di contestazione. Il caso è stato discusso in riunioni bilaterali, nel 1984, nel corso delle quali gli Stati Uniti hanno esposto il convincimento che al golfo non possa essere legittimamente attribuito lo status di baia storica, in mancanza dei requisiti necessari. La posizione ufficiale degli Stati Uniti è che: «a coastal state claiming such status for a body of water must over a long period of time have openly and continually claimed to exercise sovereignty over the body of water, and its claims must have resulted in an ab-sence of protest of foreign States, amounting to acquiescence on their part».

Il 24 febbraio 1982, prima della protesta statunitense, si era verificato il caso del transito nel golfo di Taranto, in immersione, di un sommergibile (v.) di nazionalità sconosciuta (identificato come un som-mergibile sovietico classe «Victor») in contrasto con il regime del divieto di transito nelle acque interne (v.): l’intrusione — che l’ex Unione Sovietica non ha comunque mai rivendicato come una propria ini-ziativa — può essere considerata, per le modalità con cui si è svolta, una forma di contestazione implicita della sovranità italiana sul golfo.

Anche la Gran Bretagna (dichiarazione del 13 ottobre 1981 alla House of Lords) ha manifestato riserve sostenendo che: «Italy claims gulf of Taranto as internal waters. This is not consistent with our interpretation of the 1958 Geneva Convention on the territorial sea».

Di fronte a queste contestazioni, da parte di alcuni studiosi è stata avanzata la tesi che il fondamento della decisione italiana vada ricercato in quella normativa (Ginevra I,4,1; UNCLOS 7, 1 ) che consente a uno Stato di chiudere una baia la cui apertura ecceda le 24 mn, quando questa sia inserita in una costa che contenga «profonde indentazioni» e sia «frastagliata». Secondo questa teoria — che evidentemente ri-tiene indifendibile la rivendicazione di storicità per l’impossibilità di dimostrare l’esistenza di adeguati titoli — la linea di chiusura del golfo di Taranto sarebbe, in sostanza, «un segmento di una linea di base retta tracciata lungo l’intera costa jonica».

In realtà la storicità del golfo di Taranto è molto meno evanescente di quanto si ritenga. La sua chiu-sura rappresenta, infatti, il punto di arrivo di un processo lunghissimo di appropriazione dell’area, du-rato più di duemila anni, nel corso del quale, in diversi periodi della storia, vi è stata una coscienza e volontà di considerare il golfo di Taranto come area di esclusivo dominio. Il termine di riferimento giu-ridico cui fare ricorso è la nozione dell’immemorabile, concetto che non richiede il possesso continuo animus domini di un’area, ma fa invece riferimento a una «situazione di fatto costituita da tempo immemo-rabile le cui origini si perdono nel passato e contro cui non è dato provare alcuna situazione diversa o contraddit-toria». Da questo punto di vista il titolo storico principale del nostro paese sta dunque nell’uso esclusivo della zona, da tempo immemorabile, da parte delle popolazioni locali per i propri interessi di sicurezza e di pesca che è attestato in varie epoche da fatti e circostanze di varia natura i cui punti salienti sono:

— il trattato tra Roma e Taranto del IV sec. a.C., al tempo della Magna Grecia, che interdiceva ai Romani l’accesso al golfo vietandone la navigazione oltre Capo Lacinio (l’odierno Capo Colonne). Il trattato è citato da Appiano (Storia di Roma, De Rebus Samn., VII), storico del II sec. a.C. Da notare che l’azione dei Romani, nel 282 a.C., intesa a

infran-gere il divieto di navigazione nel golfo (unica ini-ziativa di protesta di un «paese straniero» nei confronti del possesso sulla zona da parte dello Stato del territorio di cui si ha notizia prima della recente contestazione degli Stati Uniti di cui s’è detto) fu contrastata con la forza dai Tarentini originando un lungo periodo di ostilità tra i due popoli;

— il controllo esclusivo dell’area da parte delle genti della Magna Grecia (oltre alla colonia di Ta-ranto, si affacciavano sul golfo quelle di Meta-ponto, Turi ed Eraclea, la cui fondazione risale all’VIII sec. a.C.) che è espressamente ricono-sciuto da Strabone (Geografia, VI, 1, 2), storico del I sec. a.C.;

Demarcazione del golfo di Taranto tra Romani e Tarantini secondo «antichi trattati» (Fonte: Nistri-Lazzarini).

— i diritti esclusivi di pesca reclamati dai Tarentini sulla zona più pescosa del golfo (il banco di Amendolara prospiciente Roseto Capo Spulico) sulla base di provvedimenti emanati dai viceré spa-gnoli del Regno di Napoli in varie epoche, a partire dal XV sec. (il primo documento che ne regolamenta l’esercizio è il cosiddetto

«Libro Rosso» di Taranto del 1463);

— il divieto di navigazione all’interno del golfo, a nord della congiungente Capo Trionto-Torre Madonna dell’Alto, stabilito per esigenze militari, durante la Prima guerra mondiale, con Decreto Luogotenenziale 24 agosto 1915, n. 1312.

Vedi anche: Riserve e parchi marini;

Santuario per la protezione dei cetacei.

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 27-31)