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DELIMITAZIONE 1. Principi generali

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 39-43)

La I Convenzione di Ginevra del 1958 (art. 12, 1) in materia di delimitazione delle acque territoriali (v.), tra Stati con coste opposte o adiacenti, prevedeva il principio base che, in mancanza di accordo, uno Stato potesse «to extend its territorial sea beyond the median line every point of which is equidistant from the nearest points on the baseline from which the breadth of the territorial seas of each of the two States is measured», salvo correzioni in caso di «special circumstances». Analoga era la norma relativa a zona contigua (v.) e piattaforma continentale (v.). Il valore giuridico obbligatorio del criterio dell’equidistanza nei confronti degli Stati che non erano parti della convenzione di Ginevra è stato negato dalla Corte internazionale di giustizia (v.) nella sentenza del 1969 relativa alla piattaforma continentale del Mare del Nord (contro-versia tra Germania, Olanda e Danimarca). In tale occasione, e in successive sentenze, la Corte ha

soste-nuto che la delimitazione deve farsi dalle parti interessate di comune accordo, secondo principi equitativi, prendendo in considerazione criteri pertinenti, primo fra tutti quello della proporzionalità tra lo sviluppo costiero di uno Stato (cosiddetta facciata marittima) e le zone di piattaforma attribuite allo stesso Stato.

A questo risultato la Corte era pervenuta considerando che le aree del fondale non appartengono allo Stato costiero per il solo fatto di ricadere in prossimità del suo territorio, quanto piuttosto perché sono

«a prolongation of its land territory under the sea». A parere della Corte l’applicazione del criterio dell’equi-distanza può invece portare ad attribuire a uno Stato aree di piattaforma che sono il prolungamento na-turale della terraferma di un altro Stato in contrasto con il principio per cui «la terra domina il mare»

(land dominates the sea).

Di tale indirizzo ha tenuto conto l’UNCLOS quando ha disciplinato la delimitazione degli spazi marini extraterritoriali agli articoli 74, 1 e 83, 1 — relativi rispettivamente alla ZEE e alla piattaforma continentale

— stabilendo che «La delimitazione (…) tra Stati con coste opposte o adiacenti viene effettuata per accordo sulla base del diritto internazionale, come previsto all’articolo 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, al fine di raggiungere una soluzione equitativa». In questo modo al metodo «equidistanza/circostanze speciali»

è stata sostituita la regola dell’«risultato equitativo». Come giustamente viene notato l’UNCLOS non in-dica la norma sostanziale che regola la materia delle delimitazioni non essendo stato possibile, durante la conferenza diplomatica di codificazione, raggiungere il consenso sulla definizione di ben precise regole di delimitazione. Varie decisioni della Corte internazionale di giustizia e del tribunale del Diritto del mare (v.) danno tuttavia concretezza alla metodologia delle delimitazioni. Nella sentenza del 1985 relativa al caso della piattaforma continentale Malta-Libia la Corte, non accogliendo le tesi espresse da Malta, aveva in particolare stabilito che «there was no reason to assign a role to geographical or geophysical factors when the distance between the two States was less than 400 miles (as in the instant case). It also considered that the equidistance method did not have to be used and was not the only appropriate delimitation technique». Tra le tante decisioni possono citarsi quelle del: 1984 tra Canada-Stati Uniti relativa al Golfo del Maine; 1993 tra Danimarca-Norvegia relativa alla Groenlandia e all’isola Jan Majen; 2001 tra Bahrain e Qatar; 2009 tra Romania-Ucraina; 2012 tra Colombia-Nicaragua, 2017 Ghana-Costa d’Avorio. A esse vanno aggiunte altre importanti sentenze arbitrali rese nel 1985 tra Guinea-Guinea Bissau, nel 1992 tra Canada-Francia relative alle isole di Saint Pierre e Miquelon e nel 1999 tra Yemen ed Eritrea.

2. Criteri delimitazione

La metodologia indicata in tali sentenze si articola su tre pas-saggi (c.d. «three steps process» e cioè: 1) tracciamento preliminare di una linea di equidistanza geometrica tra le coste rilevanti degli Stati interessati; 2) rettifica successiva se esistono «circostanze rile-vanti che esigano l’aggiustamento o lo spostamento di tale linea al fine di ottenere un risultato equitativo», quali la proporzionalità tra la lunghezza delle coste rilevanti da prendere a base per la delimi-tazione; 3) esecuzione di un test di proporzionalità mediante com-parazione tra l’estensione delle aree marine da attribuire a ciascuna parte e la lunghezza delle rispettive coste rilevanti al fine di verificare il carattere equitativo del risultato raggiunto.

Le circostanze rilevanti che possono essere considerate caso per caso come principi equitativi, in aggiunta a quella della pro-porzionalità, sono state individuate dalla dottrina, tenendo conto della giurisprudenza internazionale, in fattori quali: la configurazione generale della costa che possa, per esempio, pe-nalizzare uno Stato caratterizzato da una conformazione co-stiera concava (come nel caso della Germania nella già citata controversia del Mare del Nord del 1969); la presenza di isole;

la struttura geologica del fondale (per esempio presenza di gia-cimenti di idrocarburi) o la sua conformazione morfologica (per esempio canyon o montagne sottomarine); la disparità di

lun-Costruzione confine della piattaforma conti-nentale Malta-Libia (Fonte: ICJ).

ghezza tra le coste rilevanti, la loro direzione gene-rale e la distanza tra di esse; l’esistenza di circo-stanze storiche, politiche ed economiche ovvero attinenti la navigazione.

Un certo peso nella definizione di un confine può anche avere gli interessi di difesa e di sicurezza di uno Stato. Al riguardo, nella citata sentenza del 1985 tra Malta-Libia, la Corte ha precisato segue:

«[Entrambe le Parti] si sono riferite a quando questo concetto legale [di piattaforma] è emerso per la prima volta nel Proclama Truman. Comunque nel presente caso nessuna delle due parti ha sollevato la questione se il di-ritto attuale attribuisca allo Stato costiero particolari competenze nel campo militare sulla sua piattaforma continentale, incluse quelle relative al collocamento di apparecchiature militari». Tale utilizzo militare della piattaforma continentale può ipotizzarsi qualora ven-gano collocate, anche in tempo di pace, mine dormienti, ordigni per la lotta antisommergibile, idrofoni.

3. Confini acque territoriali, zona contigua e zona archeologica

Per ciò che concerne la delimitazione di acque territoriali (v.), zona contigua (v.) e zona archeologica (v.) i criteri adottati dall’UNCLOS sono diversi da quelli valevoli per ZEE e piattaforma continentale. In particolare l’UNCLOS ha:

— confermato la regola secondo cui la delimitazione delle acque territoriali, in mancanza di accordo, è data dalla linea mediana «di cui ciascun punto equidistante dai punti più prossimi delle linee di base dalle quali si misura la larghezza del mare territoriale di ciascuno dei due Stati» (in questo caso, mediana è quindi sinonimo di equidistanza), fermo restando la possibilità di apportarvi le correzioni rese necessarie dal-l’esistenza di circostanze speciali o di titoli storici (UNCLOS 15);

— eliminato ogni regolamentazione della delimitazione della zona contigua (v.) tra Stati con coste op-poste, nel caso di distanza tra le linee di base dei due Stati inferiore alle 24 miglia, consentendo in tal modo la sovrapposizione delle rispettive zone contigue (UNCLOS 33, 2). Secondo un’autorevole inter-pretazione, tra gli Stati parte della I convenzione di Ginevra del 1958 sarebbe tuttavia ancora in vigore il principio ivi previsto all’art. 24, n. 3 secondo cui nessuno Stato, a meno di diverso accordo, può esten-dere la sua zona contigua al di là della mediana. Questo approccio è stato seguito dall’Italia nella Legge 23 ottobre 2009, n. 157 di ratifica della convenzione UNESCO sul patrimonio culturale sommerso (v.) stabilendo all’art. 3 che quando la zona archeologica «... si sovrappone con un’analoga zona di un altro Stato e non è ancora intervenuto un accordo di delimitazione, le competenze esercitate dall’Italia non si estendono oltre la linea mediana di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 8 febbraio 2006, n. 61 [relativa alla ZPE]».

4. Confini ZEE e piattaforma continentale

Ci si chiede se i principi e i metodi per la delimitazione della piattaforma continentale siano gli stessi adottabili per la ZEE. La disciplina dell’UNCLOS è in materia identica, in quanto l’art. 74, 1 relativo alla ZEE è perfettamente speculare rispetto all’art. 83,1 riguardante la piattaforma. Il principio è sempre lo stesso: raggiungimento di un risultato equitativo senza obbligo di adottare alcun metodo prefissato. Val-gono quindi per la ZEE i criteri di delimitazione elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina interna-zionale per la piattaforma continentale. Solo che alcune «circostanze rilevanti» si attagliano specificatamente alla ZEE, com’è per quelle biologiche, ecologiche ed economiche riguardanti l’ecosi-stema complessivo dell’area da spartire o gli interessi di pesca tradizionale delle comunità locali.

Non esiste nessun obbligo di far coincidere ZEE e piattaforma continentale. L’ipotesi normale è da rite-nersi tuttavia quella della completa sovrapposizione della colonna d’acqua al fondale nell’ambito del limite delle 200 mn dalle linee di base del mare territoriale adottando un confine monolineare come previsto dagli accordi di delimitazione tra Cipro e Israele del 2010 e tra Cipro ed Egitto del 2003 (v. ZEE-Mediterraneo).

Analoga soluzione è stata adottata da Francia e Italia nel definire, con l’accordo di Caen del 21 marzo 2015 Effetto ridotto isole su linea di delimitazione (Fonte: Hellenic

Naval Academy).

(non ancora entrato in vigore al 2020), le frontiere ma-rittime di ZEE e piattaforma continentale oltre che delle rispettive acque territoriali. Rilevante è anche il fatto che la Corte internazionale di giustizia (CIG) in molti casi (come quelli del golfo del Maine, Nicara-gua/Colombia, Romania/Ucraina, Perù/Cile), abbia applicato, su richiesta delle parti, il sistema del con-fine unico. La stessa CIG, nella sentenza del 2001 sul Caso Qatar v. Bahrain al para 169, ha osservato che

«...the concept of a single maritime boundary does not stem from multilateral treaty law but from State practice, and that it finds its explanation in the wish of States to esta-blish one uninterrupted boundary line delimiting the va-rious — partially coincident — zones of maritime jurisdiction appertaining to them».

In teoria è comunque sempre possibile che la de-limitazione del fondo marino facente parte della piattaforma continentale di uno Stato diverga da quella della colonna d’acqua sovrastante di cui lo stesso Stato ha la titolarità nell’ambito della ZEE. In risposta alla proclamazione unilaterale croata della Zona di protezione ecologica e della pesca del 2003 che adotta come limite della nuova zona quello della sottostante piattaforma continentale, l’Italia, con nota verbale del 15 marzo 2006 (UN LOS Bulle-tin n. 60, p. 127) ha dichiarato che «there is no legal

foundation for the automatic extension, however provisional, of the seabed line of delimitation agreed upon in 1968 to superjacent waters» (v. Pesca (Mediterraneo).

Le difficoltà di pervenire a un accordo, nel caso in cui le parti non riescano a raggiungere in uno spirito di comprensione e cooperazione, accordi provvisori di natura pratica (UNCLOS, 74, 3; 83, 3). Un esempio in materia è costituito dall’accordo tra Algeria e Tunisia dell’11 febbraio 2002 re-lativo sia agli spazi di acque ter-ritoriali sia a quelli di piattaforma continentale e ZEE (v. Acque ter-ritoriali-Mediterraneo).

Vedi anche: Baia di Pirano;

Bocche di Bonifacio e Golfo di Trieste (Acque territoriali Me-diterraneo);

Linea di equidistanza provvisoria ZEE Romania-Ucraina (Fonte: ICJ).

Linee separate di giurisdizione ZEE e PC: caso Australia-Indonesia (Fonte: Australian Gov.).

DEMILITARIZZAZIONE

L’imposizione di vincoli relativi al divieto dell’uso delle armi in determinate zone costiere o in speci-fiche zone di mare non trova la sua fonte nel principio generale dell’uso pacifico dell’alto mare (UNCLOS 88). Questo principio ha, infatti, un contenuto programmatico e non impone agli Stati obblighi di com-portamento diversi da quello (UNCLOS 301) di «astenersi da qualsiasi minaccia o uso della forza contro l’in-tegrità territoriale o l’indipendenza di qualsiasi Stato, o contraria ai principi di diritto internazionale recepiti nella Carta delle Nazioni unite».

Se intesa come divieto di installazioni o di attività militari, la demilitarizzazione trova dunque il suo fondamento esclusivamente in specifici accordi internazionali o in norme consuetudinarie. In particolare:

— la proibizione di effettuare test di armi atomiche in acque internazionali non è stabilita da alcun trattato di portata generale. È tuttavia opinione della dottrina che un tale divieto abbia natura di regola consuetudinaria dovendosi ritenere che esso sia preordinato a non intaccare la libertà dei mari (v.) con un uso che ne limiterebbe altrimenti la portata. La questione è stata affrontata in via incidentale avanti la Corte internazionale di giustizia nel caso Australia-Nuova Zelanta/Francia per gli esperimenti nucleari nell’atollo di Mururoa nella Polinesia francese;

— il trattato antartico del 1o dicembre 1959 prevede che l’Antartide «sarà usato esclusivamente per fini pacifici» e che «qualsiasi misura di carattere militare, quale l’installazione di basi militari e di fortificazioni, l’ese-cuzione di manovre militari, e la prova di qualsiasi tipo di armi sarà proibita»;

— il trattato di non proliferazione nucleare, firmato a Londra, Mosca e Washington il 1o luglio 1968, riconosce il diritto di gruppi di Stati di concludere accordi regionali per la creazione di zone marittime denuclearizzate (nuclear free zones). In tali zone, che sono vincolanti solo per gli Stati aderenti e non pon-gono quindi limitazioni ai diritti degli Stati terzi, resta impregiudicato il libero uso del mare, ivi compresa la libertà di navigazione delle navi a propulsione nucleare. Esse sono state istituite nell’area: a) latino-americana, con il trattato di Tlatelolco del 1967; b) del Sud Pacifico, con il trattato di Rarotonga del 1985;

c) africana, con il trattato di Pelindaba dell’11 aprile 1996. Da anni è in corso il tentativo di istituire anche una zona denuclearizzata (NWFZ dall’acronimo di Nuclear Weapons Free Zone) in Medio Oriente a suo tempo auspicata dalla UNGA Resolution 3263 (1974). Il Segretario generale delle NU nel suo Rapporto del 2019. Il , ha messo in chiaro che «a zone would comprise the national territories of two or more neighboring States, including their territorial waters and airspace. It would also be possible for States separated from each other by high-sea areas or otherwise to form a nuclear-weapon-free zone. Furthermore, a nuclear-weapon-free zone might be extended by agreement into geographical areas not under the jurisdiction of any State, for instance sea areas be-yond territorial waters»; per poi concludere che «decision not to make [nuclear weapons] will have to be affir-med and reaffiraffir-med again and again by the Governments and peoples of the region. A nuclear-weapon-free zone can be the effective framework within which that decision is formulated, carried out, and sustained»;

— il trattato dell’11 febbraio 1971, firmato da Londra, Mosca e Washington, proibisce la posa di armi nucleari o di altre armi di distruzione di massa sul fondo e sul sottofondo marino.

DEMILITARIZZAZIONE (MEDITERRANEO)

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 39-43)