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PROTEZIONE DELL’AMBIENTE MARINO 1. Principi generali

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 139-142)

Gli Stati hanno l’obbligo di proteggere e preservare l’ambiente marino (UNCLOS, 192). A questo fine possono emanare norme per prevenire i vari tipi di inquinamento marino provenienti da terra, da attività svolte sui fondi marini soggetti alla giurisdizione nazionale o nell’area internazionale dei fondi marini (v.), da immersione, dall’atmosfera, o da navi. La competenza in materia di prevenzione e repressione dell’inquinamento marino derivante da navi spetta allo Stato costiero nell’ambito delle acque territoriali (v.) o della ZEE (v.). In questo quadro può essere stabilito che il rispetto di particolari requisiti antinqui-namento sia una condizione per la navigazione di navi straniere nelle acque territoriali e nella ZEE.

L’inosservanza di tali condizioni legittima l’esercizio di poteri di polizia da parte dello Stato costiero (UNCLOS, 220) che, ove esistano prove dell’illecito commesso, può sottoporre a fermo e sequestro la nave. Nel caso in cui il rilascio della nave fermata non avvenga prontamente lo Stato di bandiera può deferire (UNCLOS, 292,1) la questione della revoca del fermo a qualsiasi corte o tribunale designato di comune accordo con lo Stato costiero, ovvero, in mancanza di accordo, a un tribunale la cui giurisdizione sia stata preventivamente accettata dallo Stato che ha proceduto al fermo (UNCLOS 287) ovvero al tri-bunale internazionale per il diritto del mare (v.). Per ciò che concerne le navi a propulsione nucleare o trasportanti materiale nucleare è appositamente previsto (UNCLOS, 23), ai fini del transito inoffensivo (v.) nelle acque territoriali, il possesso di una specifica documentazione di sicurezza nonché il rispetto di particolari misure precauzionali stabilite dalla normativa internazionale, il cui testo fondamentale è la convenzione di Londra del 1974 sulla sicurezza della navigazione (v. Sicurezza marittima).

Allo Stato costiero spettano poteri di intervento anche al di fuori delle proprie acque territoriali per evitare che da un sinistro marittimo avvenuto in alto mare (v.) possano derivare danni da inquinamento di notevoli proporzioni alle proprie coste e alle aree marine adiacenti (UNCLOS 221). Lo Stato del porto in cui si trovi una nave che abbia causato un inquinamento in alto mare può inoltre instaurare un pro-cedimento giudiziario nei confronti dell’unità sospettata di aver commesso il fatto (UNCLOS 218). Qua-lora l’inquinamento sia avvenuto in zone di mare soggette alla giurisdizione di un altro Stato è necessario che questi autorizzi l’esercizio dell’azione giudiziaria.

L’assistenza reciproca tra gli Stati, per contrastare l’inquinamento marino, costituisce oggetto della In-ternational Convention on Oil Pollution Preparedness, Response and Cooperation, 1990 (OPRC). Gli Stati, attraverso le competenti organizzazioni internazionali possono stabilire regole e standard internazionali per prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento proveniente da navi; a questo fine possono anche adot-tare sistemi di separazione del traffico in modo da minimizzare i pericoli di sinistri che possano causare danni all’ambiente marino (UNCLOS 221). Un altro provvedimento adottabile a questo fine, secondo UN-CLOS 211, 6, è la creazione su autorizzazione dell’IMO di un’area marina particolarmente sensibile (v.)

Le navi da guerra (v.) e le navi in servizio governativo (v), essendo dotate di immunità sovrana (v.), sono del tutto esentate dall’osservanza della normativa internazionale in materia di protezione ambien-tale (UNCLOS 236). Nessuna limitazione riguardante la materia può dunque essere loro imposta dallo Stato costiero per condizionarne il transito nelle zone di propria giurisdizione. Lo Stato di bandiera deve tuttavia fare in modo che sia assicurato egualmente il rispetto della normativa ambientale mediante l’adozione di appropriate misure che non ne diminuiscano la capacità operativa. Analoga esenzione è prevista dalla International Convention for the Prevention of Pollution from Ships, 1973 (MARPOL): la convenzione ha, a oggetto, il divieto di scaricare in mare sostanze inquinanti ed è corredata da allegati riguardanti la prevenzione dell’inquinamento causato da: idrocarburi (allegato I); sostanze liquide dan-nose trasportate alla rinfusa (allegato II); sostanze liquide trasportate in colli, contenitori, cisterne mobili ecc. (allegato III); acqua usata dalle navi (allegato IV) e rifiuti delle navi (allegato V). L’attuazione, nel-l’ordinamento italiano, del regime di prevenzione stabilito dalla MARPOL è avvenuta con la Legge 31 dicembre 1982 n. 979 sulla Difesa del Mare che vieta a tutte le navi di versare idrocarburi o altre sostanze nocive nelle acque territoriali o interne del nostro paese. La stessa legge impone anche alle navi nazionali di non scaricare in mare tali sostanze al di fuori delle acque territoriali italiane.

Si propone finalità di protezione dell’ambiente marino (oltre che della sicurezza della navigazione) anche la convenzione di Nairobi del 18 maggio 2007 sulla rimozione del relitto (v.) di navi affondate, che attribuisce poteri di intervento allo Stato costiero nelle acque interne, nelle acque territoriali, nella ZEE o, se la ZEE non è stata ancora istituita, nella Zona convenzione Nairobi (v.).

2. Zona di protezione ecologica

Si rinvia, in materia, alla trattazione contenuta nella voce, Protezione dell’ambiente marino (Medi-terraneo).

3. Area marina protetta

In termini generali, per area marina protetta (MPA dall’acronimo di maritime protected area) si intende una zona di mare circoscritta in cui lo Stato costiero istituisce un particolare regime di protezione idoneo a prevenire danni all’ambiente naturale e a realizzare obiettivi di gestione relativi alle risorse naturali viventi, stabilendo speciali prescrizioni sulle attività antropiche vietate. Simili zone possono ovviamente essere stabilite nelle acque interne (v.) e territoriali (v.) in cui lo Stato esercita sovranità, ma anche, a certe condizioni, al di là di esse. La prassi italiana in materia è indicata nell’apposito riquadro del presente Glossario dedicato a parchi e riserve marine.

4. Area marina particolarmente sensibile (PSSA)

Gli Stati costieri possono istituire nella propria ZEE (v.) aree particolari, definite spazialmente, in cui adottare leggi e regolamenti atti a prevenire, ridurre e tenere sotto controllo l’inquinamento provocato da navi (UNCLOS 211,6). Condizione per l’istituzione di queste aree marine, denominate dall’IMO come

«particularly sensitive sea area» (PSSA), è che sussistano evidenti ragioni tecniche correlate alle caratteristiche

ecologiche e oceanografiche della zona e/o ai rischi derivanti dalla navigazione internazionale. Spetta al-l’IMO autorizzarne l’istituzione dopo consultazioni con gli Stati controinteressati. Linee guida in materia sono contenute nella IMO Resolution A.982 (24) «Revised guidelines for the Identification and Designation of Particularly Sensitive Sea Areas». Nel 1990, prima al mondo, l’Australia ha dichiarato PSSA la zona della barriera corallina. Altra iniziativa è stata assunta nel 2004 lungo le coste europee dell’Atlantico, dopo i noti disastri ecologici avvenuti al largo di Francia e Gran Bretagna. Nel 2011 Italia e Francia hanno istituito una PSSA nello stretto internazionale delle Bocche di Bonifacio (v.). Misure complementari rispetto alle PSSA sono le «special areas» che possono essere istituite, anche in alto mare, per la prevenzione dell’inqui-namento da idrocarburi, in applicazione della Convenzione MARPOL (v. Protezione dell’ambiente ma-rino). In queste aree sono stabiliti standard restrittivi per la prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi e rifiuti solidi: esse sono già state create in mar Mediterraneo (v.) Mar Nero (v.) e Mar Rosso (v.).

5. Traffico e trasporto in mare di rifiuti pericolosi

La materia costituisce oggetto della Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 sul controllo dei mo-vimenti transfrontalieri dei rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione, ratificata dall’Italia con legge 18 agosto 1993, n. 340. L’accordo, concluso nell’ambito dello United Nations Enviromental Programme (UNEP), si propone di porre termine al fenomeno del traffico illecito di rifiuti tossici per terra e per mare. Esso mira in particolare a evitare il ripetersi dei casi di «navi dei veleni» che sino agli anni Novanta del secolo scorso versavano il loro carico (o addirittura venivano esse stesse affondate deliberatamente) nelle acque territoriali o nelle ZEE di Stati in via di sviluppo. Si pensi alla Somalia e alla diffusa contaminazione delle sue acque commessa illecitamente a danno dell’economia locale della pesca: il fenomeno è stato considerato dalle NU una concausa dell’insorgere della pirateria (v.) del Corno d’Africa, vista come rea-zione a tali ingiustizie.

La convenzione stabilisce un sistema di notifiche e autorizzazioni tra Stati di esportazione e Stati di importazione volto a conseguire una piena tracciabilità dei movimenti di rifiuti tossici e a evitare un loro smaltimento illegale mediante la commissione di illeciti sanzionati penalmente. Il principio guida è quello del «consenso informato». Quanto ai diritti degli Stati terzi attraverso le cui acque di giurisdizione passino le navi trasportanti i rifiuti da smaltire, sussiste una differenza di vedute tra gli Stati aderenti alla convenzione che attiene ai principi del transito inoffensivo (v.) nelle acque territoriali e alla libertà di navigazione (v.) nelle ZEE. Nel firmare la convenzione nel 1990, l’Italia ha infatti dichiarato che «con-siders that no provision of this Convention should be interpreted as restricting navigational rights recognized by international law. Consequently, a State party is not obliged to notify any other State or obtain authorization from it for simple passage through the territorial sea or the exercise of freedom of navigation in the exclusive economic zone by a vessel showing its flag and carrying a cargo of hazardous wastes». Del tutto differente è invece la tesi espressa dall’Egitto nel 1995 secondo cui «foreign ships carrying hazardous or other wastes will be required to obtain prior permission from the Egyptian authorities for passage through its territorial sea. 2. Prior notification must be given of the movement of any hazardous wastes through areas under its national jurisdiction, in accordance with article 2, paragraph 9, of the Convention».

Per ciò che riguarda in particolare l’applicazione della convenzione di Basilea in Mediterraneo si rinvia anche alla trattazione contenuta nella voce Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo) del presente Glossario.

6. Regime applicabile ai conflitti armati sul mare

Il problema della protezione dell’ambiente marino nel corso dei conflitti armati sul mare (v. Diritto bellico marittimo) si è posto negli ultimi decenni in sede internazionale. La norma fondamentale in materia è con-tenuta nell’art. 35, n. 3 del I Protocollo di Ginevra del 1977 ratificato dall’Italia e dagli altri paesi NATO ma non dagli Stati Uniti, né dalla Francia e Turchia); questa disposizione vieta l’impiego di mezzi e metodi di guerra atti a provocare danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale. Principio analogo è contenuto, anche se in forma non cogente, nella convenzione delle NU del 10 dicembre 1976 sul divieto di utilizzare tecniche di modifica dell’ambiente naturale per scopi militari (denominata Enmod Convention), ratificata sia dall’Italia, con legge 962/80, sia dagli altri paesi NATO. Questa convenzione prevede, infatti, l’impegno degli Stati aderenti a non utilizzare, per scopi militari, tecniche di modifica dell’ambiente naturale aventi

effetti estesi, durevoli e gravi. Sulla base delle norme suindicate può concludersi che il principio della pro-tezione dell’ambiente non costituisce di per sé un limite allo svolgimento di operazioni militari. Esso viene, in rilievo, nell’ambito del più generale principio di proporzionalità, nel caso in cui le attività militari possano provocare danni di notevole entità all’ambiente naturale.

L’esigenza di rispettare tali principi sembra essere stata alla base della decisione della NATO, nel 1999, durante l’operazione Allied Forces contro l’ex Repubblica Federale di Iugoslavia (FRY), responsabile della violazione di diritti umani in Kosovo, di non bombardare il porto montenegrino di Bar per interrompere il flusso di rifornimenti petroliferi alla stessa FRY. Riserve nei confronti di Israele sono state invece espresse per il bombardamento nel luglio 2006 della centrale elettrica di Tiro, nel corso del conflitto con il Libano, che ha causato gravi danni ambientali a seguito di un esteso sversamento di idrocarburi.

PROTEZIONE DELL’AMBIENTE MARINO (MEDITERRANEO)

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 139-142)