Per piattaforma continentale si intendevano il fondo e il sottofondo delle zone marine costiere che si estendono, al di fuori delle acque territoriali (v.), sino all’isobata dei 200 metri o, al di là di questo limite, sino al punto in cui, in relazione allo sviluppo della tecnologia estrattiva, è possibile lo sfruttamento di zone situate a profondità maggiori (Ginevra IV, 1). Il punto di partenza per l’affermazione di tale concetto è rappresentato dal Proclama Truman del 1945 con cui il Presidente degli Stati Uniti del tempo, premesso che la piattaforma continentale poteva considerarsi come il prolungamento in mare della terraferma, af-fermò che le risorse naturali (v.) del fondo e del sottofondo marino sottostanti l’alto mare (v.) ma adiacenti alle coste dovevano ritenersi «come appartenenti agli Stati Uniti e soggetti alla loro giurisdizione e controllo».
La dichiarazione precisava, altresì, che il «carattere di alto mare delle acque sovrastanti la piattaforma conti-nentale e il conseguente diritto di libera navigazione non era in nessun modo in discussione».
Ulteriori sviluppi della prassi e della giurisprudenza internazionale hanno portato al recepimento nel-l’UNCLOS di nuovi principi. La definizione di piattaforma continentale attualmente in vigore è quella di
area sottomarina che si estende al di là delle acque territoriali, attraverso il prolungamento naturale del ter-ritorio emerso, sino al limite esterno del margine continentale, o sino alla distanza di 200 miglia dalle linee di base (v.), qualora il margine continentale non arrivi a tale distanza (UNCLOS art. 76,1). Quello delle 200 miglia è considerato come il limite minimo che prescinde quindi dall’individuazione del margine continen-tale. Da questo punto di vista si parla di piattaforma continentale giuridica; dal punto di vista geologico, s’intende invece la piana sommersa che degrada, a partire dalla linea di costa, verso il largo, sino al punto in cui l’inclinazione aumenta, per poi sprofondare nella scarpata continentale ai piedi della quale inizia la zona di sedimenti rocciosi denominata risalita continentale, che discende gradualmente nella piana abissale fino al limite esterno del margine continentale. Come è stato detto: «Ogni territorio che si affaccia sul mare pos-siede una piattaforma continentale che ne costituisce il naturale prolungamento sottomarino; questo prolungamento che termina al limite esterno del margine continentale, definisce anche il limite tra la massa granitica continentale e la crosta oceanica, più pesante, di tipo basaltico». Il margine continentale non comprende, dunque, il fondo degli abissi oceanici con le dorsali marine e il relativo sottofondo (UNCLOS 73,3).
2. Piattaforma continentale estesa (ECS)
Lo Stato costiero ha il diritto di definire il margine di quella che è detta extended continental shelf (ECS) sulla base di uno dei seguenti criteri: 1) linee distanti tra loro non più di 60 miglia e colleganti punti fissi in ciascuno dei quali lo spessore dei sedimenti rocciosi è almeno l’1% della distanza più breve tra tali punti e il piede della scarpata continentale («formula Gardiner»); 2) linee distanti tra loro non più di 60 miglia e colleganti punti fissi distanti non più di 60 miglia dal piede della scarpata continentale («formula Hedberg»): tali punti non dovranno distare più di 350 miglia dalle linee di base del mare territoriale, né più di 100 miglia dall’isobata dei 2.500 m.
Gli Stati costieri, qualora si avvalgano della facoltà di definire la propria ECS oltre le 200 miglia dalle linee di base, devono sottoporre alla Commissione delle NU, sul limite della piattaforma continentale, dati e notizie relativi alla pretesa avanzata (UNCLOS 76, 8). I limiti così stabiliti divengono definitivi e vincolanti soltanto dopo che la stessa Commissione abbia formulato raccomandazioni e gli Stati interes-sati le abbiano recepite. All’autorità internazionale dei fondi marini (v.) va una percentuale variabile del ricavato dell’attività estrattiva. La procedura di riconoscimento è stata avviata da diversi paesi: Francia, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna hanno avanzato congiuntamente una pretesa su una vasta area di ex-tended piattaforma nel Mar Celtico e nel golfo di Biscaglia, i cui limiti sono stati fissati applicando i criteri di entrambe le formule indicate in precedenza; la Commissione si è pronunciata nel 2009. Ulteriori sub-missions sono state presentate, tra le altre, dalla Gran Bretagna per le isole Falkland (2009), dalla Spagna per le isole Canarie (2014) e dalla Russia (2015) per il mare Artico (v.).
Il confine laterale della piattaforma continentale Somalia-Kenya Somalia e Kenya avevano adito
con-giuntamente nel 2007, la Commissione, al fine di definire la propria ECS; la procedura si è tuttavia interrotta a se-guito dell’insorgere di una disputa tra i due paesi relativa al confine laterale delle rispettive zone di piattaforma continentale entro il limite delle 200 mn: la Corte internazionale di Giusti-zia è stata investita del caso nel 2014 per la risoluzione di tutte le questioni di confine marittimo, ZEE compresa.
Da notare che, mentre la Somalia
propone una delimitazione che si svi- L’area di ZEE contesa da Somalia e Kenya (Fonte: AFP-DW).
luppi, in applicazione dei principi dell’UNCLOS, lungo una linea di equidistanza laterale modi-ficata secondo criteri di proporzionalità, il Kenya pretende un limite costituito dal parallelo pas-sante per la città di Lamu al confine terrestre. La posta in gioco è un’area di circa 100.000 km quadrati.
Lo Stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani esclusivi per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse marine naturali (v.), vale a dire le «risorse minerali e altre risorse non viventi del fondo marino e del sottosuolo come pure negli organismi viventi appartenenti alle specie sedentarie (UNCLOS 77, 4.)». Tali diritti appartengono allo Stato costiero ipso facto e ab initio, nel senso che la loro titolarità non è la conseguenza di un atto di proclamazione o di un possesso effettivo realizzato mediante occu-pazione (UNCLOS 77, 3).
Ai paesi terzi spetta invece il diritto di navigazione e sorvolo sulla massa d’acqua sovrastante la piat-taforma continentale (UNCLOS 78). Egualmente libera è l’attività di pesca (v.) di tutte le specie ittiche tranne quelle stanziali (v. pescherie sedentarie), a meno che non siano state proclamate in loco zone ri-servate di pesca o Zone economiche esclusive (v.). La posa di cavi e condotte sottomarine (v.) è soggetta alle condizioni stabilite dallo Stato costiero, mentre la ricerca scientifica (v.) deve essere da questo espres-samente autorizzata.
3. Principi delimitazione
Si rinvia, in materia, alla voce Delimitazioni del presente Glossario.
4. Sicurezza energetica 4.1 Compatibilità ambientale
Il problema della compatibilità delle attività di estrazione di idrocarburi in mare con i più generali obblighi di protezione dell’ambiente marino (v.) è affrontato dall’UNCLOS all’art. 194, par. 3, lett. c), lad-dove si stabilisce che gli Stati sono tenuti ad adottare specifici provvedimenti volti a limitare al massimo
«l’inquinamento prodotto da installazioni e macchinari utilizzati per l’esplorazione o lo sfruttamento delle risorse naturali del fondo marino e del sottosuolo, con particolare riferimento ai provvedimenti intesi a prevenire incidenti e a fronteggiare le emergenze, garantendo la sicurezza delle operazioni in mare, e regolamentando la progettazione, la costruzione, l’armamento, le operazioni e la conduzione di tali installazioni e macchinari». A tali principi si conformano anche alcuni accordi di delimitazione della piattaforma continentale stipulati dall’Italia con i paesi frontisti come quello con l’Albania del 1992: all’art. IV si prevede espressamente che: «Le parti contraenti adotteranno tutte le misure possibili al fine di evitare che l’esplorazione delle loro rispettive parti della piattaforma continentale così come la coltivazione delle risorse minerarie di quest’ultima, possa pregiudicare l’equi-librio ecologico del mare ...».
4.2 Offshore in acque profonde
Le attività offshore esercitabili dagli Stati costieri sul fondo e sottofondo marino della propria piat-taforma continentale sono in continua espansione grazie alle nuove tecnologie estrattive che consento di raggiungere anche fondali di 3.000 metri. A questo fine possono utilizzarsi, per fondali sino a 1.500 m piattaforme galleggianti (v. Nave mercantile) ancorate. Ovvero navi dotate di un’attrezzatura di perforazione costituita da un tubo telescopico in grado di operare sino a circa 3.000 m. Il noto inci-dente della piattaforma petrolifera galleggiante Deepwater Horizon ha portato alla ribalta dell’opi-nione pubblica mondiale il problema della sicurezza delle offshore. È bene ricordare che nel disastro, avvenuto nel 2010 a circa 1.500 m sopra il pozzo Macondo del golfo del Messico, nella ZEE degli Stati Uniti a 66 mn dalle coste della Louisiana, erano morti 11 tecnici, mentre 5 milioni di barili di petrolio si riversarono in mare. In anni recenti il problema si è riproposto con maggiore evidenza a causa della continua crescita delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi condotta in controtendenza ri-spetto alla diminuita domanda e alla maggiore produzione di energie rinnovabili. Gli Stati Uniti sono peraltro diventati il primo produttore mondiale di petrolio superando l’Arabia Saudita, grazie
al-l’adozione di nuove tecniche nell’estrazione di gas da argille (shale gas) e di petrolio da giacimenti marini di grande profondità (max 3.000 m). Dubbi sull’opportunità di continuare a effettuare trivel-lazioni offshore a grandi profondità sono tuttavia sorti dopo la catastrofe ecologica causata dall’inci-dente della Deepwater Horizon. Come risposta ai rischi delle trivellazioni a grande profondità gli Stati Uniti avevano stabilito nel 2010 una moratoria; il provvedimento dell’amministrazione Obama è stato però revocato prima della scadenza sotto la spinta di una sentenza contraria delle corti interne e un voto sfavorevole del Congresso.
4.3 Direttiva UE offshore 2013
L’Unione europea ha adottato una strategia basata sulla definizione di stringenti regole di tutela, in conformità ai principi stabiliti in materia dall’UNCLOS, con la Direttiva 2013/30/UE relativa alla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi (direttiva offshore), si propone di de-finire elevati standard minimi di sicurezza per la prospezione, la ricerca e la produzione di idrocarburi in mare aperto, riducendo le probabilità che accadano incidenti gravi, limitandone le conseguenze e aumentando in questo modo la protezione dell’ambiente marino. Principi qualificanti del provvedi-mento dell’UE sono sia l’indipendenza e obiettività delle autorità nazionali competenti in materia, sia la responsabilità per danno ambientale degli operatori designati dai licenziatari o dalle autorità competenti per il rilascio delle licenze. Rilevante è anche il fatto che la direttiva si proponga di ridurre l’impatto sull’ambiente marino delle operazioni offshore nel quadro delle finalità della politica marit-tima integrata europea.
4.4 Protocollo offshore UNEP
L’impegno dell’UE nel settore della sicurezza delle attività offshore del Mediterraneo (ove sono installati circa 200 impianti di estrazione) è anche dimostrato dall’adesione al protocollo relativo alla protezione del mar Mediterraneo dall’inquinamento derivante dall’esplorazione e dallo sfruttamento della piatta-forma continentale, del fondo del mare e del suo sottosuolo (Protocollo Offshore di Madrid del 14 ottobre 1994). Questo strumento, entrato in vigore nel 2011 dopo l’adesione di gran parte degli Stati mediterranei, e basato sulla convenzione di Barcellona del 1995 (v. Protezione ambiente marino-Mediterraneo), disci-plina le condizioni per il rilascio delle autorizzazioni, la rimozione degli impianti abbandonati o in di-suso, l’uso e lo smaltimento di sostanze nocive, la responsabilità e il risarcimento dei danni, la sicurezza degli impianti nonché i relativi piani di emergenza e di monitoraggio, non senza stabilire forme di coo-perazione tra gli Stati aderenti.
5. Normativa italiana di protezione
In linea con il trend europeo l’Italia si è attivata dopo il disastro del golfo del Messico, emendando il codice dell’ambiente (Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152) in cui è previsto il divieto di svolgere at-tività estrattive a 12 mn dalle aree costiere e marine protette e, nelle altre zone, a 5 mn dalle linee di base del mare territoriale. In seguito, il limite di tale divieto è stato portato, con carattere di generalità, a 12 mn dalla costa (non più, quindi, dalle linee di base) con il comma 239 dell’art. 1 della legge 208/2015.
Sulla base di tale regime, le acque interne del golfo di Taranto (v.), potrebbero essere in teoria oggetto di attività offshore, le aree ricadenti oltre le 12 mn dalla linea di costa.
La suindicata direttiva offshore dell’UE è stata recepita nell’ordinamento italiano con il Decreto Legi-slativo 18 agosto 2015, n. 145. Questo provvedimento si inserisce, come affermato dal ministero dello Sviluppo economico «in un quadro normativo già esistente in materia di sicurezza e di protezione del mare dal-l’inquinamento che ha finora garantito, attraverso una rigorosa applicazione e costanti controlli da parte delle strut-ture tecniche del ministero, in collaborazione con gli altri enti competenti, il raggiungimento dei più alti livelli europei di sicurezza per i lavoratori e l’ambiente, con incidenti e infortuni tendenti allo zero e comunque sei volte inferiori a quelli del complesso industriale produttivo». Da notare che questo stesso provvedimento istituisce il «Comitato per la sicurezza delle operazioni a mare», quale autorità competente per l’applicazione della medesima direttiva, designandone a far parte rappresentanti della Marina Militare e del Corpo delle ca-pitanerie di porto-Guardia costiera.
PIATTAFORMA CONTINENTALE (MEDITERRANEO)