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LIBERTÀ DEI MARI

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 66-69)

1. Mare liberum vs Mare clausum

La prima affermazione del principio per cui «ciascuno è libero, per il diritto delle genti, di viaggiare sul mare in quei luoghi e presso quelle nazioni che a lui piaccia», si deve a Hugo Grotius che nella sua dissertazione Mare Liberum scritta nel 1601, sostenne la tesi della libertà di navigazione degli olandesi contro le pretese porto-ghesi di esercitare diritti sovrani nell’oceano Indiano. Le rivendicazioni del Portogallo si basavano sulla Bolla Inter caetera di papa Alessandro VI del 4 maggio 1493 che aveva attribuito alla Spagna le isole e i ter-ritori posti di là della linea congiungente i poli, situata a 100 leghe a ovest delle Azzorre e di Capo Verde.

E anche sul successivo trattato di Tordesillas del 7 giugno 1494 con il quale, mediante una linea congiun-gente i poli, passante 370 leghe a ovest di Capo Verde, era stata sancita la suddivisione delle sfere di in-fluenza marittima tra la Spagna e il Portogallo. La stessa Spagna, pur sostenendo propri diritti esclusivi sugli oceani, si oppose sul finire del Cinquecento alla pretesa della Repubblica di Venezia di possesso esclu-sivo del mare Adriatico denominato al tempo golfo di Venezia (v. Baie storiche-Mediterraneo).

Alla dottrina del Mare liberum si oppone quindi quella del Mare clausum. Il principio affermato da Grozio, del mare come bene comune non suscettibile di appropriazione esclusiva e perciò aperto alla libera navi-gazione, fu contrastato dalla Gran Bretagna, a difesa dei propri interessi commerciali di pesca nel Mare del Nord, con l’opera di Selden, Mare Clausum seu Dominium Maris del 1635. In seguito, la stessa Inghilterra mutò indirizzo, facendo della libertà dei mari l’emblema della sua politica di potenza marittima (v. Geo-politica del mare). La visione britannica della libertà di mare è perfettamente espressa dal giudice Lord Stowell dell’Alta corte dell’ammiragliato, nell’ambito della decisione sul caso del Le Louise (1817) con il se-guente dictum: «Essendo tutte le nazioni eguali, esse hanno un eguale diritto di far uso continuo degli spazi liberi degli oceani…dove non esiste un’autorità locale, dove tutti gli Stati si incontrano su un piede di parità e indipendenza».

Unica deroga ammessa divenne la regola dell’estensione delle acque territoriali (v.) dei singoli Stati sino alla distanza di 3 miglia, corrispondenti alla massima gittata delle artiglierie dell’epoca.

Agli inizi del Novecento la libertà dei mari ha avuto una sua consacrazione nel secondo dei «Quat-tordici Punti» con cui il presidente Wilson difese gli interessi marittimi degli Stati Uniti sostenendo «la libertà assoluta di navigazione su tutti i mari, fuori delle acque territoriali, in pace e in guerra, salvo che i mari siano totalmente o in parte chiusi da un’azione internazionale per l’applicazione di accordi internazionali». Ma la politica di Wilson sulla libertà di navigazione, più che una scelta estemporanea, era l’espressione di un

principio impresso nel patrimonio genetico della nazione statunitense sin da quando, agli inizi dell’Ot-tocento, il presidente Jefferson aveva inviato unità navali contro il pasha di Tripoli per contrastare gli atti di pirateria (v.) associati alla pretesa d’imporre tributi alla navigazione commerciale. Nel 1825, nel decidere il caso «Marianna Flora», la US Supreme court aveva affermato che «negli oceani, in tempo di pace, tutte le nazioni possiedono una completa eguaglianza in quanto il mare è la via di comunicazione comune a tutti, in cui nessuno può vantare prerogative maggiori o esclusive». La libertà di navigazione tornò alla ribalta dopo la Seconda guerra mondiale con la sentenza in cui la Corte internazionale di Giustizia del 1949 sul caso dello stretto di Corfù, dichiarò che la libertà di navigazione delle navi da guerra nelle acque territoriali degli stretti si configura come un «general and well-recognized principle».

In contrapposizione all’approccio liberista di potenze come Stati Uniti e Gran Bretagna, la Russia, sin dal periodo zarista ma anche in quello sovietico e post-sovietico, ha sempre sostenuto tesi che le per-mettessero il controllo esclusivo di ampi spazi di mare. Nel Memorandum del 1950 dell’’International Law Commission dedicato alla dottrina marittima sovietica, era chiaramente specificato che Mosca, a fronte della proclamata fedeltà ai principi marittimi liberistici, avanzava da tempo varie rivendicazioni che li contraddicevano; erano, infatti, considerati «mari chiusi», non solo il bacino lacustre del mar Caspio (v.), ma anche il Mar Nero (.v.), il Mar di Azov e il mare Artico (v.).

2. Regime giuridico

Il luogo di elezione della libertà dei mari è l’alto mare, come espressamente riconosciuto dalla II Con-venzione di Ginevra del 1958 il cui art. 2,1 che ha così regolamentato con un linguaggio che riecheggia i secoli passati: «Essendo l’alto mare aperto a tutte le nazioni, nessuno Stato può validamente sostenere di assog-gettarne alcuna parte alla propria sovranità». Il principio della libertà dei mari codificato in tal modo è at-tualmente contenuto nell’art. 87,1 dell’UNCLOS che lo declina nel modo tradizionale («l’alto mare è aperto a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale»). L’art. 125,1 regolamenta inoltre in modo specifico il diritto degli Stati privi di litorale di accesso al mare e dal mare per esercitare i diritti riconosciuti nella presente Conven-zione, inclusi quelli relativi alla libertà dell’alto mare» (v. Bandiera navale; Nazionalità della nave). Al ri-guardo, si cita il caso Bolivia-Cile deciso dalla ICJ nel 2018, in cui è stato affermato che l’accesso della Bolivia al mare è questione da risolvere per accordo, anche se è esclusa, da parte cilena, l’esistenza di un obbligo di negoziare. La valenza generale del principio contenuto nell’art. 87 dell’UNCLOS è stata riaf-fermata dall’ITLOS in una sentenza del 2019 relativa al caso del M/V Norstar, nave cisterna sequestrata nel 1998 in Spagna su ordine della magistratura italiana per violazione di norme doganali connesse al rifornimento in alto mare di un’imbarcazione da diporto rientrata in Italia subito dopo il bunkeraggio.

Il tribunale ha escluso la nostra giurisdizione prescrittiva, osservando che: 1) «article 87 of the Convention, which concerns the freedom of the high seas, provides that the high seas are open to all States and that the freedom of the high seas comprises, inter alia, the freedom of navigation»; 2) «Decree of Seizure by the Public Prosecutor at the Court of Savona against the M/V Norstar with regard to activities conducted by that vessel on the high seas and the request for its execution…may be viewed as an infringement of the rights of Panama under article 87 as the flag State of the vessel».

L’art. 87 ha anche una portata ulteriore in quanto va letto in connessione con l’art. 58 che, relativa-mente alla ZEE, garantisce a tutti gli Stati l’esercizio delle «libertà di navigazione e di sorvolo e di altri usi del mare, leciti in ambito internazionale, collegati con tali libertà, come quelli associati alle operazioni di navi, aeromobili, condotte e cavi sottomarini, e compatibili con le altre disposizioni della presente convenzione». Per comprendere tale regime va considerato che l’importanza dell’alto mare nella governance degli oceani è in un certo modo diminuita con l’approvazione dell’UNCLOS che ha cercato di conciliare le tradi-zionali istanze alla libertà di navigazione negli oceani con quelle relative al rafforzamento della giu-risdizione funzionale nelle aree marittime costiere. Negli anni Settanta del Novecento si sviluppò, in Sudamerica e Africa centrale, il movimento per la protezione delle risorse di pesca nella fascia delle 200 mn; apparve chiaro così che la posta in gioco era l’erosione della libertà dei mari al di là delle acque territoriali; il passo ulteriore fu l’istituzione di ZEE (v.). Il conflitto tra paesi territorialisti e paesi liberisti (tra i quali c’erano ovviamente le potenze marittime come Stati Uniti e Gran Bretagna) fu com-posto attraverso forme di compromesso da cui scaturì la regolamentazione sui generis e tutto sommato ambigua del suindicato art. 58 dell’UNCLOS.

Oltre che nell’alto mare e nelle ZEE, la libertà dei mari si esplica anche nelle acque territoriali (v.) con il diritto di transito inoffensivo (v.) condizionato dall’obbligo di rispettare la sovranità e l’integrità terri-toriale dello Stato costiero. Analogo il regime di passaggio negli stretti e nei canali internazionali (v.).

Dall’incertezza dell’applicazione alla navigazione militare delle norme generali deriva la questione della mobilità delle flotte.

3. Mobilità delle flotte

La prassi di alcuni Stati si è in alcuni casi sviluppata secondo criteri non del tutto in linea con lo spirito e la lettera dell’UNCLOS. Forme di creeping jurisdiction hanno evidenziato una sorta di territorializzazione delle ZEE mirate principalmente a inficiare la libertà di navigazione limitando determinate attività navali straniere. Forme di creeping jurisdiction hanno evidenziato una sorta di territorializzazione delle ZEE. Tali questioni sono state concettualizzate nell’ambito del problema della così detta Mobilità delle flotte che è stato al centro dell’attenzione politica negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso quando alcuni Stati hanno preso — in funzione nazionalistica e anti occidentale — ad avanzare pretese di preventiva notifica o auto-rizzazione dell’attività svolta da navi da guerra straniere nelle loro ZEE. Espressione eloquente di tale ten-denza a limitare la navigazione militare nelle ZEE è la posizione assunta dal Brasile (uno degli Stati più attivi nel processo di codificazione del nuovo diritto del mare) quando, nell’aderire all’UNCLOS, ha di-chiarato che «the Convention do not authorize other States to carry out in the exclusive economic zone military exer-cises or manoeuvres, in particular those that imply the use of weapons or explosives, without the consent of the coastal State». Identico, nel considerare il libero transito di unità militari nelle ZEE come pregiudizievole per la si-curezza nazionale, è l’orientamento dell’India che nel 1995, al momento della ratifica della convenzione, ha così argomentato: «The Government of the Republic of India understands that the provisions of the Convention do not authorize other States to carry out in the exclusive economic zone and on the continental shelf military exercises or manoeuvres, in particular those involving the use of weapons or explosives without the consent of the coastal State».

Da parte della Cina non risulta essere stata emanata una specifica dichiarazione in materia di ZEE. Tuttavia, di fatto, Pechino ostacola il libero esercizio della navigazione militare straniera nella propria ZEE. Il suo

«Exclusive Economic Zone and Continental Shelf Act» del 1998, stabilisce surrettiziamente un regime au-torizzativo, sia per la ricerca scientifica e idrografica nella ZEE, sia per il transito delle navi militari straniere.

Del tutto differente è invece la posizione di altri paesi, come la Germania, l’Olanda e l’Italia, che invece non intravedono limitazioni, in periodo di pace, all’attività di navi da guerra nelle ZEE straniere. Circa le tesi espresse dall’Italia al momento di firma e ratifica dell’UNCLOS in favore della libertà di movimento delle Forze navali si rinvia all’apposito riquadro inserito al para 2. della voce ZEE del presente Glossario:

esse sono del tutto in linea con l’orientamento dei paesi aderenti al G7 che in varie riunioni, come quella di Lucca del 2017, hanno ribadito il loro impegno a mantenere la libertà di navigazione e sorvolo così come altri diritti, libertà e usi del mare che siano legittimi a livello internazionale.

Il problema non riguarda comunque solo la navigazione militare nelle ZEE, ma anche quella nelle acque territoriali (v.). Il punto concerne l’applicabilità alle navi da guerra del regime del transito inoffensivo (v.

Transito inoffensivo navi da guerra). A questo riguardo la posizione italiana è stata, come per le ZEE, al-trettanto netta. Il nostro paese ha depositato alle NU una dichiarazione secondo cui: «Nessuna delle disposi-zioni della Convenzione, che corrispondono in questa materia al diritto consuetudinario internazionale, può essere considerata come autorizzante lo Stato costiero a far dipendere il passaggio inoffensivo di particolari categorie di navi straniere dalla preventiva notifica o consenso». Tale posizione italiana anticipa l’interpretazione adottata da Stati Uniti e Unione Sovietica nel Joint Statement del 1989. Deve anche dirsi, tuttavia, che in materia per-mangono posizioni divergenti da parte di paesi che richiedono ancora la previa notifica o autorizzazione del transito, come Albania, Algeria, Croazia, Egitto, Libia, Malta, Slovenia. Un ulteriore aspetto della navi-gazione militare è quello delle modalità di esercizio del diritto di passaggio in transito (v.) negli stretti in-ternazionali, relativamente, per esempio, all’adozione di assetti di autodifesa in acque ristrette.

4. Polizia dell’alto mare

L’ordinamento internazionale attribuisce, in alto mare, alle navi da guerra di tutte le nazioni, poteri di enforcement per garantire la legalità dei traffici marittimi (v. Sicurezza marittima) contrastando minacce quali Pirateria (v.), Terrorismo marittimo (v.), Traffico stupefacenti in mare (v.), nell’ambito della più

ampia funzione di polizia dell’alto mare (v.), secondo criteri che tengono conto dell’esigenza di non in-terferire — se non nei casi previsti (v. Diritto di visita; Diritto di inseguimento) — con la libertà di navi-gazione di cui godono tutte le navi mercantili (v.) con regolare nazionalità (v.).

5. L’US FON Programme

La visione statunitense sulla libertà dei mari è alla base del Freedom of Navigation (FON Programme) adottato nel momento in cui gli interessi strategici statunitensi sono stati minacciati da pretese eccessive basate su erronea applicazione dell’UNCLOS. Nel 1978, di fronte al progressivo estendersi della giuri-sdizione esclusiva degli Stati costieri su vaste aree di alto mare, gli Stati Uniti hanno, infatti, iniziato at-tività volte a «non prestare acquiescenza nei confronti di atti unilaterali di altri Stati volti a restringere i diritti e le libertà della comunità internazionale nella navigazione e nel sorvolo». Nell’ambito del FON sono state messe in atto, nel 1981 e nel 1986, le note proteste contro la chiusura del golfo della Sirte (v.). In questo quadro si collocano anche le azioni recenti e passate tese a contrastare la proclamazione italiana del golfo di Ta-ranto come baia storica (v.). Il Programma ha ricevuto nuovo impulso dal 2015 quando gli Stati Uniti hanno iniziato a effettuare sistematiche operazioni dimostrative nel Mar Cinese Meridionale per affer-mare la libertà di passaggio nelle acque circostanti le isole artificiali, installazioni e strutture create dalla Cina su bassofondi emergenti a bassa marea (v. Isole).

Critiche al FON vengono rivolte da chi ne mette in risalto gli aspetti unilaterali che prescindono dagli ordinari mezzi di risoluzione delle controversie marittime; al riguardo viene fatto anche notare che gli Stati Uniti non sono parti dell’UNCLOS. Il FON può considerarsi comunque come un test della legalità di pretese marittime che in prima approssimazione risultano eccessive e non conformi all’UNCLOS. I risultati di queste valutazioni sono riportati in apposito Testo del Dipartimento di Stato.

Vedi anche: Bandiera navale; Geopolitica del mare; Interdizione marittima; Ambiente marino; Pro-tezione biodiversità marina; Zona interdetta alla navigazione;

LIBIA

Vedi: Baie storiche (Mediterraneo);

Linee di base (Mediterraneo);

Cavi e condotte sottomarine (Mediterraneo);

Embargo navale;

Geopolitica del mare;

Linee di base (Mediterraneo);

Pesca (Mediterraneo);

Piattaforma continentale (Mediterraneo);

Traffico e trasporto illegale di migranti;

Transito inoffensivo delle navi da guerra;

Zona economica esclusiva (Mediterraneo).

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 66-69)