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PESCA (MEDITERRANEO) 1. Regime regionale

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 107-112)

L’esigenza di realizzare la cooperazione in materia di pesca (che per un mare chiuso come il mar Me-diterraneo (v.) è un bisogno vitale) ha trovato riconoscimento nella costituzione della Commissione ge-nerale della pesca per il Mediterraneo (GFCM) avvenuta il 24 settembre 1949 sotto l’egida della FAO.

Quest’organismo, composto da tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo e, per ciò che concerne il Mar Nero (v.), da Bulgaria, Romania e Turchia, ha competenza consultiva. Nel corso nella conferenza mini-steriale di Venezia del 2003 si è consolidata la policy dell’UE in favore della creazione delle zone di pro-tezione della pesca come mezzo per contrastare il proliferare della pesca illegale praticata in molti casi da pescherecci di paesi asiatici. In questa sede è stata emanata la «Dichiarazione sullo sviluppo sostenibile della pesca in Mediterraneo» che richiama il ruolo del GFCM nella conservazione e gestione razionale delle risorse marine viventi e invita gli Stati mediterranei a prendere in considerazione la possibilità di dichiarare proprie zone di protezione della pesca.

Per effetto di ciò il quadro d’insieme delle zone di pesca del Mediterraneo, che in precedenza era al-quanto frammentario, ha assunto una fisionomia nettamente orientata verso l’istituzione di tali zone rientranti nel genus delle ZEE (v.). Permangono tuttavia singole zone di pesca, istituite — come nel caso di Malta — prima dell’entrata in vigore dell’UNCLOS e incentrate sull’esercizio di diritti preferenziali di pesca e sull’adozione di misure di conservazione al di là delle acque territoriali. L’attuale situazione può riassumersi nel modo sotto indicato.

Un caso di studio:

il regime dei diritti tradizionali di pesca nelle acque dell’isola croata di Pelagosa (Palagruca) Il trattato di pace tra l’Italia e le potenze alleate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, nel prevedere all’art. 11 la cessione all’ex Iugoslavia della piena sovranità sull’isola di Pelagosa e sulle isolette adiacenti, stabilisce che «l’isola di Pelagosa rimarrà smilitarizzata» (v.) Demilitarizzazione (Mediter-raneo), e che «i pescatori italiani godranno nelle acque adiacenti degli stessi diritti di cui godevano i pe-scatori iugoslavi prima del 1941». Benché non vi sia documentazione ufficiale che attesti, dal dopoguerra sino a oggi, l’applicazione in favore dei pescatori italiani di tale clausola impositiva di un vero e proprio vincolo reale, se ne fa cenno tenuto conto del fatto che gli interessi di pesca italiani risultano tuttora attestati da frequentazione di battelli di bandiera italiana. Al riguardo va ricordato che: 1) i diritti di cui godevano i pescatori iugoslavi prima del 1941 erano quelli stabiliti dagli accordi di Brioni del 14 settembre 1921 e di Nettuno del 20 luglio 1925 tra l’Italia e lo Stato

serbo-croato-sloveno che autorizzavano la pesca nelle acque dell’isola di un numero prefissato di barche (non più di 40) di stanza nell’isola iugoslava di Lissa con determinate attrezzature e durante specifici periodi; 2) è da ritenersi, non essendovi alcuna diversa evidenza, che i pescatori italiani siano succeduti nella titolarità di tali diritti alle stesse condizioni; 3) non risulta che la Croazia, quale Stato successore dell’ex Iugoslavia, abbia manifestato volontà contraria all’applicazione della suindicata clausola; 4) la questione riguarda solo le acque territoriali dell’isola, poiché al di là di esse, la pesca dei nostri battelli nella Zona di protezione dichiarata dalla Croazia nel 2003, è ammessa sulla base dei principi comunitari relativi alla parità di accesso alle acque unionali. Pur-troppo, continuano a verificarsi, invece, episodi coercitivi di sequestro di pescherecci italiani ac-cusati a volte dalle autorità croate di violazioni della sovranità per presunti sconfinamenti di qualche metro nelle acque territoriali. Non è ben chiaro se ci sia nelle acque territoriali dell’isola una zona di ripopolamento. Fatto sta che non risulta mai intavolata alcuna trattativa tesa né a veder riconosciuti i diritti italiani, né a concordare uno specifico regime di accesso in applicazione del regolamento UE 1382-2013.

2. Zone riservate di pesca 2.1 Algeria

Con il decreto legislativo n. 94-13 del 28 maggio 1994 l’Algeria aveva istituito una zona riservata di pesca estesa, oltre il limite delle acque territoriali, per 20 miglia (a ovest di Ras Tenes) e 40 miglia (a est dello stesso capo). Questa zona ricade attualmente nella ZEE istituita unilateralmente nel 2018 (v. ZEE-Mediterraneo).

2.2 Malta

Al di là delle acque territoriali Malta aveva istituito, con legge 7 dicembre 1971, una zona di pesca ri-servata, estesa sino alla distanza di 25 miglia dalle linee di base (v.). La decisione maltese era stata con-testata dall’Italia con nota verbale del 6 luglio 1994 del seguente tenore: «...nello spirito della convenzione di Montego Bay del 1982 (art. 123), per avere rilevanza internazionale, detta decisione avrebbe dovuto essere pre-ceduta da un negoziato con l’Italia in qualità di altro Stato rivierasco direttamente coinvolto. Tanto più che il limite di pesca si estende oltre la linea mediana fra i due Stati». Ignorando le riserve espresse dall’Italia, con legge del 26 luglio 2005 Malta ha riaffermato tale pretesa per poi darle valenza comunitaria nell’ambito del Regolamento (CE) 1967/2006 come «Zona di conservazione e gestione della pesca» (ZCGP). L’art. 26 di questo regolamento dispone che l’accesso dei pescherecci comunitari alle acque e alle risorse della «zona che si estende fino a 25 miglia nautiche dalle linee di base intorno alle isole maltesi è... limitata ai pescherecci di lunghezza fuori tutto inferiore ai 12 metri...». A più riprese, anche in tempi non lontani (2013), Malta ha sequestrato battelli italiani per presunte violazioni di tali divieti di pesca adottando anche, oltre all’uso della forza, misure carcerarie nei confronti del personale imbarcato anche se l’UNCLOS (art. 73,3), in simili situazioni, non consente l’adozione di provvedimenti giudiziari di restrizione della libertà personale dei pescatori.

3. Il caso del «Mammellone»

3.1 Pretesa tunisina

La «zona di pesca a sud-ovest di Lampedusa» che in conseguenza della sua forma è detta «Mammel-lone», rientra nella tipologia delle zone marine in cui lo Stato adiacente poteva adottare misure di con-servazione delle risorse biologiche secondo l’art. 6 della III Convenzione di Ginevra del 1958. È l’area delimitata da «una linea che, partendo dal punto di arrivo della linea delle 12 miglia delle acque territoriali tuni-sine, si ricollega sul parallelo di Ras Kapoudia, con l’isobata dei 50 m e segue tale isobata fino al punto d’incontro con la linea che parte da Ras Agadir in direzione nord-est ZV = 45». La Tunisia, continua ancora oggi a pre-vederla nella sua legislazione del 2005 sulla ZEE come zona riservata di pesca ai soli battelli nazionali delimitata con modalità batimetriche. Il primo atto della pretesa tunisina è stato il decreto del Bey di Tu-nisi del 26 luglio 1951 contenente la seguente disposizione: «From Ras Kaboudia to the Tripolitanian frontier, the sea area bounded by a line which, starting from the end of the 3-mile line described above, meets the 50-metre isobath on the parallel of Ras Kaboudia and follows that isobath as far as its intersection with a line drawn north-east from Ras Ajdir, ZV 45». La Tunisia pretendeva di vantare titoli di epoca precedente, come la circolare

del 1904 con la quale la reggenza francese aveva istituito una zona di sorveglianza al largo dell’isola di Kerkennah ai fini della pesca delle spugne. Il problema è che queste istruzioni, come altri provvedimenti emanati nello stesso periodo, sono stati dichiarati «…unilateral acts, internal legislative measures [concerning]

an area of surveillance in the context of specific fishery regulations» dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza del 1982 sul caso Tunisia-Libia (Plateau Continental, Arret, CIJ Recueil 1982 para 88-90).

3.2 Posizione italiana

Per anni, fino a quando le norme comunitarie hanno tolto agli Stati la competenza a stipulare accordi nel settore con i paesi terzi, la Tunisia ha previsto un regime preferenziale di pesca nelle proprie acque territoriali (ma il «Mammellone» ne era invece escluso), in favore dei battelli italiani, dietro pagamento di cospicue contropartite finanziarie da parte del nostro governo. Allo scadere di tali accordi l’Italia, con il decreto mi-nisteriale del 25 settembre 1979,

poi abrogato nel 2010, ha stabi-lito un vincolo giurisdizionale su tale zona considerandola una porzione di alto mare che è

«tradizionalmente riconosciuta come zona di ripopolamento e in cui è vietata la pesca ai cittadini ita-liani e alle navi battenti bandiera italiana» al fine di assicurare la tutela delle risorse biologiche.

Nulla autorizza a ritenere, in-vece, che il nostro paese avesse accettato in toto, la pretesa tuni-sina di esercitare diritti esclusivi di pesca su tutta l’area. Anzi-tutto perché è stata da noi con-testata per più di trent’anni con il suindicato decreto del 1979 che la qualificava come nostra area di ripopolamento. E poi

perché non può attribuirsi alcun valore al fatto che l’Italia ha riconosciuto il «Mammellone» come zona ri-servata di pesca tunisina nell’ambito degli accordi di pesca del 1963, del 1971 e del 1976: esso non aveva, in-fatti, un valore assoluto, ma era piuttosto un atto limitato e provvisorio di natura sinallagmatica, inscindibilmente legato alle concessioni di pesca in acque territoriali tunisine attribuite ai battelli italiani. Il problema del contenzioso di pesca italo-tunisino è sempre stato acuito dal fatto che la Tunisia pretende di assoggettare alla propria giurisdizione, mediante sequestro in mare, i battelli italiani sorpresi a pescare nella zona. Per proteggere i nostri connazionali da illegittimi atti di uso della forza, la Marina svolge un Servizio di vigilanza pesca (VIPE). Tale attività (iniziata nel 1957 e da allora mai interrotta) si inquadra nell’ambito delle funzioni di polizia marittima (v.) spettanti alle navi da guerra (v.) in acque internazionali e trova spe-cifico fondamento giuridico nell’art. 115 del COM che riserva alla Marina Militare la vigilanza sulle attività economiche sottoposte alla giurisdizione nazionale nelle aree situate al di là delle acque territoriali italiane.

Questa funzione è ora svolta nell’ambito dell’operazione della Marina Mare sicuro.

Per prevenire il verificarsi di incidenti tra le rispettive unità impegnate al di là delle acque territoriali in compiti di sorveglianza e protezione di diritti e interessi nazionali la Marina Militare italiana e la Ma-rina Militare tunisina hanno stipulato un’intesa tecnica riguardante misure pratiche destinate a evitare gli incidenti in mare e a facilitare la cooperazione operativa, firmato a Roma il 10 novembre 1998 (v. Pre-venzione delle attività pericolose in mare). Con questo accordo, inquadrabile nel genus delle iniziative tendenti a rafforzare la confidenza reciproca (misure CSBM), le due Marine si sono tra l’altro impegnate a favorire la comunicazione, mediante un apposito codice di segnali speciali, di informazioni e intenzioni tra le rispettive unità impegnate in compiti di pattugliamento.

D.M. 25 settembre 1979.

3.3 ZEE tunisina e «Mammellone»

Il regime di zona riservata di pesca del «Mammellone» è stato fatto salvo dalla Tunisia al momento di pro-grammare, con la legge n. 60 del 27 luglio 2005 (UN DOALOS Bulletin n. 58, p. 19) l’istituzione della propria ZEE (v. Zona economica esclusiva (Mediterraneo), nei seguenti termini: «The provisions relating to special fishing zones, stipulated in article 5 of Act n. 49/1973 dated 2 August 1973 concerning the delimitation of territorial waters, shall remain in force». È rimasta insoluta la questione dei diritti vantati dall’Italia sul «Mammellone». Il fatto che la Tunisia ne abbia mantenuto in vigore l’antico regime potrebbe indicare la volontà di concordarne con l’Italia lo status al momento in cui si addiverrà a un accordo di delimitazione (v.) delle rispettive ZEE. Una soluzione potrebbe essere quella di includerla nella SPAMI List, «List of specially protected areas of Mediterranean interest» (v. Protezione ambiente marino). Resta fermo comunque che in un futuro accordo si delimitazione si dovrebbe definire un confine che attribuisca all’Italia parte dello stesso «Mammellone» in considerazione del fatto che il limite stabilito nell’accordo del 1971 sulla piattaforma continentale (v. Piattaforma continentale (Mediterraneo nonché figura a pag. 215) rispondeva a criteri e situazioni contingenti del tempo ma non a quei principi ora in vigore sulla base dell’UNCLOS (art. 74, 1) basati sul raggiungimento di un’equa soluzione.

4. Zone comuni di pesca 4.1 Bocche di Bonifacio

Italia e Francia, nell’ambito della convenzione di Parigi del 28 novembre 1986 per la delimitazione della frontiera marittima nell’area delle Bocche di Bonifacio (v.), hanno istituito una zona comune di pesca (posta a ovest delle Bocche, all’interno delle acque territoriali dei due paesi) in cui è consentita l’attività dei battelli italiani e francesi che esercitano tradizionalmente la pesca in loco.

4.2 Baia di Mentone Non è invece mai stato re-golamentato da alcun ac-cordo un regime della pesca promiscua tra Italia e Francia nella zona della baia di Men-tone. Con Processo verbale stipulato nel 1892 le autorità marittime dei due paesi si li-mitarono, infatti, a definire gli allineamenti a terra del confine — entro le 3 miglia (al tempo, estensione mas-sima delle acque territoriali)

— delle aree in cui i rispettivi pescatori nazionali potevano praticare la loro attività.

La soluzione adottata in passato (che dovrebbe cessare al momento in cui entrerà in vi-gore il nuovo accordo di deli-mitazione stipulato dai due Paesi nel 2015) ha quindi va-lore di modus vivendi, quale in-tesa di fatto a carattere parziale.

Resta fermo che tale intesa provvisoria potrebbe assumere una nuova veste nell’ambito del regime della parità di

ac-cesso dei pescatori unionali. Circolare del 1892 relativa alla pesca nella baia di Mentone.

4.3 Golfo di Trieste

Poteva ascriversi al genus delle zone comuni la zona di pesca nel golfo di Trieste, istituita con l’accordo italo-iugoslavo di Roma del 18 febbraio 1983. Nell’area, posta a cavallo delle acque territoriali dei due paesi e delimitata da un quadrilatero, era consentita la pesca di un limitato numero di battelli di pescatori residenti nei comuni del Friuli-Venezia Giulia e della Slovenia. Questo accordo, dopo la dissoluzione dell’ex Iugoslavia, non risulta essere più in vigore tra l’Italia e gli Stati successori.

5. Zone di protezione della pesca 5.1 ZERP Croazia

Nel 2003 la Croazia ha decretato l’istituzione di una zona di pesca protetta. L’iniziativa, riguardante anche la protezione ecologica (v. Protezione dell’ambiente marino) è basata sul presupposto che in Adriatico (v.) si verifica un uso non sostenibile delle specie ittiche e ha per oggetto il «contenuto della zona economica esclusiva che si riferisce ai diritti sovrani di ricerca e sfruttamento, protezione e gestione dei beni naturali viventi oltre i confini esterni del mare territoriale». Pur essendo in sé legittimo, quale esercizio parziale dei diritti funzionali rientranti nella disciplina della ZEE, il provvedimento croato ha il torto di aver stabilito unilateralmente il limite esterno della nuova zona. Senza alcuna consultazione con l’Italia, la sua frontiera marittima è stata fissata a titolo provvisorio, in attesa «della stipula degli accordi internazionali di delimitazione», sino al limite della piattaforma continentale stabilito dall’accordo italo-iugoslavo del 1968 (v. Piattaforma continentale-Mediterraneo), anche se non vi è alcuna norma internazionale che preveda l’automatica estensione del confine della piattaforma continentale alla sovrastante colonna d’acqua. Da quando la Croazia nel 2013 ha aderito all’UE i pescatori unionali (italiani compresi) beneficiano del regime della parità di accesso nella zona croata. L’iniziativa croata è stata comunque ufficialmente contestata dall’Italia con nota verbale del 15 marzo 2006 (UN LOS Bulletin n. 60, p. 127) in cui l’Italia dichiara che «...there is no legal foundation for the automatic extension, however provi-sional, of the seabed line of delimitation agreed upon in 1968 to superjacent waters, since any delimitation must be con-sidered in close relation to the circumstances of the case that produce it and that change over time…».

5.2 ZPP Libia

La Libia aveva, in passato, avanzato pretese di pesca riservata in alto mare: nel 1974 aveva stabilito che

«la zona marittima prospiciente le acque libiche con fondali inferiori ai 200 m e comunque entro la fascia di 20 mn dalla costa libica, deve essere considerata zona di pesca riservata ai pescherecci libici». Tale pretesa è stata ampliata con decreto 37/2005 che ha proclamato una Zona di protezione dalla pesca (ZPP) che si estende per 62 miglia a partire dal limite esterno delle acque territoriali, in cui si vieta, a meno di autorizzazione delle competenti autorità, qualsiasi attività di pesca. Annessa al decreto è la Declaration of a Libyan Fisheries Protection Zone in the Mediterranean (UN LOS Bulletin n. 58, p. 14) che esplicita i presupposti dell’iniziativa. Con successivi decreti n. 104/2005 e 105/2005 del 20 giugno 2005 la Libia ha poi definito le linee di base delle proprie acque territoriali confermando la linea di chiusura del golfo della Sirte (v. Baie storiche (Mediterraneo) e, per con-seguenza, i limiti esterni della zona di pesca. Questi limiti non si estendono (tranne un tratto circoscritto an-tistante all’isola greca di Gavdos) oltre la mediana con gli Stati frontisti. La pretesa libica è stata oggetto di proteste dell’UE nel periodo 2005-07 con note verbali in cui si evidenzia la sua illegittimità con riguardo so-prattutto la fissazione di confini esterni che tengono conto della contestata chiusura della Sirte. Nella la nota verbale n. 08/2005 l’UE ha in particolare dichiarato che «the outer limit of the Libyan FPZ…trascends the median line between Greece and Libya in four points — points 27, 28, 29 and 30 — south of the Greek island of Gavdos…The-refore …request the Libyan authorities to adjust the limits of the FPZ so as to respect the median line».

Con Dichiarazione del 27 maggio 2009 la Libia ha, infine, anche istituito la ZEE (UN LOS Bulletin n. 72, p. 78) i cui limiti si estendono al di là delle acque territoriali «secondo quanto permesso dal diritto internazionale», concordandoli se necessario con i paesi vicini. Sembrerebbe quindi, a questo punto, che la pretesa della ZPP sia stata assorbita da quella più ampia relativa alla ZEE che non fa più riferimento alla chiusura della Sirte.

5.3 ZPP Slovenia

Con decreto del 5 gennaio 2006 la Slovenia, benché priva di accesso diretto alle acque internazionali, ha istituito proprie zone di protezione della pesca nelle seguenti aree: «zona A», coincidente con le pro-prie acque interne; «zona B», comprendente le acque territoriali adiacenti alle frontiere marittime di Italia

e Croazia delimitate dal confine di Osimo fino al punto T5 (v. Acque territoriali - Mediterraneo); «zona C», in acque internazionali, di identica estensione della zona ecologica protetta (v. Protezione dell’am-biente marino - Mediterraneo). L’iniziativa slovena ha carattere temporaneo, in attesa di pervenire a una soluzione concordata con la Croazia. Al momento (2020) questa soluzione non c’è ancora, in quanto Za-gabria non ha accettato la decisione emessa nel 2017 dall’apposita Corte arbitrale (v. Baia di Pirano).

5.4 ZPP Spagna

Con Decreto Reale del 1° agosto 1997 la Spagna aveva istituito una Zona di protezione della pesca nel mar Mediterraneo, per tutelare il tonno rosso, applicando misure comunitarie di conservazione e controllo nei confronti dei battelli unionali. Il limite della zona si spinge sino a quella che la Spagna considera come linea mediana (v.) con la Francia nel golfo del Leone ma che la Francia contesta in quanto essa non tiene adeguato conto, a proprio favore, della concavità dello stesso golfo. Per questo motivo la ZEE francese isti-tuita nel 2012 (v. Protezione dell’ambiente marino (Mediterraneo) si sovrappone con la zona spagnola. La Spagna ha trasformato in ZEE, con Real Decreto 236-2013, la sua Zona di protezione della pesca lasciandone inalterati i limiti fissati nel 2000, ma esprimendo le coordinate in WGS 84 (v. ZEE-Mediterraneo).

L’iniziativa spagnola del 1997 era stata contestata sia dall’Italia in relazione al suo carattere unilaterale in quanto nessun coordinamento era stato condotto in ambito comunitario né era stata consultata l’Italia quale paese frontista. I punti di divergenza tra Italia e Spagna erano stati composti nel 1998 per mezzo di un’intesa pratica di natura provvisoria (che tuttavia non risulta essere mai divenuta operativa) con cui il nostro paese concordava tra le Baleari e la Sardegna un limite in parte diverso da quello definito per il fondale con l’accordo del 1974 (v. Piattaforma continentale).

Vedi anche: Palestina.

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 107-112)