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RICERCA E SOCCORSO IN MARE 1. Disciplina internazionale

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 150-157)

Ogni Stato deve obbligare i comandanti delle navi che battono la sua bandiera — sempre che ciò sia possibile «senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri» — a prestare assistenza a naufraghi trovati in mare o a portarsi immediatamente in soccorso di persone in pericolo quando si abbia notizia del loro bisogno di aiuto (Ginevra II,12,1; UNCLOS 98,1). Tale obbligo prescinde dal regime giuridico della zona di mare in cui avviene il soccorso nel senso che può esplicarsi, al di fuori dell’alto mare (v.) in

Zone FIR del Mediterraneo (Fonte: ICAO).

senso stretto, tanto nelle acque internazionali (v.) come nella zona economica esclusiva (v.) o nella zona contigua (v.) di uno Stato diverso da quello di bandiera. Il soccorso a persone o navi in pericolo è altresì possibile nelle acque territoriali (v.) straniere (UNCLOS 18, 2) se finalizzato ad assistere, in situazioni di necessità, persone in difficoltà. Questa attività costituisce una deroga al principio del «passaggio continuo e rapido» previsto dal regime del transito inoffensivo (v.), ma non intacca la competenza esclusiva dello Stato costiero sia per il coordinamento dell’operazione sia per l’intervento di mezzi, quali rimorchiatori, specificatamente adibiti a prestare assistenza a navi in difficoltà.

Tutti gli Stati provvisti di litorale marittimo sono altresì tenuti a creare e mantenere un servizio di ri-cerca e salvataggio (indicato come SAR dall’acronimo di Search and Rescue). A questo fine essi possono far ricorso ad accordi regionali di mutua assistenza con gli Stati confinanti (Ginevra II,12,2; UNCLOS 98,2) basati sul principio che le autorità dello Stato costiero responsabili dei servizi di ricerca e salvatag-gio, qualora vengano informate dalle autorità di un altro Stato che vi sono persone in pericolo di vita nella zona SAR di propria competenza, sono tenute a intervenire «senza tener conto della nazionalità o della condizione giuridica» di dette persone. La cooperazione tra Stati quindi è uno dei pilastri fondanti del re-gime internazionale del SAR; l’altro è quello delle responsabilità ricadenti sui singoli paesi costieri al-l’interno delle aree di propria competenza. Non è tuttavia necessario, in teoria, che i servizi SAR siano assicurati in proprio dallo Stato che è responsabile della loro organizzazione. È noto, per esempio, che in certi paesi di tradizione anglosassone sussisteva una dimensione privatistica del soccorso, attività a scopo di lucro remunerata secondo i criteri stabiliti dalla convenzione Salvage del 1989 (v. successivo para 6). Quel che è certo è che tutti gli Stati provvisti di litorale marittimo sono tenuti a mantenere un servizio SAR: l’attuale prassi internazionale è nel senso che vengano impiegate per l’esigenza navi pub-bliche specificatamente dedicate, senza escludere il concorso — su base occasionale e tenendo conto delle loro limitazioni funzionali di impiego — delle navi mercantili. In questo ambito si colloca, nel quadro dell’assistenza in mare ai migranti, il fenomeno delle navi delle ONG impiegate nel SAR in forma sus-sidiaria. Quelle che possiamo definire come navi umanitarie, da un lato assicurano, ove se ne presenti la necessità, il c.d. soccorso spontaneo che i paesi di bandiera sono tenuti a imporre ai comandanti delle proprie navi sulla base del principio del «genuine link» stabilito dall’art. 91 dell’UNCLOS; dall’altro, le stesse — come fatto dall’Italia negli anni tra il 2015 e il 2018 — possono essere impiegate dai servizi SAR nazionali competenti per area i quali siano informati della loro posizione in prossimità di un’imbarca-zione in pericolo. Il ruolo sussidiario svolto dai privati è dunque uno dei pilastri del sistema internazio-nale del SAR; altro, come detto, è invece quello della cooperazione tra gli Stati.

Prima dell’UNCLOS, la Convenzione sulla sicurezza della vita umana in mare (SOLAS 1974) aveva previsto che gli Stati parte organizzassero meccanismi di comunicazione e coordinamento in situazione di distress in mare nelle loro «rispettive aree di responsabilità» e per il salvataggio di persone in pericolo

«intorno alle loro coste». In questo modo si era legittimata l’istituzione delle Zone SAR ora regolamentate dalla Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimo di cui si tratterà più avanti.

2. Concetto di «distress»

Presupposto del SAR è il concetto di «distress» che la stessa SOLAS (annex, ch. 1, para. 1.3.11) definisce come «[a] situation wherein there is a reasonable certaint that a vessel or a person is threatened by grave and im-minent danger and requires immediate assistance». Al riguardo, va ricordato che sussistono differenti vedute tra gli Stati sulla possibilità o meno che possa configurarsi distress anche nel caso di imbarcazioni so-vraccariche che tuttavia appaiano seguire una ben precisa rotta in buone condizioni di navigabilità. Que-sto è l’approccio operativo seguito da Malta e Grecia in tutti quei casi in cui, in assenza di una richiesta di soccorso (distress call) da parte di singole imbarcazioni trasportanti migranti, si è scelto di lasciar loro proseguire il viaggio verso l’Italia. Diverso invece l’orientamento dell’Italia basato su una interpretazione non restrittiva del concetto di distress che porta a dichiarare una situazione SAR ogni qual volta si con-figuri una situazione di pericolo per imbarcazioni inadatte a navigare. Simili questioni assumono speciale valenza se rapportate ai problemi del salvataggio nelle zone SAR delle persone coinvolte nel traffico e trasporto illegale di migranti (v.). In questo ambito si colloca il concetto di place of safety (POS) che con il SAR è interfacciato, anche se ha una sua autonomia concettuale e giuridica.

3. Zona di ricerca e soccorso (Zona SAR) 3.1 Regime generale

Le zone extraterritoriali di acque internazionali entro i cui limiti lo Stato costiero fornisce servizi di ri-cerca e di salvataggio sono le zone SAR (annesso Convenzione Amburgo, para 1,3,1). Si tratta di «aree di responsabilità» funzionale per il salvataggio di persone in pericolo «intorno alle coste»: al loro interno lo Stato costiero si impegna a istituire un centro e dei sotto centri di coordinamento, a designare delle unità costiere di soccorso, a disporre di strutture, mezzi navali e aerei, centri di telecomunicazione di soccorso e personale commisurato alle esigenze. La convenzione di Amburgo chiarisce, infatti, che un servizio SAR, per essere efficace, deve essere gestito e sostenuto adeguatamente, oltre che essere integrato in uno specifico contesto normativo, sulla base del principio che «le parti dovrebbero organizzare i loro servizi di ri-cerca e di salvataggio in modo da poter far fronte rapidamente agli appelli di soccorso» (annesso, para 2,1,8). I li-miti delle zone SAR vanno definiti per accordo, anche se resta fermo che non si tratta di confini politici:

la norma è, perciò, che questi limiti non coincidano mai con le frontiere marittime. La creazione di una zona SAR non è dunque un diritto ma un dovere intrinsecamente subordinato alla circostanza che lo Stato costiero interessato sia in grado di garantire l’operatività continua ed efficace dei servizi SAR nel-l’area di propria competenza. Da questo punto di vista destano perplessità le posizioni più volte espresse da alcuni Stati, come fatto da Malta, in difesa della intangibilità della propria zona SAR, quasi si trattasse di vero e proprio spazio territoriale. Le zone SAR non dovrebbero sovrapporsi l’una all’altra. Questo principio ammette deroghe dal momento che le parti, se non raggiungono un accordo sull’esatta deli-mitazione delle rispettive zone SAR, hanno il dovere di coordinarsi tra loro (annesso, 2, 1, 5). L’esigenza della certezza dei confini delle zone SAR deriva dal fatto che esse rientrano nella responsabilità dello Stato costiero e sottostanno quindi al suo controllo e al suo potere di intervento. La prassi internazionale contempla tuttavia casi di creazione di joint SAR zone, sorta di zone grigie di responsabilità congiunta, in cui gli Stati possano condurre operazioni cross border con poteri reciproci di intervento. Il principio che ispira simili iniziative è ovviamente quello della cooperazione per condividere, nell’interesse della comunità internazionale, oneri e responsabilità di una funzione che ha valore universale. Un caso di stu-dio è l’Accordo del 2004 tra Australia e Indonesia su una zona di intervento comune che lascia impre-giudicata la sovrapposizione delle rispettive aree SAR. A prescindere da questa iniziativa altri esempi di condivisione di responsabilità nel soccorso si hanno nell’accordo SAR per l’Artico tra Canada, Dani-marca, Finlandia, Islanda, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti. Esiste anche un simile accordo per il Mar Nero tra Bulgaria, Georgia, Romania, Russia e Ucraina.

3.2. Prassi mediterranea

La convenzione di Amburgo del 1979 pre-vede la stipula di accordi regionali per la de-limitazione tra Stati frontisti o contigui delle zone SAR di competenza nazionale relative sia alle acque territoriali, sia alle acque inter-nazionali adiacenti. La delimitazione di que-ste zone non è legata a quella delle frontiere marittime esistenti né pregiudica il regime giuridico delle acque secondo l’UNCLOS.

L’Italia è stata il primo paese del Mediter-raneo a prendere l’iniziativa di negoziare ac-cordi di questo tipo con i paesi frontisti. Nel corso della conferenza di Ancona del 19 mag-gio 2000 (v. mare Adriatico) sono stati firmati specifici Memorandum of Understanding sulla cooperazione nelle operazioni di ricerca e soc-corso tra l’Italia e la Slovenia, la Croazia, l’Al-bania e la Grecia. Un ulteriore Memorandum è

stato siglato con l’Algeria il 14 novembre 2012. Zone SAR Mediterraneo centro-orientale (Fonte: Maricogecap).

(a) Accordi SAR Italia

I limiti delle zone SAR di rispettiva pertinenza dell’Italia e degli altri Stati definiti con tali Memorandum sono del tutto svincolati da quelli degli spazi marittimi di giurisdizione nazionale. Unica eccezione è il confine della zona SAR italo-slovena che ha dovuto coincidere ipso jure con la delimitazione delle acque territoriali dei due paesi nel golfo di Trieste stabilita dall’accordo di Osimo del 10 novembre 1975 (v.

Acque territoriali-Mediterraneo).

In assenza di specifici accordi di delimitazione, i limiti delle zone SAR stabiliti unilateralmente sono comunicati dagli Stati all’IMO che ne prende atto. Per quanto riguarda il mar Mediterraneo (v.) nel corso della conferenza IMO di Valencia del 1997 si è provveduto ad approvare un «General Agreement on a Pro-visional SAR Plan» in cui sono fissati consensualmente i limiti delle zone SAR mediterranee.

Un caso di definizione unilaterale di zona SAR è quello di Malta. Secondo quel che risulta dal global SAR plan elaborato dall’IMO, con l’intento di dare informazioni sulle organizzazioni nazionali dei servizi responsabili in materia SAR, la SAR maltese ha un’estensione vastissima, pari a circa 250.000 kilometri quadrati che coincide con la «flight information region» (FIR) (v. Regione per le informazioni di volo) e che si prolunga dalle isole Pelagie sin sotto

Creta, per non meno di 500 mn.

La zona SAR di Valletta si sovrappone, nella parte a nord e a ovest con la corrispon-dente zona SAR italiana definita con il D.P.R.

664-1994, coprendo addirittura le acque ter-ritoriali di Lampedusa e Lampione. A ovest lambisce le acque territoriali della Tunisia impedendo a questo paese di svolgere in au-tonomia operazioni SAR a poche miglia dalle proprie coste. Queste anomalie della zona SAR maltese dovrebbero essere cor-rette a seguito di specifico accordo di deli-mitazione con l’Italia e con la Tunisia.

Va notato peraltro che al 2015 nessun accordo di cooperazione SAR risulta essere stato mai stipulato tra Malta e Italia, nonostante gli intensissimi rapporti di cooperazione militare e marittima tra i due paesi siano di lunga data, evidentemente proprio a motivo della questione dell’area di sovrapposizione.

In realtà riserve sull’estensione della zona SAR di Malta, anche in rapporto alla limitata capacità mal-tese in termine di mezzi adibiti al soccorso, sono più volte state espresse dall’Italia nel corso delle ricor-renti ondate migratorie (v. Traffico e trasporto illegale di migranti in mare). Il fatto è che, in assenza di interventi di soccorso delle autorità di Malta o su loro richiesta, l’organizzazione SAR italiana si è sempre attivata nella zona di competenza maltese per dare assistenza a migranti in pericolo. Problemi sono sorti più volte sul porto di sbarco delle persone salvate (v. place of safety citato in precedenza nella presente voce) nella SAR maltese che Valletta sostiene essere non il suo territorio ma il posto più vicino al luogo di soccorso (che spesso è Lampedusa).

(b) Disputa SAR greco-turco-cipriota

Anche tra Grecia e Turchia è aperto da anni un contenzioso in materia di SAR. La Grecia ha, infatti, istituito una zona SAR di propria giurisdizione che comprende tutte le zone di acque internazionali del-l’Egeo, oltre ovviamente alle acque territoriali greche. Il criterio seguito dalla Grecia è stato quello di far coincidere la zona del SAR marittimo con quella del SAR aereo ricadente nella propria FIR (v. Regione per le informazioni di volo).

La Turchia, per parte sua, ritiene invece che la propria giurisdizione SAR si estenda sino alla metà dell’Egeo e alla parte di Cipro occupata (c.d. «Repubblica turca Cipro del nord»). Nel 1989 Ankara ha, infatti, istituito una zona SAR di questa estensione. È evidente che questa posizione è in linea con le altre pretese riguardanti la piattaforma continentale (v.) e la FIR.

La questione della competenza in materia di SAR è stata all’origine del noto caso dell’isolotto di Imia/Kardak appartenente al Dodecanneso e rivendicato da Grecia e Turchia (v. mar Egeo). L’incidente

Aree di sovrapposizione tra zona SAR italiana e maltese (Fonte: Avvenire).

che ha dato origine alla questione è stato, infatti, l’incaglio, avvenuto il 25 dicembre 1995, di un mercantile turco sulle coste dell’isolotto: l’intervento SAR delle autorità greche venne rifiutato assumendo che la competenza in materia spettava alla Turchia trattandosi di proprio territorio.

La disputa SAR si è riaccesa nel 2014 quando Cipro ha concluso un accordo di delimitazione SAR con la Grecia che ignora la pretesa di Ankara a una propria zona SAR tra le coste anatoliche e la RTCN.

4. SAR e place of safety (POS)

La disciplina del POS era stata delineata dall’IMO a seguito del caso, verificatosi nel 2001, del mer-cantile norvegese Tampa il quale, dopo aver salvato a sud dell’Indonesia centinaia di profughi afgani alla deriva su un’imbarcazione di fortuna, aveva cercato di trasportarli in Australia ma era stato respinto dalle autorità locali. Il fatto indusse l’IMO ad approvare Risoluzione A.920(22) sul «Treatment of Persons Rescued at Sea» che così definisce il POS: «A place of safety (as referred to in the annex to the 1979 SAR con-vention, paragraph 1.3.2) is a location where rescue operations are considered to terminate. It is also a place where the survivorsiì safety of life is no longer threatened and where their basic human needs (such as food, shelter and medical needs) can be met. Further, it is a place from which transportation arrangements can be made for the sur-vivor’s next or final destinationª. Il contenuto di tale risoluzione è stato recepito nella parte V, reg. 33, della SOLAS stabilendo, tra l’altro, un obbligo di coordinamento e cooperazione tra gli Stati parte nell’assicu-rare che il comandante di un mercantile che abbia assistito i migranti raggiunga un POS. La regola af-ferma la primaria responsabilità dello Stato nella cui zona SAR i migranti siano stati salvati ai fini del loro sbarco in un POS, nei seguenti termini: «The Contrarcting Government responsible for the SAR region in which such assistance was rendered shall exercise primary responsibility … that survivors assisted are disembarked

…and delivered to a place of safety». Questa chiara statuizione ha una sua logica alla luce dei principi di cooperazione che informano il sistema del SAR. Purtroppo essa non ha natura obbligatoria ma vincola solo gli Stati che hanno ratificato l’emendamento alla SOLAS: è questo il caso di Malta la quale sostiene, invece, che le persone salvate vadano trasportate nel luogo più vicino a quello ove è avvenuto il soccorso.

La tesi maltese potrebbe avere una sua validità alla luce del criterio di ridurre al minimo — in termini di durata del viaggio — i disagi della nave che trasporta le persone soccorse e delle persone medesime, se non fosse che è mirata alla situazione dei salvataggi nel canale di Sicilia ove il POS più vicino, per chi parte dalla Tripolitania, non è Valletta ma Lampedusa. In realtà, la formula della SOLAS non stabilisce un criterio avente valore assoluto, ma prevede solo che il paese responsabile della zona SAR si attivi per individuare un POS sul suo territorio o in quello di un altro paese che, contattato, accetti lo sbarco. I pro-blemi, per i paesi UE, nascono anche dalla difficoltà di conciliare il sistema del SAR con quello del c.d.

«Regolamento di Dublino 3» che prevede la competenza, per l’esame della domanda di protezione in-ternazionale presentata da un cittadino di un paese terzo entrato illegalmente, da parte del paese membro di primo ingresso. Pur in presenza di incertezze applicative sul regime internazionale del POS, la nostra Corte di Cassazione con sentenza del 2020, interpretando evolutivamente la normativa internazionale con riguardo al noto caso Rackete, ha stabilito che l’obbligo di soccorso non possa comunque prescindere dall’assicurare alle persone salvate un POS in cui siano valutate le loro istanze a protezione.

5. Chiusura dei porti

Allo stato attuale del diritto internazionale non vi è alcuna norma che obblighi un paese costiero a con-sentire l’ingresso sul suo territorio di persone soccorse al di fuori della sua zona SAR. La questione è in parte connessa a quella della chiusura dei propri porti nei confronti di tali persone, anche se trasportati da navi di ONG che agli stessi porti siano dirette. Il caso si è a più riprese presentato in Italia in anni recenti quando i governi hanno interdetto a queste navi l’ingresso nelle nostre acque territoriali, allegando illeciti di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, e per conseguenza violazione dei principi del-l’ordine e della sicurezza pubblica e più in particolare, se si fosse trattato di navi di bandiera straniera, dei principi del transito inoffensivo (v.). Norme in materia sono contenute nella Convenzione di Ginevra del 1923 sul regime internazionale dei porti marittimi che, pur affermando il principio che l’accesso ai porti è libero a condizioni di reciprocità, prevede all’art. 8 dello statuto, il diritto per ogni singolo paese di vietarne l’accesso. Altra questione è la violazione del transito inoffensivo (v.) che una nave non auto-rizzata a entrare, può compiere nel tragitto lungo le acque territoriali se impegnata in attività illecite come

il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. L’esigenza di prevenire questa forma di violazione è stata posta a base dall’Italia in alcuni provvedimenti di chiusura adottati nel 2019. Uno specifico provve-dimento ad hoc è stato il Decreto del 7 aprile 2020 il quale ha disposto il divieto di sbarco delle persone salvate al di fuori dell’area SAR italiana, motivandolo con l’assenza di garanzie sanitarie per gli stessi mi-granti, prima ancora che per il rischio di contagio della nostra popolazione. Qualsiasi provvedimento di chiusura può essere ovviamente derogato, sulla base di considerazioni di umanità e necessità, qualora si presentino casi di imbarcazioni trasportanti migranti in condizioni sanitarie critiche.

6. Convezione internazionale del 1989 sul salvataggio

La convenzione di Londra del 1989 sul salvataggio (Salvage Convention), ha sostituito la convenzione di Bruxelles del 1910 in materia di assistenza e salvataggio marittimi. Le innovazioni normative introdotte mirano principalmente a incentivare l’attività di assistenza e di salvataggio in mare, in particolare quella svolta dalle navi private destinate a svolgere, per fini di lucro, questa attività. Il suo ambito di applica-zione comprende le operazioni di soccorso rese «per assistere una nave o ogni altro bene in pericolo». La con-venzione disciplina da un lato i doveri del soccorritore, dall’altro quelli del comandante e del proprietario della nave soccorsa. Di particolare interesse sono le previsioni in materia dei diritti del soccorritore nei confronti dei vari interessati alla spedizione secondo criteri che, per incentivare l’attenzione da parte dei soccorritori alle esigenze di salvaguardia e tutela dell’ambiente marino, si basano anche sulla «cura e gli sforzi dei soccorritori nel prevenire o ridurre danni all’ambiente». Il compenso non può superare in ogni caso il valore dei beni salvati.

Di rilievo, infine, le disposizioni secondo cui: 1) le operazioni di salvataggio che hanno avuto un risultato utile danno diritto a una remunerazione (un compenso speciale, in deroga al tradizionale

Di rilievo, infine, le disposizioni secondo cui: 1) le operazioni di salvataggio che hanno avuto un risultato utile danno diritto a una remunerazione (un compenso speciale, in deroga al tradizionale

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 150-157)