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Canale di Suez (a) Inaugurazione

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 175-178)

PRINCIPALI STRETTI INTERNAZIONALI TRA UNA ZONA DI ALTO MARE O DI ZEE E UN’ALTRA ZONA DI ALTO MARE O DI ZEE

6. Situazione specifici stretti e canali 1 Bocche di Bonifacio

6.6 Canale di Suez (a) Inaugurazione

Il corteo di navi che il 17 novembre 1869 celebrò l’inaugurazione del canale di Suez trasportava, oltre al chedivè d’Egitto Ismail, molte teste coronate, a cominciare dall’imperatrice Eugenia, moglie di Napo-leone III, imbarcata sul panfilo Aigle, all’imperatore Francesco Giuseppe e al Principe di Galles. L’Italia, benché non rappresentata da membri della famiglia reale, aveva inviato ad Alessandria una nutrita for-mazione navale. Sul panfilo dell’imperatrice Eugenia vi era anche il progettista del canale, Ferdinand de Lesseps, a testimoniare l’orgoglio della Francia per la realizzazione di un’impresa fortemente voluta.

In realtà, i meriti non erano solo di Lesseps, ma anche di tutti quelli, compresi alcuni italiani, che avevano creduto nella possibilità di realizzare il canale di Suez, non solo per motivi commerciali e politici, ma anche in nome di ideali universalistici.

(b) La via d’acqua universale

Il collegamento del Mediterraneo al Mar Rosso rappresenta, com’è noto, il punto di arrivo di un lungo processo che affonda le sue radici nella storia più antica dell’Egitto e nei progetti elaborati e/o realizzati nelle varie epoche dai faraoni, dai Persiani, dall’imperatore Traiano, dai califfi Abassidi. Si pensò allora a canali trasversali tra il ramo orientale del Nilo e i Laghi Amari, collegando questi con il Mar Rosso. Al-l’inizio del Cinquecento, Venezia — per rimediare ai danni al suo commercio con Levante, derivanti della scoperta portoghese della Via delle Indie — immaginò di scavare un vero e proprio canale tra i due mari. L’idea veneziana, dopo che la spedizione di Napoleone in Egitto la riportò all’attenzione interna-zionale, divenne realtà grazie alla determinazione del diplomatico francese Ferdinand de Lesseps. Questi, ottenuta la necessaria concessione, nel 1859 dette avvio all’impresa avvalendosi delle capacità tecniche di Luigi Negrelli, ingegnere ferroviario di origine trentina e di nazionalità austriaca.

Le finalità economico-politiche che animavano Lesseps non devono tuttavia far dimenticare che tra i paladini del canale vi era Prosper Enfantin, interprete del sansimonismo, movimento facente capo a Henri de Saint-Simon, il quale aveva inserito il taglio dell’istmo di Suez in un vasto programma di ”ri-generazione sociale” del mondo. Enfantin partecipò alla costituzione della Société d’études pour le canal de Suez, spinto, sulla scia del suo maestro, da una visione universale: l’opera venne immaginata come mezzo per realizzare un nuovo ordine internazionale in cui la vitalità dell’Oriente si sarebbe saldata con il razionalismo dell’Occidente, il mondo musulmano e quello cristiano. Così, quando nel 1854 Said Pashià rilasciò a Lesseps un firmano (decreto) per realizzare il canale, stabilì come condizione che l’opera sarebbe

stata gestita da una compagnia a carattere «universale», e che il transito fosse aperto a tutti gli Stati, su una base di completa eguaglianza. Questa clausola fu ampliata nel secondo decreto del 1856 il quale sta-bilì che il canale dovesse essere un «passaggio neutrale». La successiva convenzione del 1866 tra il governo egiziano e la compagnia chiarì inoltre che il transito dovesse essere aperto ai bastimenti di tutte le nazioni, senza escludere le navi da guerra. Un ulteriore fatto che accelerò l’internazionalizzazione del canale fu, nel 1882, l’occupazione britannica della zona del canale (cui l’Italia, benché invitata, non volle parteci-pare), dopo la rivolta nazionalistica del colonnello egiziano Arabi. Il nostro paese aveva comunque as-sunto un ruolo attivo nel corso della conferenza internazionale convocata a Costantinopoli per concertare misure contro i rivoltosi, prima dell’occupazione britannica. Il rappresentante italiano propose che fosse riconosciuta l’urgente necessitaÌ di creare un’organizzazione internazionale, con il concorso della Turchia, a garanzia della libertaÌ di passaggio nel canale. L’iniziativa italiana, nonostante fosse stata giudicata fa-vorevolmente, non ebbe seguito per le riserve manifestate da vari paesi. A riprova del ruolo ricoperto nell’affermazione della libertaÌ di transito nel canale, l’Italia fu invitata dal premier britannico Granville, nel 1885, a far parte della commissione incaricata di predisporre uno statuto internazionale. In questo modo, dopo che le Gran Bretagna ottenne garanzie sulla sua occupazione della zona del canale, si giunse alla sigla della Convenzione di Costantinopoli del 29 ottobre 1888 firmata da Italia, Austria-Ungheria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Russia, Spagna e Turchia.

(c) La convenzione di Costantinopoli

La convenzione, in linea con la genesi politica del progetto, si propone di stabilire — com’è detto nel suo preambolo — un «sistema definitivo destinato a garantire, in ogni tempo e a qualsiasi paese, il libero uso del canale». Fondamentale è il suo art. 1, il quale afferma un regime di transito improntato alla garanzia di libertà di navigazione ed eguaglianza di trattamento per le navi di qualsiasi bandiera, prevedendo che:

«Il canale sarà sempre libero, in tempo di guerra come in tempo di pace, a ogni nave mercantile o da guerra, senza distinzione di bandiera». Connesso al diritto di transito delle navi da guerra straniere è il regime di demi-litarizzazione (v.) del canale stabilito dall’art. 4 secondo cui il canale deve restare aperto anche in tempo di guerra alle navi militari dei belligeranti, ma nessun atto di ostilità volto a ostruirlo, può essere com-piuto al suo interno. Tale regime potrebbe essere anche definito come neutralizzazione se non fosse che il termine rischia di creare equivoci. Il canale è sì neutralizzato nel senso che nessun atto di ostilità può es-sere compiuto al suo interno (compreso il movimento di truppe e armamenti o lo stazionamento di navi al suo interno), ma non lo è se si considera che nessuna limitazione è fissata per il caso in cui il transito di navi da guerra di belligeranti sia preordinato a compiere atti di ostilità all’esterno del canale. La de-militarizzazione fu in generale osservata nel corso delle due guerre mondiali, tranne che in alcuni episodi:

navi tedesche che non avevano osservato le regole di transito rapido furono internate dalla Gran Bretagna e Forze turche tentarono nel 1915 di bloccarlo. Durante la crisi anglo-italiana del 1936, all’epoca dell’oc-cupazione italiana dell’Etiopia, la Gran Bretagna rinunciò, inoltre, al progetto di inibire il transito delle navi italiane quale misura da adottare in applicazione delle sanzioni decretate dalla Società delle nazioni contro il nostro paese. Nel corso della Seconda guerra mondiale le acque del canale vennero bombardate dalle Forze dell’Asse e mine acustiche e magnetiche vennero lanciate al suo interno.

(d) Il canale, l’Egitto e Israele

Il controllo del canale da parte del Regno Unito ebbe fine gradualmente: prima, nel 1922, con la conces-sione dell’indipendenza all’Egitto e il termine del protettorato; poi, nel 1947 e nel 1954, con la partenza dal-l’Egitto e l’abbandono della zona del canale. Gli avvenimenti precipitarono, com’è noto, a seguito della nazionalizzazione della compagnia, operata il 26 luglio 1956 dal presidente Nasser, cui seguì il fallimento politico-diplomatico dell’occupazione della zona del canale tentata nell’ottobre 1956 da una Forza di in-tervento franco-inglese con il pretesto di interporsi nel conflitto tra Israele ed Egitto. Nel frattempo, il Con-siglio di sicurezza delle NU aveva emanato la Risoluzione 118 (1956) che fissava le condizioni per la soluzione della crisi, indicando come precondizioni il mantenimento della libertà di transito (politica e tec-nica) nel canale nonché il rispetto dell’indipendenza dell’Egitto. La compagnia del canale, per effetto del provvedimento di nazionalizzazione, venne sostituita dalla Suez Canal Authority, la quale è tuttora «a public and an independent authority of a juristic personality; SCA shall report to the Prime minister».

Il canale, dopo la rimozione di alcuni relitti di navi affondate, venne riaperto il 10 aprile 1957. L’Egitto, al termine della crisi, s’impegnò con la dichiarazione del 24 aprile 1957 a «mantenere libero il canale e non interrompere la navigazione a favore di tutte le nazioni entro i limiti e in accordo con le previsioni della convenzione di Costantinopoli del 1888». L’impegno unilaterale dell’Egitto a rispettare lo status quo ante non impedì tuttavia di applicare il divieto di transito nei confronti delle navi di bandiera israeliana stabilito nel 1948.

Il divieto fu successivamente esteso a qualsiasi carico diretto in Israele, a prescindere dalla bandiera della nave utilizzata per il trasporto con motivazioni di vario genere riconducibili — come dichiarato dal Primo ministro israeliano all’Assemblea generale delle NU nel 1959 — alla tesi che il Governo egiziano avesse il diritto, in ragione delle ostilità in atto, di adottare misure difensive nel canale. La situazione di ostilità tra i due paesi sfociò, come si ricorderà, nella «Guerra dei 6 giorni» del giugno 1967, durante la quale Israele occupò la penisola del Sinai sino alle rive del canale, mentre l’Egitto bloccò il transito della via d’acqua mediante l’affondamento di quindici navi. La chiusura del canale si prolungò per otto anni determinando gravissime conseguenze per l’economia dei paesi mediterranei. Si ebbe per conseguenza la spinta a sviluppare la navigazione lungo la rotta di Buona Speranza utilizzando superpetroliere di gi-gantesche dimensioni (sino a 400.000 t) e si ebbero elementi a favore della tesi, già espressa in passato al momento dell’avvio dell’impresa della compagnia, di chi considerava il canale un’entità di significato regionale, obsoleto dal punto di vista economico e strategico. Ciononostante, grazie all’impegno della comunità internazionale e in concomitanza con il miglioramento delle relazioni tra Egitto e Israele, il ca-nale fu riaperto il 5 giugno 1975. Nell’art. V del Trattato di pace tra Israele ed Egitto del 26 marzo 1979 (v. stretto di Tiran) fu infatti richiamata l’applicazione della convenzione di Costantinopoli nei seguenti termini: «Ships of Israel, and cargoes destined for or coming

from Israel, shall enjoy the right of free passage through the Suez canal and its approaches through the gulf of Suez and the Medi-terranean sea on the basis of the Constantinople convention of 1888, applying to all nations, Israeli nationals, vessels and car-goes, as well as persons, vessels and cargoes destined for or co-ming from Israel, shall be accorded non-discriminatory treatment in all matters connected with usage of the canal».

(e) La nuova vita del canale

Dopo aver superato indenne numerose rivalità e crisi internazionali il canale è giunto, nel 2019, in piena salute, ai suoi centocinquant’anni. Certo, non è più la fondamen-tale via di comunicazione dell’Impero britannico come gli inglesi andavano ripetendo con fierezza, a sottolineare che il canale era sì una via d’acqua internazionale, ma pur sempre un’infrastruttura funzionale all’interesse di man-tenere i collegamenti con i loro possedimenti. Alla scom-parsa della Via delle Indie, concetto geopolitico che rimanda alla teoria dei choke points, si è tuttavia sostituito oggi qualcos’altro: il dominante imperialismo commerciale della Cina ha, difatti, elaborato la strategia della Via della Seta Marittima (Maritime Silk Road) che ha nel canale il suo punto di forza. Pechino ha quindi da tempo iniziato a in-teressarsi alle vie di accesso a Suez, Gibuti, Massaua e, so-prattutto, alla Suez economic zone.

Sta di fatto che il canale è risorto a nuova vita il l6 agosto 2015: al termine dei lavori di ampliamento (la profondità dello scavo è stata portata a 24 m) è stata inaugurata la nuova via d’acqua di 35 km, parallela al precedente tratto, Grandi Laghi AmaIsmailia. In questo modo si sono

ri-dotti i tempi di percorrenza (11 ore) e si è raddoppiato il Canale di Suez, nuovo tracciato (Fonte: ENI, Oil, n. 31).

numero delle navi da ammettere al transito (97 navi al giorno). Ma soprattutto si è eliminato ogni limite di dimensione (in precedenza 240.000 tsl) delle stesse navi, rendendo nuovamente competitiva la rotta del canale a beneficio dei porti mediterranei e dello stesso Egitto, che ha nei diritti di transito la fonte principale della sua economia. Nel 2018 i transiti sono aumentati, raggiungendo il record di 18.000 navi.

Si è così scongiurato il rischio, corso dal Mediterraneo, di ridurre i suoi traffici durante il periodo più acuto della crisi della pirateria (v.) del Corno d’Africa, tra il 2008 e il 2014. Al tempo, le associazioni degli armatori e la stessa IMO raccomandarono, infatti, allo shipping di tenersi lontano dal Corno d’Africa e dal golfo di Aden seguendo la rotta, più lunga ma anche più sicura, del Capo di Buona Speranza. E si sono anche poste le condizioni per evitare che nel medio periodo le nuove rotte polari (v. mare Artico), risultando più competitive economicamente, possano marginalizzare ulteriormente il Mediterraneo.

6.7 Stretto di Bab el-Mandeb

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 175-178)