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POLIZIA DELL’ALTO MARE

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 132-137)

1. Concetto e presupposti giuridici

Si definisce polizia dell’alto mare o, secondo la terminologia anglosassone, Maritime Law Enforcement (MLE), l’esercizio in alto mare (v.), da parte delle navi da guerra (v.) di poteri di imperio (constabulary powers) mediante inchiesta di bandiera (v.), fermo (stop), esercizio del diritto di visita (v.), assunzione di

controllo (detention), dirottamento (divertion). La base legale della polizia dell’alto mare si rinviene prin-cipalmente nell’art. 110 dell’UNCLOS che, con riguardo al diritto di visita, autorizza le navi da guerra di tutte le nazioni a esercitare poteri autoritativi verso le navi mercantili non nazionali in caso di pirateria (v.), tratta degli schiavi (v.), navigazione senza nazionalità o con bandiera di convenienza (v. Nazionalità della nave), trasmissioni non autorizzate (v.). In aggiunta la cornice legale della polizia dell’alto mare è costituita:

— dalla Convenzione di Parigi del 1884 concernente la protezione di cavi e condotte sottomarine (v.);

— dall’art. 17 della Convenzione di Vienna del 1988 contro il traffico illecito di stupefacenti e dall’Ac-cordo di Strasburgo del 1995 che a esso dà applicazione (v. Traffico di stupefacenti in mare);

— dalla Convenzione di Roma del 1988 e dal Protocollo di Londra del 2005 (SUA Protocol) contro il terrorismo marittimo (v.);

— dal Protocollo di Palermo del 2000 contro il traffico illegale di migranti in mare (v.);

— dai principi della Carta delle NU che autorizzano l’adozione di misure di embargo navale (v.).

2. Genesi e sviluppo

L’attualità della polizia dell’alto mare va ricercata nei nuovi scenari che caratterizzano l’attività delle Marine, ovvero la fine dei confronti militari propri della Guerra fredda e l’avvio di una rinnovata fiducia nella dimensione di sicurezza collettiva. In tale contesto, a una recessione delle minacce di natura militare, ha fatto riscontro una maggiore preoccupazione per la crescita della criminalità internazionale che, pro-prio nei mari aperti, ha trovato un terreno fertile e una via preferenziale di diffusione. La questione è stata avvertita da tempo anche al di fuori dello stretto ambito militare; basti pensare che negli anni Ot-tanta del secolo scorso a un grande studioso di strategia navale come sir James Cable (autore del celebre Gunboat Diplomacy) che, nell’osservare come lo sviluppo della pirateria nell’oceano Indiano e lungo le coste dell’Africa equatoriale avesse assunto proporzioni rilevanti, auspicava un ritorno al passato carat-terizzato, soprattutto nell’Ottocento, da un’intensa ed efficace attività delle navi da guerra nella repres-sione del fenomeno. Ben consce di questo loro ruolo, le Marine occidentali hanno avviato una cooperazione in questo settore in modo da pervenire a una dottrina e una prassi addestrativa comune tale da portare al Multilateral Maritime Law Enforcement (MMLE). In definitiva, si tratta di far si che le navi da guerra ritornino a tenere in considerazione l’attività di sorveglianza sulla navigazione interna-zionale che, sin dai tempi delle Marine a vela, è stata una delle loro funzioni più tipiche. In questa ottica va vista l’esigenza che le Marine trovino, pur nei differenti vincoli derivanti dalle regolamentazioni na-zionali, un terreno comune di applicazione delle pertinenti norme internazionali atto a facilitare la ne-cessaria interoperabilità legale. Un tentativo è stato fatto dalla nostra Marina nel 2011 con l’ltalian Navy Non-Paper on the Identification of the Current Legal Gaps Preventing the Most Effective Use of Maritime Forces in Maritime Law Enforcement (MLE), in the Framework of Maritime Security Operations (MSo), denominato

«Policing the High Sea».

3. Limiti all’uso della forza

L’uso della forza nell’ambito dello svolgimento delle funzioni di polizia dell’alto mare è consentito secondo le modalità e i limiti previsti dal diritto internazionale. La principale norma positiva di riferi-mento è, come detto, l’art. 110 dell’UNCLOS. Rilevanti sono tuttavia i principi di diritto internazionale generalmente accettati, applicabili in tempo di pace all’enforcement navale, quali quelli di proporzionalità, necessità e ragionevolezza. A questo riguardo va ricordato il seguente dictum della sentenza del Tribunale arbitrale Guyana/Suriname del 2007: «The Tribunal accepts the argument that in international law force may be used in law enforcement activities provided that such force is unavoidable, reasonable and necessary (para 445)».

In particolare: 1) il concetto di proporzionalità va riferito al bilanciamento tra il bene da proteggere (per esempio, la sicurezza dei traffici marittimi, e quello che sarebbe danneggiato dall’azione violenta, tenendo conto del fatto che la protezione dell’integrità fisica della persona è in ogni caso prioritaria e che la deadly force volta a uccidere l’avversario è ammissibile solo nell’ambito di un conflitto armato e non in situazioni diverse quali il contrasto della pirateria (v.) ricadenti sotto il regime dell’UNCLOS; dal punto di vista della proporzionalità vanno anche tenuti presenti gli aspetti relativi alle dimensioni della nave che in-terviene rispetto a quelle dell’imbarcazione da abbordare; 2) la ragionevolezza è connessa alla

propor-zionalità nel senso che è ragionevole il livello di uso della forza commisurato alle specifiche circostanze al fine di minimizzare il danno a beni e persone; 3) la necessità implica il rispetto di tutte le salvaguardie operative previste oltre alla valutazione dell’opportunità di adottare tutte le possibili alternative all’uso della forza, inclusa la scelta di posporre l’azione.

Circa le modalità dell’abbordaggio, l’art. 110 dell’UNCLOS non contiene alcuna prescrizione all’infuori di quella dell’«invio di una lancia al comando di un ufficiale» che si riferisce alla fase iniziale dell’attività ispet-tiva del team di abbordaggio. Quanto ai mezzi per costringere un’imbarcazione a fermarsi per essere sot-toposta a visita è necessario, in assenza di regole codificate, rifarsi a decisioni di corti internazionali come quella — già citata a proposito delle modalità di esercizio del diritto di inseguimento (v.) — del caso giu-dicato dall’ITLOS con sentenza del 1999 relativo a Saint Vincent and Grenadines, M/V «Saiga» (n. 2) in cui si legge (para 153-159): «[T]he use of force must be avoided as far as possible and, where [...] unaivoídable, it must go beyond what ís reasonable and necessary in the circumstances [...] The normal practice [...] is first to give an auditory or visual signal to stop, using internationally recognized signals. Where this does not succeed, a variety of actions may be taken, including the firing of shots across the bows of the ship. It is only after the appropriate actions fail that the pursuing vessel may, as a last resort, use force. Even then, appropriate warnings must be issued [...] and all efforts should be made to ensure that Iife is not endangered (para 155)». Illuminante è in proposito, nella sua semplicità, il richiamo contenuto nell’art. 8 bis del Protocollo di Londra del 2005 (SUA Protocol) al fatto che le attività di abbordaggio «must take in due account the necessity nót to endanger the safety of life at sea». Connessa a tale obbligo di non porre in pericolo, durante lo svolgimento delle funzioni di polizia dell’alto mare, la sicurezza della vita umana in mare è la questione del rispetto letterale delle COLREGS 72 (v. Prevenzione attività pericolose in mare). Ulteriori limitazioni all’uso della forza in mare possono derivare dall’osservanza di leggi nazionali, regolamentazioni e direttive di comportamento emanate dalle competenti autorità della nave da guerra impegnata in compiti di MLE. Anche gli obblighi nel campo dei diritti umani (v. Diritti dell’uomo in mare) assunti dallo Stato di bandiera della stessa nave presentano specifico rilievo ai fini del rispetto della persona dei marittimi, di imbarcazioni oggetto di attività coercitive o di soggetti da essi trasportati (v. Traffico e trasporto illegale di migranti in mare).

4. Ruolo delle Marine nell’ambito della funzione di Guardia costiera

Il problema della titolarità a svolgere funzioni di polizia dell’alto mare da parte di navi pubbliche pre-senta aspetti diversi a seconda della regolamentazione interna dei singoli Stati. In termini generali l’es-senza della questione sta nel postulato secondo cui le navi da guerra sono titolari di diritti e responsabilità per la vigilanza sulla legalità dei traffici marittimi in alto mare (blue waters) mentre il naviglio delle Forze di Guardia costiera e di polizia limita generalmente le sue attività nelle acque territoriali e interne (brown and green waters). L’UNCLOS, in effetti, ha esteso (sia pur in via eccezionale) al «diritto di visita», il tra-dizionale potere di «diritto d’inseguimento» spettante in alto mare alle navi in servizio governativo non commerciale (v.) nel cui ambito vanno classificate parte delle unità che operano sul mare e al di fuori dell’ordinamento delle Marine da guerra. Un altro elemento da considerare da questo punto di vista, è che l’UNCLOS, all’articolo 29, ha ampliato la nozione di nave da guerra (v.) consentendo ai singoli Stati di considerare tali anche altre unità facenti parte delle Forze armate ma non delle Marine in senso stretto.

Sulla base di tali premesse appare evidente come la competenza delle singole Marine in materia di polizia dell’alto mare, secondo l’ordinamento internazionale e le rispettive leggi nazionali, non escluda il con-corso, nelle materie di loro competenza, delle Forze di Guardia costiera e di polizia nella vigilanza sulla legalità dei traffici marittimi internazionali. Per converso le Marine, per fronteggiare le nuove minacce alla sicurezza (v. Sicurezza marittima) dei mari che si presentano come un continuum dall’alto mare alle acque territoriali e interne, hanno sviluppato il loro ruolo di attori non militari nello svolgimento di com-piti attribuiti alle Forze di Guardia costiera e di polizia. Si pensi alla prevenzione, controllo e contrasto del traffico illegale di migranti, alla protezione dell’ambiente marino (v.) o alla ricerca e soccorso in mare (v.).Tutto ciò ha trovato collocazione nel concetto di «funzione di guardia costiera» elaborato dall’Unione europea (v.) nell’ambito della sua Maritime Security Strategy (EUMSS) del 2014. È chiaro, comunque che, in senso stretto, il concetto di polizia dell’alto mare va riferito solo alle Marine. Per evitare ambiguità è dunque preferibile circoscrivere le competenze delle Forze di Guardia costiera e/o di polizia nell’ambito della specifica «polizia marittima» o anche, per usare altra terminologia, alla «sicurezza del mare».

5. Disciplina ordinamento italiano 5.1 Polizia marittima

La polizia marittima è appunto il termine con cui si indica il complesso delle funzioni di prevenzione e repressione devolute, quale autorità marittima (v.), al Corpo delle capitanerie di porto, per mezzo delle unità della Guardia costiera istituita con Decreto interministeriale (Marina mercantile-Difesa) dell’8 giu-gno 1989. Secondo questo decreto, le sue competenze riguardano i settori della sicurezza della naviga-zione, della ricerca e soccorso in mare (v.), della protezione dell’ambiente marino (v.) e della pesca (v.), con un campo di azione che può spingersi sino all’alto mare ma che è sostanzialmente limitato alla fascia costiera delle acque interne e delle acque territoriali oltre che alla zona contigua (v.) e alla Zona di pro-tezione ecologica (v. la voce ZEE). La disciplina delle attività devolute al Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera è stata in anni recenti inserita nel Codice dell’Ordinamento Militare (COM), agli articoli 132-137. Tra di esse vi è il «pattugliamento e la sorveglianza della fascia costiera» (art. 132, 2, a), 2), funzione che comprende anche il controllo sul rispetto, da parte delle navi (mercantili e da guerra) straniere, delle condizioni che legittimano l’esercizio del transito inoffensivo (v.) e del soggiorno nelle acque di giuri-sdizione italiana (v. Transito e soggiorno nelle acque territoriali italiane).

5.2 Sicurezza del mare

Al Corpo della guardia di finanza è invece devoluta la c.d. «sicurezza del mare». Le leggi succedutesi nel tempo hanno inizialmente stabilito (L. 23 aprile 1959, n. 189) che il Corpo debba «eseguire la vigilanza in mare per fini di polizia finanziaria e concorrere ai servizi di polizia marittima, di assistenza e di segnalazione»:

il che comporta attribuzioni primarie nei settori del contrasto al contrabbando, e del traffico illecito di stupefacenti (v.) i quali possono esplicarsi in alto mare, ratione materiae nei casi in cui si verifichino i pre-supposti per l’esercizio del diritto di inseguimento (v.). Lo svolgimento in mare di questi compiti da parte del Corpo della guardia di finanza è regolamentato dal D.LGS. 19 marzo 2001, n. 68, che prevede funzioni esclusive di polizia economica e finanziaria in mare. Con D.LGS. 19 agosto 2016, n. 177, sulla razionalizzazione delle funzioni di polizia è stato inoltre disposto, all’art. 2, c., che è attribuita al Corpo della guardia di finanza la «sicurezza del mare»; concetto che va correlato alle specifiche attribuzioni nella materia dell’ordine e sicurezza pubblica in mare che il Corpo è delegato a svolgere per conto del ministero dell’Interno.

5.3 Polizia dell’alto mare

La «polizia dell’alto mare» è, come detto, funzione precipua delle navi da guerra della Marina Militare.

Il riconoscimento legislativo di questa attività istituzionale e dei suoi aspetti internazionali è stato attuato con la seguente regolamentazione dell’art. 111, lett. a) del Codice dell’Ordinamento Militare (COM):

«Rientrano nelle competenze della Marina Militare, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente: a) la vigi-lanza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di là del limite esterno del mare territoriale e l’esercizio delle funzioni di polizia dell’alto mare demandate alle navi da guerra negli spazi marittimi internazionali dagli articoli 200 e 1235, primo comma, numero 4, del Codice della navigazione e dalla legge 2 di-cembre 1994, n. 689, nonché di quelle relative alla salvaguardia dalle minacce agli spazi marittimi internazionali, ivi compreso il contrasto alla pirateria».

Passando ad analizzare nel dettaglio tale articolo ne possiamo specificare le singole funzioni nel modo che segue:

(a) funzione polizia dell’alto mare demandata alle navi da guerra. La norma delinea in modo compiuto le attività istituzionali e prioritarie di vigilanza negli spazi acquei extraterritoriali, vale a dire l’alto mare vero e proprio, nonché le ZEE a esso equiparate ai fini della libertà di navigazione. Le funzioni esercitate, aventi carattere permanente, sono militari nei mezzi impiegati, ma non militari quanto alle finalità e alle regole di comportamento (l’uso della forza è l’estrema ratio, ma essa deve essere non letale, a differenza di quella bellica). La stessa UNCLOS, citata dal COM facendo riferimento alla Legge di ratifica 689-1994, è dunque la fonte principale di legittimazione delle attività non militari svolte dalla Marina in alto mare compresa la

«salvaguardia dalle minacce agli spazi marittimi internazionali, ivi compreso il contrasto alla pirateria». Si tratta, infatti, dell’esplicazione di un principio di competenza a carattere generale (non quindi per materia) nel-l’ambito spaziale dell’alto mare, basato appunto sulla fonte primaria dell’UNCLOS. Quanto al contrasto

della pirateria, la norma ne afferma la natura istituzionale, non limitata a singole missioni come avvenuto nel passato. Seguendo un criterio di disciplina sistematica della materia, il COM, nel medesimo art. 111, inserisce inoltre due ulteriori funzioni. La prima è la polizia marittima sulle navi mercantili nazionali attribuita dall’art. 200 CN, in alto mare e nelle acque territoriali straniere, alle navi da guerra italiane, quali organi dello Stato incaricati di prevenire e reprimere eventuali illeciti sottoposti alla giurisdizione di bandiera. La seconda, relativa all’attività di polizia giudiziaria in mare, che l’art. 1235, n. 4 CN affida ai comandanti delle navi da guerra nazionali — qualificandoli appunto come «ufficiali di polizia giudiziaria per gli atti che compiono su richiesta dell’autorità consolare o, in caso di urgenza, di propria iniziativa». Per immaginare la casistica di ri-ferimento si può pensare alle attività svolte in alto mare dai nostri comandanti, sotto la direzione funzionale dell’autorità giudiziaria, nel corso delle operazioni di contrasto della pirateria del Corno d’Africa. Ma anche all’accertamento delle violazioni alle norme sulla pesca o sulla protezione ambientale;

(b) Vigilanza a tutela degli interessi nazionali. All’UNCLOS sono anche legati altri fondamentali compiti assegnati alla Marina e cioè quelli che l’art. 111, 1 del COM indica come «vigilanza a tutela degli interessi na-zionali e delle vie di comunicazione marittime». Si tratta di due distinte funzioni che vanno perciò esaminate separatamente. Iniziando a trattare della vigilanza a tutela degli interessi nazionali deve osservarsi che non è semplice valutare la portata degli interessi marittimi italiani, stante la mancanza di una strategia marittima nazionale che li definisca. Tuttavia, la dimensione economica del cluster marittimo nazionale (circa 3% del PIL e quasi 500.000 occupati secondo le più recenti statistiche) emerge con forza in modo incontrovertibile.

L’armamento italiano, con circa 17 milioni di tonnellate di naviglio di bandiera (considerando il genuine link tra società armatoriale/nave/bandiera) è il quarto nel mondo e il secondo in Europa. L’Italia dipende dal mare perché paese importatore di materie prime ed esportatore di prodotti manifatturieri: di qui l’esi-genza di disporre di un’adeguata flotta mercantile. Altrettanto rilevante è il settore pesca (al secondo posto in Europa) con i suoi circa 12.000 pescherecci e 60.000 addetti che praticano parte della loro attività in zone di alto mare. Ben conosciuta è inoltre l’importanza dell’offshore energetico nelle aree di piattaforma conti-nentale italiana in cui è autorizzata l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi, attività di rilievo strategico per limitare la dipendenza energetica dall’estero. I nostri fabbisogni energetici viaggiano via mare sia su petroliere e gasiere, sia tramite gasdotti (v. Cavi e condotte). Quando si parla di protezione degli interessi marittimi nazionali affidata dal COM alla Marina, è dunque a tutto questo che bisogna pensare e cioè al-l’integrità dei nostri assetti marittimi e delle infrastrutture energetiche. Un ulteriore aspetto dell’interesse nazionale attiene alle aree della piattaforma continentale italiana non ancora delimitate da accordo con gli Stati frontisti su cui questi accampano pretese contrastanti. Basti pensare alla vasta zona del Mediterraneo che si estende verso est tra l’Italia, Malta, la Libia e la Grecia, oppure a quella tra noi e l’Algeria. Al riguardo, la convenzione del 2015 tra la Marina e il ministero dello Sviluppo economico prevede già che la Forza ar-mata collabori relativamente a «sorveglianza e controllo degli impianti e delle aree marittime di possibile sfrutta-mento del sottosuolo di competenza nazionale, al fine di prevenire e rilevare lo svolgisfrutta-mento di attività non autorizzate».

Proficuo è anche il supporto informativo che, in questo campo, viene fornito al ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, ai fini di eventuali azioni di protesta diplomatica;

(c) Vigilanza vie di comunicazione marittime. Circa la funzione di vigilanza a tutela delle vie di comuni-cazione marittime che il COM (art. 110.1) esplicitamente indica, va notato preliminarmente che si tratta di un ruolo storico di primaria importanza svolto dalla nostra Marina al pari delle altre Marine. In Italia il legame tra Marina Militare e quella che un tempo veniva definita Marina mercantile è stato sempre ben saldo e cementato da una comunanza di intenti e tradizioni sotto l’unica bandiera navale nazionale.

La libertà di navigazione del naviglio di bandiera italiana è condizione irrinunciabile per assicurare i traffici marittimi che, come abbiamo visto, sono la linfa vitale della nostra economia. Le minacce che possono insidiarla attengono sia alla tendenza di alcuni paesi a esercitare forme di giurisdizione esclusive non in linea con l’UNCLOS (v. Libertà dei mari), sia alla criminalità marittima. Ecco dunque che la navigazione commerciale lungo le principali vie di comunicazione (le SLOCs dall’acronimo di sea lines of communica-tions) va costantemente vigilata dalle Forze navali. Le direttrici del traffico marittimo di interesse italiano si concentrano lungo le vie di transito di Gibilterra, Suez, Bab el-Mandeb e Hormuz. Ed è qui, in quel-l’area geostrategica che viene definita Mediterraneo allargato (v. Geopolitica del mare), che la nostra Marina esplica prevalentemente le sue attività di vigilanza;

(d) Sorveglianza prevenzione inquinamenti. Una specifica funzione a connotazione civile attribuita alla

Marina è la sorveglianza per la prevenzione degli inquinamenti nell’ambiente marino (cui è associato l’accertamento delle relative infrazioni) nelle acque della nostra ZPE (v. Protezione ambiente marino-Mediterraneo). Dalla lettura del combinato-disposto delle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 115 dello stesso COM si traggono indicazioni per affermare l’attuale vigenza di questo importante compito di pro-tezione ambientale, inizialmente previsto dalla Legge 31 dicembre 1982 n. 979 sulla Difesa del Mare cui si deve il finanziamento dei pattugliatori classe «Costellazioni». Le unità di questa classe avrebbero do-vuto essere impiegate per la vigilanza nelle ZEE. Stante la temporanea rinuncia dell’Italia a istituirle, può dirsi che la funzione è attualmente limitata alla sorveglianza ambientale nella ZPE creata nel Mar Ligure e nel Tirreno, o in futuro in quelle potranno essere istituite. Non va dimenticato, peraltro, che il contrasto dell’inquinamento marino è elemento non secondario della sicurezza marittima (v.);

(e) Vigilanza immigrazione irregolare via mare. Un discorso a parte va fatto per quelle che il Decreto del ministero dell’Interno 19 luglio 2003 (emanato di concerto con Difesa, Finanze e Trasporti) definisce come

«attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare». Il ruolo della Marina è disciplinato da questo decreto, sulla base del TU dell’immigrazione (D.LGS. 286-1998) come modificato dalla legge Fini-Bossi del 2002, in modo duplice: da un lato la Marina esplica funzioni concorsuali alle

«attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare». Il ruolo della Marina è disciplinato da questo decreto, sulla base del TU dell’immigrazione (D.LGS. 286-1998) come modificato dalla legge Fini-Bossi del 2002, in modo duplice: da un lato la Marina esplica funzioni concorsuali alle

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 132-137)