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NAVE DA GUERRA

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 93-97)

1. Funzione delle navi da guerra

Nel XIX secolo si è definitivamente affermato il principio giuridico secondo cui le navi da guerra, es-sendo esclusivamente soggette alla giurisdizione dello Stato di bandiera, godono di completa immunità (v.) in alto mare (v.) e nelle acque territoriali (v.) straniere. Da quando è stata emanata la dichiarazione di Parigi del 1856 sui principi della guerra marittima (v. Diritto bellico marittimo) che ha proibito la guerra di corsa (v. Pirateria) intesa come affidamento a navi private armate di funzioni belliche, le navi da guerra costituiscono inoltre gli unici soggetti che hanno diritto di partecipare alle ostilità, quali legittimi com-battenti. Contemporaneamente si è consolidato il concetto secondo cui, come è stato efficacemente detto, le stesse navi da guerra «rappresentano la sovranità e l’indipendenza dello Stato di appartenenza in modo più perfetto di qualunque altro mezzo sul mare». Connesso a tale situazione giuridica e ai discendenti poteri di jus imperii è il compito di vigilare sulla sicurezza dei traffici marittimi internazionali che nei secoli si è imposta quale attività primaria delle navi da guerra in tempo di pace, per garantire la regolarità dei traf-fici commerciali e, più in generale, la legalità internazionale contrastando fenomeni come la pirateria e la tratta degli schiavi (v.). Questo ruolo delle navi da guerra può definirsi come polizia dell’alto mare (v.) o, secondo la terminologia anglosassone, Maritime Law Enforcement (MLE). Funzione correlata è anche il compito di rappresentare l’autorità dello Stato nei confronti dei mercantili di bandiera per prevenire e reprimere eventuali illeciti da essi commessi in alto mare o in acque territoriali straniere. L’ordinamento

italiano prevede, a questo fine, che le navi da guerra nazionali esercitino, in questi spazi, funzioni di po-lizia marittima (CN, art. 200) e funzioni di popo-lizia giudiziaria (CN, art. 1235, n. 4) nei confronti dei mer-cantili nazionali.

Quale strumento politico-diplomatico dello Stato nelle aree marittime di interesse al di là delle acque territoriali, le navi da guerra da secoli svolgono il compito di proteggere in alto mare la vita e i beni dei cittadini i quali siano oggetto di illegittimi atti di violenza posti in essere da paesi stranieri in tempo di pace. Il diritto di reagire con la forza a tali atti ha trovato col tempo la sua collocazione nell’ambito del principio giuridico della difesa legittima. Le navi da guerra sono, infatti, i soli organi dello Stato a potersi confrontare sul mare con autorità di altri paesi. Basti pensare al più che cinquantennale impegno della Marina Militare nel Canale di Sicilia (v. Pesca (Mediterraneo). Rilevante è, al riguardo, la capacità delle navi da guerra di esercitare la forza in modo limitato, cioè a dire strettamente commisurato alle esigenze sulla base dei criteri della necessità, gradualità e proporzionalità. La soggettività di diritto internazionale delle navi da guerra le abilita quindi, sul piano politico-diplomatico, a rappresentare lo Stato; da ciò de-riva l’esigenza che la loro azione all’estero sia a un tempo ferma e autorevole, ma anche prudente, per non creare situazioni che possano sfociare in casus belli. Esclusivo delle navi da guerra, e storicamente affermato come funzione di diplomazia flessibile ed efficace, è anche il compito di far valere i diritti e gli interessi della nazione in aree che siano oggetto di pretese contrastanti di altri Stati che intendano eser-citare giurisdizione territoriale o diritti sovrani di sfruttamento. La storia è ricca di esempi in proposito:

basti pensare alle secolari contese per l’esercizio di diritti di pesca, alle prospezioni petrolifere in aree disputate o alle operazioni navali per contrastare le pretese di alcuni Stati intese a limitare la libertà di navigazione (v. Libertà dei mari).

In definitiva, le navi da guerra ricoprono un ruolo flessibile e polivalente nell’ambito del teatro ma-rittimo la cui essenza può sintetizzarsi, come è stato detto, in Diritto, Forza e Diplomazia.

2. La nave da guerra nel diritto internazionale

Di pari passo con lo sviluppo dei principi regolanti la condizione giuridica di extraterritorialità delle navi da guerra, e quindi il loro ruolo di unici soggetti aventi diritto a partecipare alle operazioni di guerra marittima, si è avuto nell’ordinamento internazionale la definizione della nozione giuridica di nave da guerra, sia essa di superficie sia sommergibile (v.). I principi basilari sono stati posti, ai fini della condotta delle ostilità in mare, nella VII Convenzione dell’Aja del 1907, concernente la trasfor-mazione delle navi mercantili in navi da guerra che individua i seguenti elementi caratterizzanti: 1) sottoposizione al controllo diretto e alla responsabilità dello Stato; 2) segni distintivi esteriori che di-stinguono le navi da guerra della rispettiva nazionalità; 3) esistenza di un comandante debitamente autorizzato il cui nome figuri nell’elenco degli ufficiali della Marina; 4) sottoposizione dell’equipaggio alla disciplina militare.

In modo analogo, la I Convenzione di Ginevra del 1958 (art. 8, 2) prevedeva doversi trattare di una

«nave che appartenga alle Forze navali di uno Stato, porti i segni distintivi esteriori adottati per le navi da guerra della sua nazionalità, sia posta sotto il comando di un ufficiale debitamente incaricato dal governo e il cui nome è iscritto nell’elenco degli ufficiali della Marina da guerra, abbia un equipaggio soggetto alla disciplina delle Forze armate regolari». La situazione è in parte cambiata a seguito dell’entrata in vigore dell’UNCLOS che, pur confermando la distinzione in precedenza vigente tra navi da guerra e navi di Stato (v. Navi in servizio governativo non commerciale), ha apportato significativi mutamenti. L’art. 29 della convenzione mede-sima — benché continui a non richiedere come per il passato che una nave da guerra, per essere tale, debba essere armata — ha ora previsto, nel suo testo in lingua inglese, che essa «appartenga alle Forze ar-mate, porti i segni esterni che distinguono tali navi della sua nazionalità, sia posta al comando di un ufficiale de-bitamente autorizzato dal governo dello Stato e il cui nome appaia nell’appropriato ruolo di servizio o suo equivalente, abbia un equipaggio soggetto alla disciplina delle Forze armate regolari». Pertanto, non viene più fatto riferimento né all’appartenenza alle Forze navali (Naval forces) né all’iscrizione del comandante nel-l’elenco degli ufficiali della Marina da guerra (Navy list). Per converso, il testo francese (facente egual-mente fede come quello inglese) usa la formula più restrittiva «al comando di un ufficiale di Marina» («qui est pacè sous le commandement d’oun officier de marine»). Circa il richiamo all’appartenenza della nave da guerra alle Forze armate che è presente in entrambi i testi, esso sarebbe stato introdotto per tenere conto

dell’integrazione delle differenti branche delle Forze armate dei vari paesi, dell’utilizzazione di imbar-cazioni da parte dell’Esercito e dell’Aeronautica e dell’esistenza di una Guardia costiera come unità se-parata delle Forze armate di uno Stato.

Non tutte le unità che fanno parte delle Forze armate e battono quindi bandiera militare possono però considerarsi di per sé «da guerra» ai fini del possesso delle relative prerogative e dei relativi poteri. È necessario, infatti, accertare, caso per caso, quella che è la volontà dello Stato di bandiera circa l’attribu-zione della qualifica a proprie unità navali. La manifestal’attribu-zione di questa volontà assume diverse forme.

All’esterno, nei rapporti con gli altri Stati, vengono anzitutto in rilievo i segni di riconoscimento, primi tra tutti la bandiera navale e i distintivi ottici di riconoscimento («visual call sign», secondo la fraseologia NATO, o «pendant» secondo la terminologia anglosassone). Tra questi segni può anche comprendersi quel particolare appellativo che precede la denominazione dell’unità, come United States Ship (USS) ado-perato negli Stati Uniti o Her Majesty’s Ship (HMS) in uso in Gran Bretagna. Sta di fatto che, se non sussiste tale volontà dello Stato di bandiera, non è possibile ipotizzare la partecipazione a operazioni navali mul-tinazionali di unità che, per quanto astrattamente dotate dei requisiti internazionali per essere considerate da guerra, non siano integrate nelle «Forze navali armate» di un paese. Il pericolo sta, infatti, nell’assenza di condivisione, da parte di queste unità, degli standard operativi navali con conseguente rischio di ma-lintesi e incidenti che potrebbero coinvolgere anche paesi terzi.

Peraltro, anche in situazioni che non si configurino come crisi internazionali, la questione assume ri-lievo dal punto di vista politico-diplomatico nei confronti degli Stati terzi, in quanto sarebbe estrema-mente pericoloso affidare, negli spazi extraterritoriali, a navi che non siano sotto il controllo delle Marine, compiti di difesa dei diritti e degli interessi nazionali: il rischio sarebbe, oltre alla sovrapposizione dei ruoli e allo spreco di risorse, il frammentare l’azione dello Stato in ambito internazionale in più settori di intervento che agiscano autonomamente, adottando comportamenti difformi.

3. La nave da guerra nell’ordinamento italiano 3.1 Disciplina normativa

L’ordinamento italiano contiene nel Codice dell’Ordinamento Militare (COM) e nel Codice della navigazione, disposizioni che configurano la nave da guerra nazionale come soggetto di poteri e pre-rogative in funzione, come si è detto, dello svolgimento di attività di polizia dell’alto mare. Quanto alla definizione di nave da guerra, il testo in lingua francese dell’art. 29 dell’UNCLOS (riportato in traduzione non ufficiale in allegato alla Legge di ratifica 2 dicembre 1994 n. 689) adotta l’espressione

«posta al comando di ufficiale di Marina». Essa è stata così recepita nell’art. 239, 2 del COM: «Per “nave da guerra” si intende una nave che appartiene alle Forze armate di uno Stato, che porta i segni distintivi esteriori delle navi militari della sua nazionalità ed è posta sotto il comando di un ufficiale di Marina al servizio dello Stato e iscritto nell’apposito ruolo degli ufficiali o in documento equipollente, il cui equipaggio è sottoposto alle regole della disciplina militare».

Il COM ne stabilisce quindi una nozione più restrittiva in quanto prescrive il requisito della sottopo-sizione al comando di un «ufficiale di Marina», tenendo evidentemente conto della realtà giuridica del-l’ordinamento del naviglio militare italiano e delle diverse funzioni svolte dalle sue componenti (v. Polizia alto mare). Per meglio comprendere la questione bisogna considerare che il COM — con una visione complessiva delle Forze marittime dello Stato — accomuna con l’art. 239, sotto l’unica categoria delle

«navi militari», sia le navi da guerra sia le altre navi su cui sia imbarcato personale a status militare, così disponendo: «Sono navi militari quelle che hanno i seguenti requisiti:

a) sono iscritte nel ruolo del naviglio militare;

b) sono comandate ed equipaggiate da personale militare, sottoposto alla relativa disciplina;

c) recano i segni distintivi della Marina Militare o di altra Forza armata o di Forza di polizia a ordinamento militare».

La categoria delle «navi militari» è anche prevista dall’art. 11, 2 del Codice penale militare di pace che così recita: «Agli effetti della legge penale militare, sono navi militari e aeromobili militari le navi e gli ae-romobili da guerra, le altre navi o aeae-romobili regolarmente trasformati in navi o aeae-romobili da guerra, e ogni altra nave e ogni altro aeromobile adibiti al servizio delle Forze armate dello Stato alla dipendenza di un coman-dante militare».

In sostanza, l’ordinamento italiano disciplina in modo unitario il «naviglio militare», tenendo conto del fatto che il segno distintivo della bandiera navale militare (v. Bandiera navale) è attribuito sia alle navi da guerra della Marina Militare iscritte nel «Quadro del naviglio militare dello Stato», sia alle altre specie di navi a status militare iscritte nel «Ruolo speciale del naviglio militare dello Stato di cui all’art. 243 del COM e all’art. 292 del TUOM, Testo unico dell’Ordinamento Militare (D.P.R. 90-2010). Le navi da guerra, pur essendo in termini generali delle navi militari, rappresentano quindi una categoria specifica.

3.2 Status unità Guardia di Finanza e Guardia costiera

Il problema della qualificazione specifica delle «navi da guerra» è stato affrontato e risolto negati-vamente — con riguardo alle unità navali del Corpo della guardia di finanza — dalla Corte di Cas-sazione in una pronuncia dedicata alla configurazione del reato di cui all’art. 1100 del CN («Resistenza o violenza contro nave da guerra»), nell’ambito di un noto caso relativo alla nave ONG Sea Watch 3.

La Suprema corte (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 6626), osserva, nella premessa della decisione, che: «La Guardia di Finanza è un “Corpo di polizia a ordinamento militare”, parte integrante delle Forze armate, dipendente dal ministero dell’Economia e delle finanze. Il naviglio a essa asse-gnato appartiene dunque alle Forze armate. Tale naviglio, inoltre, porta i segni distintivi esteriori delle navi militari italiane (batte cioè bandiera italiana) e imbarca un equipaggio sottoposto alle regole della disciplina militare. Per poter essere qualificata come “nave da guerra”, tuttavia, l’unità della Guardia di Finanza deve altresì essere comandata da “un Ufficiale di Marina al servizio dello stato e iscritto nell’apposito ruolo degli ufficiali o in documento equipollente”, il che nel caso in esame non è dimostrato. Non è sufficiente che al co-mando vi sia un militare, nella fattispecie un maresciallo, dal momento che il “maresciallo” non è ufficiale»;

precisando inoltre che «la legge 13 dicembre 1956, n. 1409, art. 6, (norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi) punisce gli atti di resistenza o di violenza contro tale naviglio con le stesse pene stabilite dall’art. 1100 del codice della navigazione, per la resistenza e violenza contro una nave da guerra». Per poi concludere che «Proprio per il fatto che, nel 1956, il legislatore ha esplicitamente sta-bilito che agli atti di resistenza commessi contro navi della Guardia di Finanza si applicassero le medesime pene previste per la resistenza a nave da guerra, si deve concludere che di per sé tali navi non sono annoverabili tra le “navi da guerra”. Diversamente ragionando non si comprenderebbe il senso di tale disposizione di legge, che sarebbe del tutto superfluo». Da notare infine che la Cassazione ha evidenziato che la nuova disci-plina introdotta dall’art. 239, 2 del COM, confligge sia con il precedente indirizzo giurisprudenziale che applicava estensivamente alle unità della Guardia di Finanza la tutela penale stabilita per le navi da guerra, sia con la norma, ora abrogata, dell’art. 133 della Legge di Guerra (R.D. 1415-1938) che forniva una definizione più ampia di nave da guerra quanto alla possibilità che al comando ci fosse

«personale militare o militarizzato» di qualsiasi grado e Forza armata o Corpo militare.

Le conclusioni raggiunte per le unità della Guardia di Finanza non sono valide per il naviglio del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera, considerato che quest’ultimo, quando comandato da ufficiali, potrebbe possedere tutti i requisiti per rientrare a pieno titolo nella qualificazione sta-bilita dall’art. 239, 2 del COM in quanto il Corpo, secondo lo stesso COM (art. 132) «dipende dalla Marina Militare» per quanto riguarda lo svolgimento di specifiche funzioni di concorso alla difesa marittima e dello Stato. Dubbi possono però sorgere se si considera che il ministero di riferimento, sia per il personale sia per le unità navali, è quello delle Infrastrutture e trasporti. Al riguardo, va inoltre tenuto conto del fatto che secondo l’art. 297, 2 e 3 del TUOM: « [Il Comando generale delle Capitanerie di porto] provvede ad assegnare alle sedi le unità navali e i mezzi navali contemplati dal presente titolo, in funzione delle esigenze dei servizi di Istituto, e sovraintende al loro impiego e alla loro efficienza».

Vedi anche: Cavi e condotte sottomarine; Diritto di visita; Diritto di inseguimento; Inchiesta di ban-diera; Immunità di giurisdizione; Interdizione marittima; Nave in servizio governativo; Nave mercantile;

Polizia alto mare; Protezione del patrimonio culturale subacqueo; Ricerca e soccorso in mare; Transito inoffensivo delle navi da guerra.

NAVE A PROPULSIONE NUCLEARE

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 93-97)