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STRETTI E CANALI INTERNAZIONALI 1. Concetto geografico

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 167-170)

Non si può prescindere, nel trattare del regime legale internazionale degli stretti, dall’individuazione della loro dimensione geografica che l’International Hydrographic Organitation (IHO) individua in «narrow passage between two land masses or islands or group of islands connecting two larger sea areas». A essa vengono anche as-sociate quelle di «channel, passage, bouche» concettualmente simili ma relative a specifiche situazioni geogra-fiche e maritime. Al riguardo, va ricordato che, a iniziativa della stessa IHO, in tempi recenti il toponimo di

«canale di Sicilia» è stato modificato in quello di «stretto di Sicilia» (v.). Del tutto peculiare è la denominazione

di «Bocche» che la tradizione locale della Corsica e della Sardegna, avendo riguardo alla peculiarità del-l’estuario della Maddalena, ha assegnato allo stretto che separa le due isole (v. Bocche di Bonifacio).

Sta di fatto che la definizione geografica di stretto è dei relativi sinonimi è imprecisa nel senso che pre-scinde da parametri univoci e da riferimenti alla tipologia di navigazione che vi si pratica, che può essere sia internazionale sia di cabotaggio. Oltretutto, come si dirà più avanti, sono «stretti» dal punto di vista geografico anche quelli al cui interno esiste una porzione di acque internazionali, mentre la nozione giuri-dica di stretto è relativa solo ai passaggi interamente coperti dalle acque territoriali di uno o più Stati.

2. Stretti e geopolitica: i choke points

Il termine choke points appartiene al vocabolario della geopolitica del mare (v.) e indica i punti di passag-gio obbligati delle più importanti vie di comunicazioni marittime, canali compresi, quali gli stretti di Dover, Gibilterra (v.), Bab el-Mandeb (v.), Hormuz (v.), Malacca-Singapore, gli stretti danesi e quelli turchi (v.), i canali di Suez (v.) e Panama (v.). Se si pensa a come la nascita e l’affermazione dell’Impero britannico nel XIX secolo sia in parte dovuta a un’accorta politica di controllo dei punti di passaggio delle rotte verso il Mediterraneo, il Medio e l’Estremo Oriente, si ha una chiara idea della funzione dei choke points. Il relativo concetto, anche se affine a quello geografico degli stretti, è comunque autonomo nel senso che è basato su fattori specifici quali: 1) la necessità per la navigazione internazionale di transitarvi in mancanza di rotte alternative; 2) l’interesse vitale che alcuni Stati a forte connotazione marittima hanno di avvalersene per i loro traffici commerciali (si pensi all’economia dell’Italia dipendente per la gran parte dai trasporti marit-timi) e per i movimenti delle loro flotte militari impegnate in funzioni di protezione degli stessi traffici o in attività collaterali di presenza e sorveglianza; 3) la possibilità per gli Stati costieri che li fronteggiano di sot-toporli a sorveglianza; 4) il fatto che essi si prestino a essere oggetto di minacce terroristiche nei confronti di navi mercantili e da guerra in transito come avvenuto nello stretto di Bab el-Mandeb (1973) e di Gibilterra (2004). Stretti e choke points non sono dunque sinonimi anche perché ci sono importanti punti obbligati di passaggio costituiti da Sea lines of communications (SLOCs) dell’alto mare, vale a dire rotte marittime che passano al largo di estremità geografiche come il Capo di Buona Speranza nel Sud Africa o il Capo Guar-dafui in Somalia. La realtà di questo assunto è dimostrata dalla situazione creata dalla minaccia della pi-rateria (v.) al largo del Corno d’Africa che ha indotto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite a emanare numerose risoluzioni volte a garantire l’uso delle commercial maritime routes off the coast of Somalia.

3. Regime legale I convenzione di Ginevra del 1958

Il regime di transito applicabile agli stretti è stato così disciplinato dalla Convenzione di Ginevra del 1958 (art. 16,4) secondo il principio che: «Non vi è sospensione del passaggio inoffensivo di navi straniere at-traverso gli stretti che sono usati per la navigazione internazionale tra una parte dell’alto mare e un’altra parte dell’alto mare o del mare territoriale di uno stato straniero» (art. 16, 4).

Tale disposizione riflette il preesistente diritto consuetudinario che garantiva alle navi di qualsiasi bandiera il transito nelle acque territoriali (v.) — al tempo di tre miglia — che ricoprivano uno stretto nell’ambito dei principi del passaggio inoffensivo (v.). La sua genesi risale alle tesi espresse dalla Corte internazionale di giustizia nell’ambito del caso dell’incidente occorso il 22 ottobre 1946 a navi da guerra britanniche incappate in un campo minato durante la navigazione nelle acque territoriali albanesi dello stretto di Corfù. Nella sua sentenza la Corte, nel riconoscere la validità delle opinioni britanniche sul-l’esistenza di un principio di libertà di transito nello stretto, affermò che «is, in the opinion of the Court, ge-nerally recognized and in accordance with international custom that States in time of peace have a right to send their warships through straits used for international navigation between two parts of the high seas without the previous authorization of a coastal State, provided that the passage is innocent». La decisione assurse così a fonte del principio del passaggio inoffensivo non sospendibile negli stretti internazionali (v. Transito inoffensivo) individuati secondo un criterio geografico-funzionale.

La codificazione di tale principio fu attuata nella citata norma della convenzione di Ginevra con rife-rimento non solo agli stretti che sono usati per la navigazione internazionale tra una parte e l’altra del-l’alto mare, ma anche a quelli colleganti del-l’alto mare al mare territoriale. Nel far ciò si volle garantire il libero transito di Israele nello stretto di Tiran (v.) per i collegamenti con il suo porto di Eilat situato nella parte settentrionale del golfo di Aqaba.

4. Regime legale UNCLOS 4.1 Passaggio in transito

Dopo l’approvazione della I convenzione di Ginevra ci fu, com’è noto, un’evoluzione della prassi sul-l’estensione delle acque territoriali che cominciò a consolidarsi fino al limite delle 12 mn dalle linee di base. In questo modo, per effetto del passaggio alle acque territoriali di precedenti porzioni di alto mare, venne a crearsi la questione del transito negli stretti con ampiezza pari o inferiore alle 24 mn coperte in-tegralmente dalle acque territoriali degli Stati rivieraschi. I fautori del mantenimento dell’unico regime di passaggio inoffensivo previsto dall’articolo 16, 4 della I convenzione di Ginevra (tra i quali Indonesia, Malesia e Singapore) dovettero confrontarsi con quei paesi come Stati Uniti e Unione Sovietica che so-stenevano l’esigenza della più completa libertà di navigazione delle loro Forze navali. Una mediazione tra i due opposti schieramenti dei paesi costieri e delle potenze marittime fu svolta dalla Gran Bretagna che presentò una proposta per introdurre la massima libertà di transito negli stretti usati per la naviga-zione internazionale mediante l’introdunaviga-zione di un nuovo regime sui generis, poi definito come «passag-gio in transito» da applicare anche nei corridoi di traffico destinati alla navigazione internazionale istituiti nelle acque arcipelagiche (v.). La proposta ottenne il consenso degli Stati partecipanti alla conferenza.

Da parte di alcuni Stati fu tuttavia messo in risalto che tale regime non rispondeva a principi di diritto consuetudinario, ma era da considerarsi accettato dai soli Stati che, aderendo alla nuova convenzione, proprio per questo avrebbero acquisito il diritto di avvalersi del diritto del passaggio in transito nelle acque territoriali dei paesi che si affacciano sugli stretti internazionali. L’Iran sostiene tali tesi a supporto del proprio contenzioso sul transito attraverso lo stretto nei confronti di Stati Uniti e Israele (quali Stati che non sono ancora parti dell’UNCLOS).

4.2 Stretti con passaggio inoffensivo non sospendibile

A fronte della creazione di questa nuova categoria di stretti, in sede di redazione dell’UNCLOS, si cercò comunque di circo-scriverne l’ambito ai soli casi in cui le esi-genze di navigazione internazionale giustificano realmente l’affievolimento dei poteri degli Stati costieri interessati. Su ri-chiesta dell’ex Jugoslavia, che era intenzio-nata a non avere intralci nella navigazione nel canale d’Otranto e in prossimità del-l’isola di Pelagosa (v.), si esclusero dal con-cetto giuridico di stretto internazionale quelli «nei quali esista una rotta, attraverso l’alto mare o una ZEE, che sia di convenienza comparabile dal punto di vista della navigazione e delle sue caratteristiche idrografiche…» (art.

35 UNCLOS), al cui interno vige quindi la più completa libertà di navigazione.

Il problema di natura politica connesso al passaggio attraverso lo stretto di Tiran portò invece alla norma dell’art. 45, 2, b) dell’UNCLOS in forza della quale il sem-plice passaggio inoffensivo (ancorché non sospendibile) si applica agli stretti che «si trovano tra una parte di alto mare o una ZEE, e il mare territoriale di un altro Stato». Benché escluso dalla categoria degli stretti in cui vige il «passaggio in transito», Tiran rientrò

Situazione acque territoriali italiane e croate antistanti le isole Pelagosa e Pianosa; al centro, lo spazio di acque internazionali (Fonte: Francalanci).

tuttavia — in forza degli accordi di Camp David del 1975 — in quella il cui regime

«totalmente o parzialmente regolamentato da convenzioni internazionali» (art. 35, lett. c) UNCLOS). L’esempio paradigmatico di ap-plicazione di questa norma è dato dagli stretti dei Dardanelli, del Mar di Marmara e del Bosforo (v. Stretti turchi) il cui regime di passaggio è stabilito dalla convenzione di Montreux del 1936.

Un’ulteriore deroga al regime generale fu prevista per gli stretti che separano un’isola di uno Stato dal suo territorio di terraferma se esiste al largo una rotta alternativa di con-venienza similare attraverso una parte di alto mare o di ZEE. Una proposta in questo senso fu avanzata dalla delegazione italiana durante i lavori della III Conferenza del Di-ritto del mare avendo presente la situazione dello stretto di Messina (v.). Questa via d’ac-qua, benché sia uno stretto internazionale quanto a importanza del traffico, ha caratte-ristiche particolari sia per l’esistenza di una rotta alternativa al largo della Sicilia sia per il suo carattere nazionale, essendo intera-mente coperta dalle acque territoriali ita-liane. La nuova categoria di stretti (definita come «Messina Exception») fu così discipli-nata dall’art. 38, 1 dell’UNCLOS.

PRINCIPALI STRETTI INTERNAZIONALI TRA UNA ZONA DI ALTO MARE O DI ZEE

Nel documento GLOSSARIO DI DIRITTO DEL MARE (pagine 167-170)