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Cadeva nel vuoto invece la richiesta che la diocesi d'Iglesias, accorpata a quella di Cagliari, riottenesse la sua antica autonomia'

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 130-133)

Anche Castellaragonese, terza roccaforte del Regno, prestava particolare attenzione ai problemi dei commerci, specie del grano. Con prammatica di Filippo II il porto della città era stato abilitato al caricamento dei grani. Di questo privilegio, veniva rimarcato, aveva goduto dal 1576 al 1615, quando con altra prammatica reale era stato decretato che il grano per l'esportazione doveva essere condotto a Porto Torres. Il che si era rivelato di gran danno per la città e soprattutto per i produttori delle Incontrade dell'Anglona e della Romangia, costretti a lunghi e dispendiosi viaggi. Pertanto veniva richiesta la riconferma dell'antico privilegio, insieme con quello di poter immagazzinare annualmente 2 mila rasieri di grano e vendere liberamente le eventuali ecce-denze, senza pagare alcun diritto reale.

246 ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, cfr. "Capitoli della città di Bosa", n. 4, cc. 578-579.

247 Ibidem, cfr. "Capitoli della città d'Iglesias", n. 2, cc. 591-591v.

Piazzaforte importante nello scacchiere difensivo del Regno, la città solle-citava il viceré perché provvedesse a dotarla rapidamente di opere d'artiglie-ria, di munizioni, palle di cannone e corde'.

In realtà, le città del Regno presentano problemi comuni, anche se su scala diversa in base alla consistenza demografica e al ruolo politico-istituzionale svolto: essi riguardano appunto il controllo degli impieghi nelle diverse isti-tuzioni del Regno; la difesa dei privilegi cetuali; il problema della gestione del monopolio cerealicolo; le questioni legate al fisco e all'amministrazione della giustizia. Il tutto anche in funzione della salvaguardia dello stretto rapporto di dipendenza economica delle città dal mondo rurale.

Il mondo delle campagne, per quanto non sia istituzionalmente presente nel Parlamento, vi fa echeggiare con forza la sua voce. Sono gli stessi ceti pri-vilegiati che, legati a doppio filo a questa realtà da cui traggono potere, pre-stigio e ricchezza, ne mettono in risalto le problematiche che lo attraversano al suo interno sul piano dei rapporti sociali per il controllo delle risorse del territorio e nel rapporto tra le stesse istituzioni regie, feudali ed ecclesiastiche.

Un contributo importante per la conoscenza di questa composita ed arti-colata realtà viene anche dai contenuti dei capitoli di Corte decretati a favo-re delle comunità che ricadevano nei feudi favo-regi dell'Incontrada del Mandro-lisai e di Parte Ocier

È un mondo inquieto, segnato da conflitti interni fra contadini e pastori per il controllo delle risorse territoriali, accentuati da una pressione fiscale insop-portabile, dalla pessima amministrazione della giustizia, dalla prepotenza e dagli abusi dei ministri preposti alla gestione della cosa pubblica e dal diffuso sistema dell'usura: condizioni che non solo frenano lo sviluppo economico e civile ma sono anche le cause principali della povertà di quelle popolazioni; i momenti di crisi più acuta esplodono in manifestazioni di profondo malessere sociale, che sfociano in forme di banditismo e criminalità incontrollabili.

Irregolarità venivano segnalate anche nella nomina dei ministri di giusti-zia, dei mayores de prado e dei sindaci nelle ville. Ad essere posto sotto accu-sa era l'operato de los offissials de dits tres Campidanos, i quali facendo mer-cimonio delle cariche e degli impieghi vi designavano spesso persone poco oneste, avide e spregiudicate, preoccupate esclusivamente di tutelare i propri interessi.

248 Ibidem, cfr. "Capitoli di Castellaragonese", n. 12, cc. 560-560v. Per un approfondito e puntuale studio sulla situazione economica, istituzionale e sociale di Castellaragonese in età moderna, cfr. A. Mattone e A. Soddu (a cura di), Castelsardo. 900 anni di storia, Roma, 2006.

In particolare cfr. il saggio di G. MURGIA, Castelsardo: da porto caricatore a terra di contrabban-do fra la Sardegna e la Corsica in età moderna, pp. 479-505.

249 ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, cfr. "Capitoli dell'Incontrada del Mandrolisai e di Parte Ocier Reale", cc. 585-592 e 769-772v.

Per porre ordine in questo campo ed eliminare gli abusi più gravi d'ora in avanti il compito di designare le persone destinate a ricoprire gli incarichi di major de villa y de pardo y de sindich ordinari sarebbe dovuto essere affidato alle stesse comunità. Queste avrebbero proceduto annualmente alla nomina di sei o dodici persone, a seconda della loro consistenza demografica, abtes y benemerits per servir les dits offissis. Il primo estratto avrebbe occupato la carica di mayor de prado e il secondo quella di sindaco ordinario della villa:

sens premi, veniva rimarcato, ne estipendi; gli sarebbe stato riconosciuto sola-mente il rimborso, a carico della comunità rappresentata, delle spese sostenu-te per il disbrigo degli affari comunitari, come vitto, alloggio e alimenti per il cavallo quando si fosse recato fuori sede. Gli eletti, inoltre, non potevano rinunciare all'incarico né tantomeno affidarlo ad altri, e questo per evitare di vanificare le scelte fatte dalla comunità e per prevenire abusi ed irregolarità nell'amministrazione della cosa pubblica da parte di chi aspirava a ricoprire quegli uffici per lucrare illeciti profitti.

Intervenendo in difesa degli interessi del ceto agrario il sindaco denuncia-va la pratica, assai diffusa nelle ville, per cui molto spesso alla carica di mini-stro di giustizia venivano designati esponenti del ceto pastorale più abbiente.

Il che generava continui abusi e prepotenze perché il loro bestiame invadeva impunemente le aree coltivate con gran dany y mina en las vinas, bidazonis y pardos. Venivano accusati, inoltre, di alimentare l'attività criminosa dell'abi-geato, ben sapendo di poter tenere il bestiame rubato nelle loro mandrie senza incorrere in un controllo e tanto meno in qualche condanna.

Veniva pertanto presentata la richiesta, puntualmente accolta e con decor-renza immediata, dell'interdizione del ceto pastorale dagli incarichi dell'am-ministrazione della giustizia nelle ville dei Campidani d'Oristano. Chi, entro i termini prescritti non avesse ottemperato a questa ingiunzione rischiava la confisca del bestiame e una pesante multa, il cui importo sarebbe stato ripar-tito fra il denunciante, la cassa regia ed il convento di Santa Chiara. L'inter-dizione era prevista anche nei casi in cui i ministri di giustizia allevassero bestiame ufficialmente non di loro proprietà, ma appartenente a mogli, geni-tori, fratelli o figli.

Gravi abusi venivano commessi anche nella compilazione delle liste di compulsione, aggiornate a scadenza triennale, di solito nel mese di maggio, a ridosso quindi del raccolto, quando i vassalli erano chiamati al pagamento dei tributi.

Gli appaltatori delle rendite del Marchesato250, infatti, affidavano l'incari-co della l'incari-compilazione e la risl'incari-cossione dei tributi a persone a ells obligats, tra

250 Cfr. al riguardo G. MELE, Appalto dei beni demaniali del marchesato di Oristano nel Sei-cento, in Giudicato d'Arborea e Marchesato d'Oristano, cit., pp. 761-780.

loro strettamente legate da vincoli di parentela ed impegnate esclusivamente

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 130-133)

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