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La richiesta veniva drasticamente respinta con la perentoria motivazione che, se concessa, essa avrebbe arrecato gravi danni alla Real Hacienda, e alle

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 42-50)

altre città del Regno.

secolo, in A. Saiu Deidda (a cura di), Genova in Sardegna. Studi sui genovesi in Sardegna fra Medioevo ed età contemporanea, Cagliari, 2000, pp. 41-46, e ID., Il prezzo della fede. Il sussidio delle galere nella Sardegna spagnola, in "Cooperazione Mediterranea", cit.. Nel volume curato dalla Saiu Deidda cfr. anche i contributi di M. L. PLAISANT, I genovesi in Sardegna nei secoli XVI e XVII, pp. 31-40, e di M. FERRAI COCCO ORTu, Testimonianze della presenza genovese in Sardegna attraverso le fonti dell'Archivio di Stato di Cagliari, pp. 47-112.

75 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, "Capitoli dei tre Stamenti", n. 52, c. 680.

76 Cfr. C. COSTANTINI, La Repubblica di Genova nell'età moderna, cit., pp. 171, 323-330.

77 Ivi, c. 747. Nell'economia oristanese un ruolo non secondario rivestiva anche la produ-zione di sale: cfr. al riguardo D.

sATTA,

Organizzazione amministrativa e gestione commerciale delle saline oristanesi a metà del XVII secolo (1647-1650), in Archivio Oristanese (a cura di M.

G. Farris dell' Arxiu de Tradicions), Mogoro, 2003, pp. 89-115.

Ma le varie richieste degli Stamenti, presentate da su síndico el marqués de Laconi en duplicadas cartas a Su Magestad en Molina de Aragón y Caragossa, tendenti a sciogliere los asientos de tratas como tan perjudissiales y danosos al púbblico bien de este reyno78 e ad ottenere la concessione di nuove tratte in concomitanza con un abbondante raccolto, non incontreranno che diploma-tici dinieghi, giustificati con la superiore ragion di Stato.

Gli asientos, uno dei cespiti cardine delle entrate della Real Hacienda non si potevano mettere in discussione. Su questo terreno lo scontro fra ceti pri-vilegiati e Corona si farà estremamente vibrante, tanto che nel 1651, a segui-to delle visite generali al Regno del reggente Giacomo Mir e del canonico ara-gonese Pietro Martínez Rubio79, che misero a nudo le numerose irregolarità ed i brogli praticati dagli asientistas a danno del regio Fisco, la battaglia da essi sostenuta per l'abolizione del monopolio delle tratte poteva dirsi positi-vamente conclusa".

Nella vita economica e finanziaria dell'isola quei personaggi, che fino ad allora avevano controllato il mercato cerealicolo, continueranno comunque a svolgere un ruolo di primo piano, indubbiamente favoriti dalla costante richiesta di frumento da inviare ai vari fronti di guerra per vettovagliare gli eserciti.

La caratteristica dilagante delle esportazioni di grano, a partire dal contra-stato esperimento monopolistico, che venne accusato di aver mortificato la produzione costringendo i labradores a svendere i propri billetes, è infatti la loro finalizzazione alle esigenze militari e finanziarie della Corona.

Il grosso delle esportazioni di grano, ma anche di altri prodotti dell'agri-coltura e delle pastorizia, prendeva la via della Spagna, destinato alla panati-ca dell'esercito che in Catalogna combatteva contro i francesi e per soffopanati-care la sollevazione del Principato; minori quantità verranno indirizzate anche al vettovagliamento delle truppe impegnate nella repressione della rivolta masa-nielliana di Napoli".

La stessa attenzione rivolta dai ceti alla politica monetaria sostenuta dal-l'Olívares, che alimentava un'incontrollata crescita dell'inflazione, si inseriva nell'avvertita necessità di porre ordine in un settore nevralgico per lo svilup-po dell'economia e degli scambi commerciali.

78 M, c. 537.

79 Cfr. BIBLIOTECA NACIONAL DE CATALUNYA, Barcelona, Sumario de todas las cartas de Su Magestad que contiene este libro, escritas al Illustrissimo Setior D. Pedro Martinez Rubio durante la visita generai que hizo en el Reyno de Cerdefia el ago 1649 basta al 1665.

80 Cfr. B. ANATRA, Economia sarda e commercio mediterraneo, cit., p. 175 e ID., Aspetti della congiuntura seicentesca, cit., pp. 23-26.

81 Cfr. ASC, AAR, Serie P, vol. 23, "Giunte dei Consigli di giustizia e del Real Patrimonio ed ordini del viceré concernenti diverse diligenze per soccorrere l'Armata spagnola comanda-ta da don Giovanni d'Austria nella ribellione di Napoli (1647-1650)".

Il ricorso della Corona alla sempre piú massiccia coniazione di moneda de vellón, con l'aumentarne artatamente il valore nominale su quello reale, pro-gressivamente aveva prodotto un'elevata inflazione e, come immediata con-seguenza, una decisa impennata dei prezzi.

Nell'interscambio monetario con l'estero il valore del vellón veniva rap-portato a quello dell'argento, per cui anche gli assentisti nel pagamento dei diritti di concessione al sovrano calcolavano il premio sulla base del valore attribuito all'argento. E poiché gli asientos venivano pagati in argento, nell'o-perazione del cambio i commercianti lucravano subito il cosiddetto premio de la plata.

Agli inizi del mese di settembre 1642 nel cambio stabilito per il pagamen-to degli asienpagamen-tos 100 monete d'argenpagamen-to ne valevano 204 di rame, per cui per mille scudi d'argento se ne pagavano 3040 di rame.

Per i banchieri ed i commercianti significava quindi lucrare nel cambio un aggio particolarmente elevato, per cui alla Corona, sempre piú bisognosa di liquidità monetaria, non restava altro che aumentare la coniazione di monete di rame, attribuendo ad esse, a partire dal 1641, un valore nominale esorbitan-te rispetto a quello reale, il che era la causa prima della galoppanesorbitan-te inflazione e soprattutto dell'indebitamento con l'estero della monarchia spagnola".

In questo contesto l'argento era indispensabile non solo per i commer-cianti, ma soprattutto per la Corona spagnola che era ormai da anni indebi-tata massicciamente con i banchieri stranieri.

La politica monetaria sostenuta dalla Corona, che per venire incontro al fabbisogno delle spese militari non aveva esitato ad appaltare anche a terzi la coniazione della moneta, aveva alimentato una rilevante produzione di mone-ta falsa.

La moneda falsa de aram aveva invaso anche il mercato isolano con riper-cussioni estremamente negative per lo sviluppo degli scambi commerciali e con la conseguente rarefazione dell'argento circolante.

L'importanza dell'argento, in un simile contesto monetario, era pertanto fondamentale. Non a caso la municipalità di Iglesias, nel 1642, avanzava al sovrano la richiesta di poter gestire in proprio lo sfruttamento delle miniere di galena argentifera offrendosi di pagare alla Real Hacienda la stessa percentuale del 5% sulla produzione fissata per l' asiento ora affidato a Filippo Duch".

82 Per un quadro esauriente della politica economica e finanziaria di Filippo IV cfr. J.

VICENS VIVES, Historia generai de la Espaiia moderna, I, Barcelona, 1973; ID., La crisis del siglo XVII, in R. Menéndez Pidal (ed.), Historia de Espaiia, XXIII, Madrid, 1989, in particolare i saggi sull'economia; D. DE LARIO, El comte-duc d'Olivares i el regne de València, València, 1986; V. PALACIO ATARD, Esparia en el siglo XVII, cit., e J. H. ELLIOT, El Conde-duque de Oli-vares, cit.

83 ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, c. 365.

Per porre ordine nella circolazione monetaria all'interno del Regno gli Stamenti avanzavano al sovrano anche la richiesta che d'ora in avanti le concessioni per battere moneta fossero sottoposte alla loro approvazione e che il valore nominale corrispondesse rigorosamente a quello reale. La richiesta non poteva essere accolta, veniva risposto, in quanto contrastava chiaramente con la suprema regalia reservada a Su Magestad nel battere moneta.

Per combattere poi i fabbricanti e spacciatori di moneta falsa di vellón veniva sollecitata la messa a disposizione di premi in denaro a favore di chi li denunciasse e l'applicazione di severe pene pecuniarie e corporali.

Altro motivo di costante tensione nei rapporti tra ceti privilegiati e Coro-na era dato dal controllo degli impieghi laici ed ecclesiastici di maggior pre-stigio da cui regolarmente i naturales venivano esclusi.

I sardi chiedevano infatti che fosse loro riservata l'esclusività delle prela-ture, dei benefici, delle dignità ecclesiastiche, degli stipendi, delle pensioni, degli uffici di "pace e di guerra", lasciando eventualmente ai cittadini degli altri domini spagnoli, oltre alla carica di viceré, quelle della prelazia cagliari-tana e del reggente la Real Cancelleria.

Sul problema della naturalizzazione delle cariche, durante i lavori parla-mentari, il fronte stamentario, per quanto composito e spesso disarticolato al suo interno, riusciva ad individuare obiettivi comuni e ad approvare una piat-taforma rivendicativa unitaria, subordinando la concessione del donativo alla sua accettazione da parte del sovrano.

Veniva cosi espressamente avanzata la richiesta dell'ammissione dei sardi meritevoli a ricoprire, al pari degli altri sudditi, incarichi e posti equi-valenti nei domini spagnoli in Italia, come quelli di Milano, Napoli e Sici-lia".

Ugualmente, al pari dei naturales del Reyno de Aragón, i sardi che si distin-guevano per nobiltà e cultura dovevano essere admitidos en los colegios mayo-res de Salamanca y Bologa".

Su questo versante si distinguono soprattutto le richieste avanzate dallo Stamento ecclesiastico, le quali, oltre che dipendere da precise necessità del Regno, erano frutto di un coagulo di comuni interessi dei tre ceti privi-legiati. Una di queste ultime mirava, ad esempio, ad ottenere che tutti gli uffici ecclesiastici esercitati nel Regno, la cui nomina dipendeva dal sovra-no, fossero esclusivo appannaggio dei soli naturales, di coloro cioè che erano nati in Sardegna, e ne fossero esclusi non soltanto i forestieri ma anche i semplici regnicols, i sudditi non sardi residenti nell'isola, e persino

84 Ivi, C. 439.

85Ivi, C. 678.

86Ivi, c. 400.

coloro che erano stati "naturalizzati" (equiparati ai naturales) con provve-dimento regio".

«La richiesta toccava almeno due aspetti: anzitutto, il diritto del re dí pre-sentare i nomi dei futuri vescovi o di altri importanti dignitari ecclesiastici (abati o priori di monasteri dí cui esisteva solo il titolo e qualche brandello dell'originaria proprietà che si era salvata dal processo di feudalizzazione) alla Santa Sede per riceverne la nomina canonica e il diritto al godimento dei rela-tivi benefici; il secondo era il potere dello stesso re di scegliere i beneficiari, sia laici che ecclesiastici, delle pensiones imposte sulle rendite di questi stessi benefici»", e che gli assicuravano una costante e sicura rendita.

Entrambi i diritti rappresentavano la parte più preziosa del regio patronaz-go. Non a caso già nel 1624 il viceré Vivas supplicava Filippo IV a non

«rinunciare per nessun motivo al regio arbitrio di poterne disporre libera-mente»", rifiutando ogni concessione di riserva ai regnicols e agli stessi natu-rals. Tale esercizio, infatti, costituiva uno strumento politico straordinario per il controllo del consenso all'interno dei ceti privilegiati, in occasione soprat-tutto della convocazione del Parlamento.

Non a caso una delle maggiori cure del viceré alla vigilia dell'apertura delle Cortes del Regno era quella di costituirsi una maggioranza sicura, rastrellando il maggior numero di voti o di procure di voto, per far approva-re il donativo richiesto nel tempo più bapprova-reve.

Peraltro, le promesse di eventuali promozioni ma anche di concessioni di semplici pensiones, che egli dispensava agli ecclesiastici più intraprendenti nella raccolta dei voti o più suscettibili a lasciarsi manovrare, facevano parte della prassi corrente: più d'una volta, ad esempio, la provvisione di una dio-cesi venne rimandata a dopo la conclusione dei lavori parlamentari.

D'altronde il conferimento di quelle "preziose" cariche ai naturales inte-ressava in sommo grado i ceti privilegiati, anche perché quasi tutti i prelati di origine sarda provenivano dai ranghi degli Stamenti militare e regio. Gli stes-si vescovi non naturales dovevano fare buon viso a questa richiesta, che rac-coglieva la quasi unanimità del Parlamento, e che oltretutto veniva presenta-ta dal Braccio ecclesiastico non più come supplica ma come condizione irri-nunciabile per approvare la concessione del donativo richiesto.

87 Sul tema dell'esclusività delle cariche, degli uffici, delle dignità e delle prelature ai natu-rales del Regno cfr. A. MATTONE, "Cortes" catalane e Parlamento sardo: analogie giuridiche e dinamiche istituzionali (XIV-XVII secolo), in La Corona d'Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII), Sopravvivenza ed estensione della Corona d'Aragona sotto la monarchia spagnola (secc. XVI-XVIII), Atti del XIV Congresso di Storia della Corona d'Aragona (Sassari-Alghero, 19-24 maggio, 1990), a cura di M. G. Meloni, O. Schena, Sassari, 1997, IV, pp. 251-274.

88 Su questa problematica cfr. R. TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, cit., pp. 358-359.

89 ACA, Cortes, leg. 1360, 13/4: Cagliari, 20 giugno 1624. Vivas al re.

Nel contempo veniva persino formulato un apposito principio di reci-procità, o di compensazione, in forza del quale ad ogni forestiero provvisto di titolo e di prebenda nell'isola doveva corrispondere un sardo insignito di pari onore in un altro regno della Corona spagnola. A questo proposito il sovrano laconicamente rispondeva che avrebbe tenuto ben presente la richiesta degli Stamenti, riservandosi però l'esclusiva prerogativa nella con-cessione delle mercedes ai sardi più meritevoli per i servizi prestati alla monarchia".

Da parte dei tre Stamenti, con in prima fila ancora l'Ecclesiastico, veniva denunciata anche la prassi seguita soprattutto da canonici titolari di preben-de, e talvolta da prelati forestieri, di affidare la cura animarum delle parroc-chie e delle diocesi ad ecclesiastici di poca istruzione, disposti a svolgere que-sto compito a basso coque-sto, i cosiddetti vicarii ad nutum, mentre loro continua-vano a risiedere tranquillamente nelle più confortevoli sedi d'origine.

Si rivolgevano poi al viceré lamentando il grave danno che al clero locale derivava dal ricorso da parte della Curia romana all'espediente delle testas de ferro, per cui, all'atto della consegna delle bolle di nomina per i benefici ecclesiastici minori non compresi nel patronazgo regio", oltre a versare la tassa indicata nei libri della camera, il beneficiato doveva anche sottoscrivere l'impegno di effettuare altri pagamenti, nominalmente a favore di uno o più ecclesiastici "naturali" dell'isola residenti a Roma (le cosiddette "teste di ferro")".

Già durante il Parlamento del 1630-31, i tre Stamenti avevano chiesto al sovrano di intervenire presso il papa per l'eliminazione di quest'abuso, che

90 Sul problema dell'alternanza tra candidati regnicoli e spagnoli cfr. lo studio di M. SPEDI-CATO, Il mercato della mitra: episcopato regio e privilegio dell'alternativa nel regno di Napoli in età spagnola (1529-1714), Bari, 1996.

91 Sui rapporti di patronazgo nella Spagna del primo Seicento e sulle reti clientelari che con-trollano i rapporti tra il centro e la periferia dell'Impero si vedano i significativi modelli deli-neati da F. BENIGNO, L'ombra del re. Ministri e lotta politica nella Spagna del Seicento, Venezia, 1992; F. M. BURGOS ESTEBAN, Los lazos del poder. Obligaciones y parentesco en una élite local castellana en los siglos XVI y XVII, Valladolid, 1994; J. M. Imizcoz Beunza (ed.), Élites, poder y red social: élites del Pais Vasco y Navarra en la edad moderna, Bilbao, 1996; C. J. CARLOS MORALES, El Consejo de Hacienda de Castilla (1523-1602). Patronazco y clientelismo en el gobierno de las Manzas reales durante el siglo XVI, Avila, 1996 e H. G. KOENIGSBERGER, L'e-sercizio dell'impero, Palermo 1989; per il caso sardo cfr. E MANCONI, Come governare un Regno: centro madrileno e periferia sarda nell'età di Filippo II, in B. Anatra, F. Manconi (a cura di), Sardegna, Spagna e Stati Italiani nell'età di Filippo II, cit., pp. 285-302, e ID., Istruzioni di Carlo V al viceré Cardona per la Sardegna (1534), in Dal mondo antico all'età contemporanea, cit., pp. 373-395. Sul rapporto fra pratonazgo regio e clero in Sardegna cfr., R. TURTAS, Note sui rapporti tra i vescovi di Alghero e il patronato regio, in Alghero, la Catalogna, il Mediterra-neo, cit., pp. 399-408.

92 Su questo complesso fenomeno cfr. R. TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna dalle ori-gini al Duemila, cit., pp. 357-361.

oltretutto contravveniva un preciso breve di Clemente VIII"; il re si era limi-tato a promettere il suo interessamento". Ma, in realtà, la richiesta non venne soddisfatta, tanto che la questione veniva nuovamente sollevata anche perché la Curia romana continuava a ricorrere a "teste di ferro" di nazionalità spa-gnola per dirottare su personaggi della stessa Curia le pensiones imposte su benefici non concistoriali95 delle Chiese spagnole'.

Al riguardo veniva sollecitata l'emanazione di una condanna esemplare nei confronti del sacerdote di Ozieri dottor Giovanni Contena, "testa di ferro" presso la stessa Curia, con la privazione del diritto di naturaleza. Que-sti, infatti, in qualità di prestanome, raccoglieva numerose pensioni ecclesia-stiche a favore di prelati ed abati forestieri, contravvenendo al dettato dei pri-vilegi reali e alle "grazie" apostoliche, riconosciuti ai naturales del Regno.

Il caso Contena era già stato denunciato, ma non risolto, durante i lavori del parlamento Bayona del 1630-31" e nel 16369x, in un procedimento pro-mosso dalla Reale Udienza, quando nei suoi confronti il viceré veniva solleci-

93 Cfr. P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., II, pp. 249-253. Il breve, emanato in data 12 aprile 1601, disponeva che tutte le rendite dei benefici non concistoriali andassero tassati-vamente a esclusivo vantaggio di coloro che erano nati in Sardegna o che fossero stati

"natu-ralizzati" per decisione del Parlamento.

94 ACA, Consejo de Aragón, vol. 380 (Parlamento Bayona 1630-31), cc. 142v.-143.

95 Si chiamavano "concistoriali" i benefici maggiori, come vescovatí, abbazie e priorati, per-ché conferiti durante il concistoro, una particolare e solenne riunione dei cardinali attorno al papa; tutti gli altri erano detti "non concistoriali". Il sovrano godeva del diritto di presentazio-ne soltanto per i primi. Sui criteri di seleziopresentazio-ne utilizzati presentazio-nell'assegnaziopresentazio-ne delle cariche eccle-siastiche e sul ruolo svolto da questo ceto nella Spagna del XVII secolo cfr., A. DOMINGUEZ ORTIZ, La sociedad espaiiola en el siglo XVII. El Estamento ecclesiastico, II, Madrid, 1978, e Q.

ALDEA VAQUERO, Iglesia y Estado en la Epoca barroca, in R. Menéndez Pidal (ed.), Historia de Esparia, cit., XXV, pp. 525-634. Per quanto si riferisce alla Sardegna cfr. S. PINTUS, Vescovi di Bosa. Notizie storiche, ín ASS, III (1907), p. 55, e, del medesimo, Vescovi di Ottana e di Alghe-ro, in ASS, V, (1909), n. 5, p. 106; Vescovi e arcivescovi di Torres, oggi di Sassari, in ASS, I, (1903), p. 62 ss.; R. BONU, Serie cronologiche degli arcivescovi di Oristano, Sassari, 1959; L.

CHERCHI, I vescovi di Cagliari (314-1983). Note storiche e pastorali, Cagliari, 1983, e G. SOR-GIA, I vescovi della diocesi di Ales (1503-1866), in AA. VV., La diocesi di Ales-Usellus-Terralba.

Aspetti e valori, Cagliari, 1975, pp. 271-286. Per un quadro generale d'insieme cfr. in partico-lare D. FILIA, La Sardegna cristiana. Storia della chiesa, II, Sassari, 1913, e soprattutto R. TUR-TAS, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, cit..

96 Cfr. CH. HERMANN, L'Eglise d'Espagne sous le patronage royal (1476-1834): essai d'ecclé-siologie politique, Madrid, 1988, p. 74.

97 Cfr. ACC, Sezione antica, Atti del Parlamento Pimentel, vol. 10, c. 824v.; V. ANGIUS, Memorie dei Parlamenti generali del Regno di Sardegna, secolo XVII, in G. CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, vol. XVIII, qua-ter, Torino, 1856, "Parlamento celebrato dal marchese di Bayona (1631-32)" e concluso da don Gaspare Prieto, vescovo di Alghero: vedi il capitolo n. 9 presentato dai tre Stamenti, p.

742, e G. Tore (a cura di), Acta Curiarum Regni Sardiniae. Il Parlamento del viceré Girolamo Pimentel marchese di Bayona (1631-1632), cit.

98 ACA, Consejo de Aragón, Secretaría de Cerden-a, legajo 1184, Cagliari, 30 aprile 1636.

tato perché decretasse di desnaturalizar al dit Contena y secrestar tots los fruits ecclesidstichs y temporals que té y possehe. Nell'occasione per il sacerdote di Ozieri veniva richiesta addirittura una condanna per simonia.

La pratica del ricorso alle "teste di ferro" per il controllo dei benefici ecclesiastici "non concistoriali", già condannata nello stesso parlamento Bayona, risultava ancora ben radicata nell'isola. Diffusamente presente in tutti i regni spagnoli, essa si affiancava, spesso confondendosi con esso, al fenomeno della "venalità" degli uffici e dei titoli, sia laici che ecclesiastici, che si era andato accentuando proprio nel corso della prima metà del Seicento a causa delle ambasce finanziarie in cui si dibatteva la monarchia spagnola.

Nel caso in oggetto lascia alquanto perplessi l'atteggiamento mentale, uni-laterale e ambiguo, sconcertante sul piano morale, con cui i rappresentanti degli Stamenti sardi giudicano tale fenomeno, che è da condannare quando è praticato e coinvolge persone forestiere, in particolare spagnole, e da ritene-re invece eticamente corritene-retto, o almeno tollerabile, quando tocca esclusivi interessi cetuali. Il che testimonia non soltanto che il fenomeno della "vena-lità" degli uffici costituiva una categoria mentale ormai radicata nella cultura del tempo, ma che ad essa era legato anche un forte e non mascherato anti-sp agnolismo".

D'altra parte, per quanto spesso giudicata una forma di corruzione e dí comportamenti poco leciti, la compravendita degli uffici assolveva ad un'im-portante funzione di promozione sociale, contribuendo a rafforzare le relazio-ni non soltanto fra i ceti, ma anche tra questi, le istituziorelazio-ni di governo perife-riche e quelle centrali in un rapporto di reciproca fiducia. La storiografia più recente ha dimostrato infatti che la venalità degli uffici è una variabile

D'altra parte, per quanto spesso giudicata una forma di corruzione e dí comportamenti poco leciti, la compravendita degli uffici assolveva ad un'im-portante funzione di promozione sociale, contribuendo a rafforzare le relazio-ni non soltanto fra i ceti, ma anche tra questi, le istituziorelazio-ni di governo perife-riche e quelle centrali in un rapporto di reciproca fiducia. La storiografia più recente ha dimostrato infatti che la venalità degli uffici è una variabile

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 42-50)

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