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Il lavoro delle due commissioni, data la delicatezza delle responsabilità insite a questo, veniva seguito con particolare attenzione dallo stesso viceré,

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 70-78)

vigile a che le sentenze fossero rigorosamente rispettose del dettato istituzio-nale e delle leggi del Regno.

Ed infatti, nel pomeriggio dello stesso giorno del loro insediamento, il viceré, accompagnato dai giudici della Reale Udienza, nel riprendere i lavori del Parlamento, incaricava il maestro razionale Antonio Masons e l'avvocato patrimoniale Giovanni López de Baylo perché prendessero direttamente informazioni sul loro procedere, in modo da accelerare i tempi per la votazio-ne e l'approvaziovotazio-ne dell'offerta del donativo.

Contestualmente provvedeva a pubblicare un pregone per informare gli abitanti del Regno che nel Parlamento era stata insediata la commissione giudicante i ricorsi per denunciare eventuali abusi subiti da parte di rap-presentanti delle istituzioni. Il pregone doveva essere divulgato con cele-rità in tutte le città e località dell'isola mediante bando eseguito dal corre-dor pubblico, accompagnato dal suono di trombetta o di tamburo, mentre i ricorsi dovevano essere presentati entro trenta giorni dalla sua avvenuta pubblicazione'

E a tal proposito, con diverse ambasciate, i rappresentanti dei tre ordini consegnavano al viceré alcune denunce relative ad abusi commessi e imputa-bili, in qualche misura, anche se indirettamente, all'amministrazione regia.

Per primi vengono sentiti i rappresentanti del Militare, don Bernardino Mattia Cervellón e don Antonio Manca Coasina, i quali fanno presente che nella raccolta dei tributi regi si verificano soprusi a danno dei vassalli, in quanto tale incarico è stato assegnato a persone che non hanno i requisiti pre-visti e fissati nei capitoli di Corte.

Il Doria, nel prendere atto delle denunce, li rassicura del personale impe-gno a far rispettare quanto stabilito al riguardo per legge, invitandoli nel con-tempo a segnalare tutti quei casi in cui si sono registrati abusi e prepotenze.

Contestualmente quelli del Militare gli presentano la richiesta che la riscos-sione dei diversi tributi debba essere eseguita esclusivamente, come è stato decretato nel parlamento Bayona, dai giudici ordinari del luogo, e non da ese-cutori o commissari esterni.

Con altra ambasciata, fatta dal canonico Giovanni Martì, sindaco del Capitolo algherese, e da don Giovanni Antonio Otgiano, priore di Bonarca-do, lo Stamento ecclesiastico sollecita il Doria affinché in tempi brevi venga affrontato il problema relativo all'offerta del donativo ed al suo impiego, tenendo conto soprattutto delle urgenti necessità del Regno.

Subito dopo il Militare, dando corpo alla precedente denuncia e affidan-do l'ambasciata ai affidan-dottori Domenico Brunengo e affidan-don Eusebio Carcassona,

134 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol.170, c. 135, vi è allegata copia del pregone viceregio pubblicato in data 22 marzo 1642.

presenta l'elenco degli esecutori dei tributi che, di fatto, sono stati nominati infrangendo la normativa di legge.

Tra questi vengono segnalati il capitano Pietro de La Vega, Francesco de Campus, Serafino Deyana e don Giovanni Battista Amat.

A proposito di Pietro de La Vega, cittadino genovese trasferitosi a Sassa-ri, il viceré fa presente di essere già intervenuto presso il presidente della Reale Udienza, don Ferdinando Azcón, perché provvedesse alla sua rimozio-ne e alla sostituziorimozio-ne, anche se, sottolirimozio-neava, la sua nomina era giustificata dal fatto che nell'Incontrada di Gallura si commettono numerosi furti, grassazio-ni ed omicidi. Dichiara quindi di non essere al corrente di eventuali irregola-rità commesse da questi nella riscossione dei tributi; li invita pertanto a ricor-rere alla commissione esaminatrice dei greuges.

Rimarca inoltre di non aver mai rilasciato lettere esecutorie alle altre per-sone segnalate, ribadendo il rigoroso rispetto dei capitoli di Corte che, appunto, prevedono il ricorso ad esecutori esterni solo nel caso di accertata negligenza dei giudici ordinari del luogo, sui quali dovranno ricadere anche le spese, come d'altra parte si è verificato nel caso di don Battista Amat.

Subito dopo il viceré ascolta l'ambasciata inviatagli dal Reale per voce di Francesco Ravaneda e Salvatore Pixi, sindaci rispettivamente delle città di Cagliari e Iglesias, i quali gli espongono la necessità che il donativo venga impegnato per soccorrere l'isola, che si trova in una situazione di grave con-giuntura economica e in uno stato dí preoccupante precarietà sociale.

A questo punto il Militare, per voce di don Francesco Acorra, suo sinda-co, informa il Doria di aver presentato un ricorso contro il sequestro delle rendite della baronia di Serdiana e San Sperate, feudo appartenente a don Giovanni Battista Fortesa.

ll viceré, nel pieno rispetto della normativa parlamentare, procede all'im-mediata interruzione dei lavori, incaricando don Antonio Canales, giudice dell'Udienza, e don Giovanni Lopez de Baylo, avvocato patrimoniale, perché sollecitino gli Stamenti a provvedere prontamente alla nomina della commis-sione degli esaminatori dei gravami.

In ordine, per l'Ecclesiastico vengono nominati il canonico Diego Astral-do, sindaco del Capitolo arborense, e il dottor Giacomo Capay, decano e sin-daco di quello usellense; per il Militare i dottori in legge Domenico Brunengo e don Pietro Michele Jagaracho; per il Reale don Angelo de Moncada e Paolo Solar Spinola, sindaci delle città di Oristano e Castellaragonese.

Essendo l'ora tarda, sono infatti le ore 11 della notte, i lavori vengono quindi aggiornati alle ore 10 del lunedì successivo, 24 marzo.

Alla ripresa dei lavori la commissione esaminatrice viene integrata con i rappresentanti di nomina regia don Giovanni Dexart, don Diego de Aragall, don Michele Bonfant, don Giacomo Artale Castelvì e don Vincenzo Bacallar.

Insediata la commissione, si procede all'esame del ricorso presentato dal Fortesa, tutelato dall'avvocato don Girolamo Meli Escarchoni, il quale fa pre-sente che con il sequestro delle rendite si è arrecato un danno notevole al suo assistito, anche perché non si è tenuto conto di due sentenze reali a suo favo-re. Prende quindi la parola il Dexart, il quale sostiene che nel sequestro si è proceduto con la massima correttezza per salvaguardare esclusivamente gli interessi del regio Fisco che, in caso contrario, ne avrebbe tratto grave danno.

Ribadisce pertanto che il ricorso non può essere accolto, in quanto l'operato della regia Curia non ha arrecato alcun aggravio al ricorrente. Con il parere espresso dal Dexart si schierano tutti gli esaminatori di parte regia, più il nobile Paolo Spinola Solar, giudice per conto del Reale. Contro si pronuncia-no gli altri cinque componenti, per cui a maggioranza il ricorso viene respin-to con sentenza dello stesso viceré.

La commissione esaminatrice dei greuges, al cui interno sono cambiati i rappresentanti dello Stamento militare che, dato íl numero dei partecipanti, ha necessità di far ruotare i componenti in modo da dare visibilità a tutti nel rispetto dei ruoli politici ricoperti e della rappresentanza territoriale, viene così ricomposta con sei giudici di parte regia e sei stamentari. Tra questi sono presenti i sindaci dei Capitoli delle diocesi di Sassari e Alghero per l'Ecclesia-stico; don Ignazio Aymerich e il dottor Francesco Angelo Dessì per il Milita-re e i sindaci d'Iglesias e Castellaragonese per il Reale.

In data 10 aprile pertanto la commissione si riunisce per affrontare un altro ricorso presentato da don Pietro Angelo Mura, della città di Oristano, per sé e in nome della figlia donna Chiara Sanna Castelvì, moglie in seconde nozze del nobile don Emanuele Sanna Castelvì, il quale si rivolge al viceré per denunciare i consiglieri della sua città, colpevoli di non avergli pagato le pen-sioni di due censi da lui goduti sulla stessa.

Questi fa presente infatti di aver prestato alla municipalità, nel 1629, durante il parlamento Bayona, la somma di 12.463 lire e 9 soldi, destinata a pagare la quota di donativo annuale a favore della Corona, con ipoteca sulle entrate derivanti alla città dai diritti di bolla su tutte le merci, come d'altra parte risulta dall'atto rogato il 12 luglio 1629 dal notaio Giuliano de Abella'3', già reggente la Tesoreria del Regno. L'amministrazione civica, mentre fino

135 L'Abella, originario di Alghero, era un medio proprietario agricolo. In seguito con l'at-tività commerciale e l'arrendamento di feudi riuscì ad accumulare una discreta fortuna. Que-ste esperienze gli furono molto utili quando, deceduto il tesoriere generale del Regno, gli si era dovuto trovare un sostituto. Il figlio dell'alto ufficiale, don Pedro Naharro, era infatti ancora in minore età e non poteva gestire tale delicato incarico. L'Abella avanzò allora la sua candida-tura e, per contrastare un pericoloso concorrente appartenente alla famiglia dei signori dí Vil-lacidro, trattò il matrimonio del figlio Francesco con Anna Brondo, sorella del titolare del feudo (che portò in dote una rendita di 1000 ducati annui). Nominato tesoriere, nel 1615, egli

all'anno 1636 ha versato regolarmente gli interessi sul capitale prestato, a par-tire da quella data, a causa del sacco francese del 1637 e dell'invasione delle cavallette del 1639, non ha più assolto al suo impegno. Chiede pertanto al viceré che la città sia obbligata a cedergli tutte le entrate tributarie fino all'e-stinzione del debito. In caso contrario avanza la richiesta che a farsene cari-co sia la stessa regia Corte'.

Il ricorso, dopo attento esame, viene respinto dalla commissione all'una-nimità dei presenti con la motivazione che esso attiene alla giustizia ordina-ria, per cui per aver soddisfazione di quanto gli spetta si dovrà rivolgere diret-tamente al Tribunale della Reale Udienza.

Nel frattempo i rappresentanti dei tre ordini si sono riuniti per discutere sull'offerta del donativo e sulle mercedes che dovranno essere richieste al sovrano. Questi, al solito rintocco della campana maggiore della cattedrale, vengono convocati e riuniti nel palazzo regio per riferire al viceré le loro deci-sioni in merito. Per primi vengono sentiti i delegati del Militare, don Bernar- dino Mattia Cervellón e don Ignazio Aymerich, i quali, a nome del loro Sta- mento, dichiarano di essere disposti ad accogliere un donativo pari a 70 mila scudi, inferiore di 10 mila scudi alla richiesta avanzata dal sovrano, a condi- zione che, considerata l'estrema povertà del Regno, si proceda a liberalizzare il commercio del grano e dei legumi con la concessione delle licenze di espor-tazione.

Medesima richiesta viene presentata, a nome del Reale, dai sindaci di Cagliari Francesco Ravaneda e di Alghero don Marco Boyl, al cui interno però ha espresso parere contrario il sindaco di Oristano don Angelo de Moncada.

Anche l'Ecclesiastico, ma solo il giorno 19 dello stesso mese, per voce di don Gavino Manca Figo e dal dottor Diego Astraldo, sindaci dei Capitoli tur-ritano ed arborense, ugualmente dichiarano di accogliere il donativo richie-sto, riservandosi di presentare più avanti l'elenco delle mercedes.

Nel contempo i delegati dei tre Stamenti presentano al viceré diverse istanze perché venga affrontato il problema della riserva di titoli, benefici e

riuscì a consolidare ulteriormente la sua posizione combinando il secondo matrimonio del figlio che, nel frattempo era rimasto vedovo, con Angela Naharro de Ruecas, sorella del tito-lare effettivo dell'ufficio di Tesoreria. Nel parlamento Bayona del 1626 si distingueva per il personale sostegno finanziario a favore della Corona spagnola, offrendo per la guerra 720 scudi in cinque anni, pagabili in rate annuali di 144 scudi e mettendo a disposizione del sovra-no, per qualsiasi esigenza bellica o civile, la sua persona e quella del figlio (cfr. ASC, AAR, Par-lamenti, vol. 168, c. 212). Per queste notizie cfr. Por el doctor don Julian de Abella Tesorero por su Magestad en el Reyno de Cerderia con el serzor Fiscal sobre los cargos que han resultado con-tra y de la visita que se le ha hecho, Caller, s. a., ma successivo al 1632. Per la nomina a tesorie-re cfr. ASC, AAR, H 15, cc. 62 e 177).

136 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, cc. 136v.-137, Cagliari 11 aprile 1642, ricorso pre-sentato dal nobile Pietro Angelo Mura, della città di Oristano.

pensioni ai soli naturales, nel rispetto di quanto era stato ribadito nel parla-mento Bayona. Così, oltre al caso Contena, altro ricorso veniva fatto in data 25 aprile dal dottor Agostino Angelo Peis, sindaco dell'Ecclesiastico, il quale denunciava altri due casi eclatanti riguardanti il fenomeno delle teste di ferro, in particolare l'assegnazione della titolarità dell'abbazia di Saccargia al cardi-nale Albornoz, forestiero residente in Roma, e il ruolo svolto dall'arciprete della chiesa di Sassari.

All'interno della commissione giudicante la discussione si faceva subito vivace in quanto il Dexart, intervenendo per primo, ribadiva che nel parla-mento Bayona viene espressamente dichiarato che per las abadias y beneftdos eclesiasticos (d') este reyno se provea en naturales y no puden gosar de ellos estranjerosw . Veniva quindi rimarcato che il sovrano, al riguardo, si era riser-vato solo il controllo e il diritto di assegnare liberamente le prelazie, per cui abbazie ed altri benefici ecclesiastici dovevano essere riservati esclusivamen-te ai nativi del Regno.

Data la complessità della disciplina, la commissione giudicante, nel-l'accogliere il ricorso, con il pieno consenso dello stesso viceré, decideva di rivolgersi direttamente al sovrano per le opportune deliberazioni in merito.

Nel frattempo la giunta dei gravami, i cui componenti, soprattutto per la parte stamentaria del Militare, sono confermati o sostituiti a seconda della specificità dei ricorsi, si sono dovuti confrontare con alcuni casi di non facile risoluzione.

Don Francesco apata, signore della baronia di Lasplassas, si era rivolto infatti ai giudici dei greuges per impugnare la sentenza di confisca del feudo e della contestuale privazione della giurisdizione su di esso, emessa dalla Reale Udienza per debiti a favore del dottor Michele Bon-fant, attualmente giudice della stessa. Denunciava infatti che nella vendi-ta della baronia, per la somma di 2 mila lire, si era contravvenuto di fatto al disposto della prammatica reale di Giovanni d'Aragona, promulgata a Valencia in data 13 aprile 1459, che disponeva l'assoluto divieto di aliena-zione dei feudi per debiti, per restitualiena-zione di dote o per esecualiena-zione della regia corte, tanto più che egli godeva su quel feudo di un censo di 105 lire e delle rendite, derivanti dall'esercizio della giurisdizione feudale. Lo apata chiedeva pertanto di essere pienamente reintegrato nel perfetto possesso del feudo e conservato nella giurisdizione civile e criminale, denunciando di aver subito, a causa di tale sentenza, un grave danno eco-nomico e moralel".

137 ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, cc. 130v.-131.

138 Ivi, cc. 148-148v.

La commissione, a maggioranza, con un solo voto contrario, respingeva il dissentiment139 presentato dallo Capata, dichiarando la legittimità della sen-tenza, in quanto anche in altri casi simili si era proceduto allo stesso modo. Il viceré votava con la maggioranza.

Con la dichiarazione del non luogo a procedere, dopo un attento e minu-zioso esame delle carte prodotte, la commissione respingeva anche altri due ricorsi, l'uno presentato dal chierico Antonio Stefano Rubato contro l'opera-to del giudice aposl'opera-tolico e reale Agostino de Gusmàn e dei suoi commissari per averli sottoposti a numerose spese, e l'altro da Alessio Nin e Gonario Sisto, che, in qualità di creditori del signore della villa di Gesturi, chiedeva-no la confisca del feudo per debiti.

Veniva invece accolto, e quindi esaminato, il ricorso presentato da don Salvatore Nin, sindaco della villa di Pattada, per conto dei vassalli della stes-sa, di quella di Ozieri e del Capo del Logudoro, avverso ai gravami loro impo-sti dal commissario del corpo di cavalleria e dal sergente maggiore di fanteria per le spese della polvere da sparo e per il mantenimento dei cavalli.

In questo caso il viceré, prendendo a cuore il caso, sollecitava la commis-sione a rendere giustizia ai ricorrenti per gli aggravi ingiustamente subiti.

Conclusa la procedura per l'ammissione o meno dei ricorsi, il Doria invitava i membri degli Stamenti a presentare per iscritto l'offerta del donativo richiesto dal sovrano. Vivamente preoccupato per il dilatarsi dei tempi della sua approva-zione li sollecitava nel contempo ad operare con rapidità, in modo che potesse-ro rientrare nelle rispettive sedi prima che si manifestasse la intemperia del reyno, cioè prima che esplodessero le febbri malariche"". Pertanto, per abbreviare i

139 I termini greuge e dissentiment vengono utilizzati indistintamente negli atti parlamenta-ri: ma il primo è un ricorso presentato all'interno del Parlamento contro l'amministrazione regia per denegata giustizia, il secondo è un'opposizione con conseguente veto alla prosecu-zione dell'attività parlamentare ove non si ponga rimedio all'abuso lamentato (cfr. A. MARON-GIU, I Parlamenti sardi, cit., pp. 223-231, e J. DExART Capitula sive Acta curiarum Regni Sardi-niae, cit., lib. I, tit. I, S 48 e ss. del commento).

140 Le febbri malariche, che esplodevano soprattutto ai primi caldi, erano particolarmente temute dai forestieri, in quanto spesso mortali. Della vasta letteratura sulla malaria in Sarde-gna, tra gli altri, cfr. G. FARINA, Medicinale patrocinium ad Tvrones Sardiniae Medicos in quo Natura febris Sardiniae Provincias vexantis Caussae, Signa, Prognostica, et medendi Methodus iuxta Hippocratis, et galeni doctrinam describitur. Eiusdemque Sardiniae calumnia; quam a Pri-scis meruit habere, vindicatur, Venezia, 1651; P. AQUENZA MOSSA, Tractatus de febre intempe-rie, sive de mutaciones vulgariter ditta Regni Sardiniae, et analogice aliarum mundi partiuni: in varios sermones divisus, veterum et modernorum Medicorum doctrinis illustratus, Madrid, 1702;

E CARBONI, De sardoa intemperie, Sassari, 1774; P. A. LEO, Di alcuni antichi pregiudizi sulla così detta sarda intemperie. Lezione fisico-medica, Cagliari, 1801; G. G. MORIS, Notice sur les principales maladies qui règnent dans file de Sardaigne, Paris, 1826; C. G. SACHERO, Dell'in-temperie di Sardegna e delle febbri periodiche perniciose, Torino, 1833; G. BROTZU, La malaria nella storia della Sardegna, in "Mediterranea", VIII (1934), 1, pp. 14-21; G. TORE, Pestilenze e società: la difesa epidemiologica in Sardegna dal XVIII al XIX secolo, in "Annali della Facoltà

tempi dei lavori del Parlamento proponeva loro di votare Phabilitacion de todas las festas de precepte, escluse le domeniche. Gli Stamenti accoglievano ben volentieri la sollecitazione, dichiarando all'unanimità di essere disposti a prose-guire i lavori del Parlamento anche nei giorni festivi, purché non domenicali.

Ma questi ancora una volta dovranno essere interrotti perché la commis-sione giudicante è chiamata ad affrontare nuovi ricorsi, tra i quali quelli par-ticolarmente intricati e delicati relativi alla successione nell'eredità del mar-chesato di Torralba e della contea di Bonorva.

Il nobile don Francesco Aquena Montanacho, infatti, in qualità di curato-re testamentario dei figli e dei beni del defunto marchese di Torralba don Michele Comprat, aveva presentato al viceré ricorso contro le pretese di tito-larità sul feudo dichiarate dalla nobildonna Teodora Siine) Camillo, moglie di don Ferdinando Azcón de Albornoz, attualmente giudice collaterale di sua maestà nel Regno di Napoli, che appunto si definiva marchesa di Torralba e delle ville di Bonnanaro e Borutta nell'Incontrada del Meilogu, e che al riguardo aveva presentato salvaguardie reali, vidimate dalla stessa Reale Udienza, rilasciate in Cagliari in data 31 dicembre 1637. Teodora Simó Car-rillo era figlia di Ippolita Artés, vedova di Giovanni CarCar-rillo e moglie in seconde nozze del Comprat'

A questa pretesa si opponeva l'Aquena, sostenendo che i documenti alle- gati dovevano ritenersi nulli in quanto non era materialmente possibile che donna Teodora, residente nella città di Cagliari, avesse potuto raggiungere in brevissimo tempo la villa di Bonorva, distante oltre 150 miglia, per ricevere direttamente dal marchese, suo patrigno, ormai morente, le ultime volontà testamentarie.

Di contro i difensori di donna Teodora ribattevano che il dissentiment posto dall'Aquena non poteva essere ammesso per il fatto che nessun docu-mento attestava che egli era stato nominato curatore dei figli e dei beni del marchese.

di Magistero di Cagliari", S. II, 1977-78, pp. 143-164; F. MASALA, I "luoghi" della peste, in Arte e cultura del '600 e del '700 in Sardegna, cit., pp. 29-40; G. Tore e C. Valenti (a cura di), Sanità e Società, Sicilia e Sardegna. Secoli XVI-XX, Udine, 1988; M. GRAS, La malaria et l'histoire de la Sardaigne antique, in La Sardegna nel mondo mediterraneo, I, Gli aspetti geografici, Sassari, 1981, pp. 297-303; E MANCONI, Castigo de Dios. La grande peste barocca nella Sardegna di Filippo IV, Roma, 1994; E. TOGNOTTI, La malaria in Sardegna. Per una storia del paludismo nel Mezzogiorno (1880-1950), Milano, 1996; A. MATTONE, Le origini della questione sarda. Le

di Magistero di Cagliari", S. II, 1977-78, pp. 143-164; F. MASALA, I "luoghi" della peste, in Arte e cultura del '600 e del '700 in Sardegna, cit., pp. 29-40; G. Tore e C. Valenti (a cura di), Sanità e Società, Sicilia e Sardegna. Secoli XVI-XX, Udine, 1988; M. GRAS, La malaria et l'histoire de la Sardaigne antique, in La Sardegna nel mondo mediterraneo, I, Gli aspetti geografici, Sassari, 1981, pp. 297-303; E MANCONI, Castigo de Dios. La grande peste barocca nella Sardegna di Filippo IV, Roma, 1994; E. TOGNOTTI, La malaria in Sardegna. Per una storia del paludismo nel Mezzogiorno (1880-1950), Milano, 1996; A. MATTONE, Le origini della questione sarda. Le

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 70-78)

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