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Nell'isola, infatti, circolavano, come ci informa il cronista contemporaneo Giorgio Aleo, monete d'argento a diffusione internazionale come i ducatoni

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 87-90)

milanesi e i reales de a ocho castigliani; accanto a queste monete forti coesi-stevano gli scudi sardi, una moneta d'argento che valeva dieci reali castiglia-ni; i mezzi scudi e poi pezzi da tre reali, da due e mezzo, da due, da uno e da mezzo reale. Le monete di lega di rame erano i soldi; monete frazionate erano i callareses (uno valeva due denari) ed i denari (dodici valevano un soldo)155.

154 Sulla situazione monetaria in Sardegna a metà Seicento cfr. E MANCONI, Il disordine monetario, cit., pp. 100-104.

155 Cfr. J. ALEO, Historia cronologica, cit., fol. 16. Sul sistema monetario del Regno di Sar-degna cfr. anche E. BIROCCHI, Zecche e monete della SarSar-degna nei periodi di dominazione spa-gnuola-aragonese, Cagliari, 1952; M. SOLLAI, Monete coniate in Sardegna nel Medioevo e nel-l'Evo Moderno (1289-1813), Sassari, 1977; E. STUMPO, Storia della moneta, e Storia della circo-lazione monetaria, in La Sardegna, Enciclopedia a cura di M. Brigaglia, II, La cultura popolare, l'economia e l'autonomia. L'Economia, Cagliari, 1982, pp. 31-36 e 37-42, ed E. PIRAS, Monete della Sardegna, Sassari, 1985.

Quando poi il valore nominale di questa piccolissima moneta di rame con ridotte percentuali d'argento era stato elevato, da una libbra di rame si otte-nevano monetine anche per tre o quattro scudi. Il che, se per l'erario si tra-duceva in un notevole lucro, contestualmente allettava anche í sudditi, deter-minando così la diffusione capillare della falsificazione del vellón in ogni angolo dell'isola.

Racconta ancora l'Ateo che boschi e montagne spopolate, specialmente nei Capi di Sassari e Gallura, erano diventati i luoghi dove tutti praticavano impunemente la falsificazione delle monete di rame. Si verificava anche il fatto che di villaggio in villaggio gli abitanti si prestassero l'un l'altro i conii falsi e che, ín assenza di materia prima, ricorressero alla fusione di paioli e padelle di rame rastrellati nelle case.

Le severe misure repressive adottate su larga scala e che prevedevano la condanna alla forca e alle galere, non sortirono però risultati di rilievo, tanto che l'autorità di governo si vedeva costretta a mettere fuori corso la moneta vecchia e a riconiare la moneta di lega dí rame ed argento.

Prontamente gli infaticabili falsificatori sardi rifacevano gli stampi, ripro-ducevano i nuovi conii e convertivano la vecchia moneta in loro possesso nella nuova, che aveva la stessa dimensione della precedente ed anche ugua-le peso e valore. Il costo per i falsificatori era soltanto quello del lavoro della coniazione, che era ben poca cosa a fronte di consistenti guadagni derivanti dalla differenza fra il valore intrinseco e quello nominale'. Il provvedimento regio si rivelava dunque fallimentare, anche perché, per non rinunciare ai suoi guadagni, lo Stato aveva riproposto una moneta che presentava gli stes-si vizi della vecchia.

A ridosso degli anni Quaranta del Seicento, pertanto, l'eccessiva svaluta-zione della moneta di rame, che provocava preoccupanti alterazioni nei prez-zi e turbative nei commerci, diveniva talmente insopportabile per l'economia sarda da allarmare gli stessi Stamenti, i quali appunto sollevavano il proble-ma durante i lavori parlamentari, chiedendo l'immediato intervento del viceré.

Per porre ordine nella circolazione monetaria questi, facendo propri i rilievi e le considerazioni stamentari, s'impegnava a riproporre la pubblica-zione, in tutte le città e ville del Regno, del pregone emanato il 7 giugno 1639 dal viceré Andrea Doria'", che stabiliva pesanti sanzioni pecuniarie e pene

156 Cfr. F. MANCONI, Il disordine monetario, cit., p. 101.

157 Don Giovanni Andrea Doria Landi, principe di Melfi, venne nominato viceré del Regno di Sardegna con patenti regie in data Madrid 20 marzo 1637, cfr. ACA, CdA, Reg. 316, fol.

CLIII-CLVII; prestò giuramento in Cagliari 1'8 di giugno dello stesso anno. Durante il suo breve viceregato (1637-39) si interessò soprattutto dei problemi della difesa dell'isola. Morì nel 1640. Cfr. J. MATEU IBARS, Los virreyes de Cerdega, cit., vol. II, pp. 34-42.

corporali nei confronti dei falsificatori, le cui fila erano organizzate e gestite persino dal clero locale.

La ripubblicazione del pregone, con l'inasprimento delle pene a carico dei falsificatorii", si rendeva necessaria in quanto i risultati conseguiti si erano rivelati irrisori.

Dopo la sospensione estiva i lavori del Parlamento, di fatto, venivano ripresi il mercoledì 31 dicembre, quando il viceré, alla presenza dei giudici della Reale Udienza e dei rappresentanti stamentari, convocati nel palazzo regio al solito rintocco della campana maggiore della cattedrale, comunicava loro che il sovrano Filippo IV, con dispaccio consegnato al marchese di Laco-ni, che nel frattempo era rientrato dalla Spagna, li sollecitava a discutere sulle diverse richieste a lui presentate.

Era indispensabile quindi procedere al reintegro degli assenti nelle com-missioni dei trattatori e dei greuges, in quanto dovevano essere sostituiti alcu-ni componenti, che nel frattempo erano deceduti o avevano già lasciato la capitale.

Nell'accogliere l'invito del Doria i tre Stamenti s'impegnavano a nomina-re in tempi rapidi, il che si verificava puntualmente, i sostituti delle due com-missioni.

Il 2 gennaio 1643, alla ripresa dei lavori, la commissione degli abilitatori, riunita nella sacrestia della cattedrale, procedeva all'abilitazione di numerose altre persone, le quali però potranno essere armate cavalieri a condizione che da almeno cinque anni non abbiano praticato art mecanica, attività manuali, o non siano stati tenders de butigas, cioè bottegai'.

Lo stesso giorno il Doria comunicava ai delegati stamentari che il sovrano, nell'avere accolto con soddisfazione il servicio dei 70 mila scudi, era ben disposto ad accogliere le richieste di "grazie" e titoli. Al riguardo, per pren-dere atto di queste, il Doria si faceva rappresentare dal Bacallar, reggente la Real Tesoreria, e dal López de Baylo, avvocato patrimoniale.

Per primi venivano sentiti gli esponenti del Militare, i quali chiedevano di essere dettagliatamente informati sull'esito dell'ambasciata del marche-se di Laconi, in modo tale che, marche-se le richieste premarche-sentate erano state accol-te, si poteva procedere anche alla conclusione dei lavori del Parlamento.

Al proposito il Lopez de Baylo, udito il contenuto dell'ambasciata, li invi-

158 Al riguardo cfr. ASC, Reale Udienza, classe IV, Miscellanea, b. 67/1, carta reale del 30 giugno 1643, c. 84, e carta reale dell'8 giugno 1644, c. 121.

159 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, c. 358. Nella cultura aristocratica del tempo l'e-sercizio delle attività manuali era infatti visto come prerogativa dei ceti sociali più umili. Al riguardo vi è una illuminante testimonianza nei Promessi Sposi (capitolo IV), quando il Man-zoni descrive la vita di Fra Cristoforo, al secolo Ludovico, di famiglia mercantile (viene apo-strofato infatti con il titolo spregiatiyo di "vile meccanico"), che uccide un suo rivale, del ceto dei cavalieri, il quale pretende che gli lasci libero il lato destro della strada da lui occupato.

tava a prendere visione delle carte in possesso di don Agostino Castelvì,

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 87-90)

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