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Sottolineava così la necessità di limitare le prerogative fino ad allora rico- rico-nosciute ai veguers della città nella rilimina del mayor de prado237 e dei suoi

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 123-126)

collaboratori (pardarjos), denunciandone l'operato poco corretto ed assai disinvolto, in quanto vi designavano persone senza i requisiti prescritti dalle leggi del Regno, e ni de bona vida y fama, per cui, non assolvendo ai compiti istituzionali di stretta sorveglianza del territorio, spesso accadeva che subis-sero gravi danni le vigne, i tancati, le bidazonis ed i prati, e che si verificasse-

236 L'aggregazione dei tre Campidani alla città di Oristano, nel rispetto dell'antico legame città-campagna con la conseguente sottrazione al regime feudale di quelle terre, l'introduzio-ne di un Consiglio civico rappresentato dai cittadini appartel'introduzio-nenti alle tre classi, major, menor y mijana, nonché le nuove norme elettive dell'insaccolazione, sono disposizioni tutte contenu-te nel privilegio del 1479 di istituzione della città regia, e si richiamano alla Carta de Logu arbo-rense. La politica aragonese stava ben attenta, se non necessario, a modificare la situazione legislativa locale. Sull'amministrazione cittadina e sulla vigenza della Carta de Logu in questa città e nei Campidani cfr. A. ERA, Tre secoli di vita cittadina (1479-1720) dai documenti dell'ar-chivio civico di Oristano, Cagliari, 1937; F. Uccheddu (a cura dí), Il "Llibre de Regiment" e le pergamene dell'Archivio Comunale di Oristano (secc. XV-XVIII), cit.; i saggi di E. GESSA, La

"Carta de Logu" e la magistratura civica di Oristano: la nascita della città regia e il suo impianto istituzionale, e di M. VINCIS, La "Carta de Logu" diritto vigente nella città di Oristano (secc. XV-XVII), in "Medioevo. Saggi e Rassegne", n. 23 (2000), rispettivamente alle pp. 115-133 e 135-153.

237 Al mayor de prado era affidata la sorveglianza dei prati esistenti nei salti comunali affin-ché non vi venisse introdotto al pascolo altro bestiame, fuoraffin-ché quello costituito dai cavalli domati al carro e all'aratro, dai buoi da lavoro e dalle vacche manse con i loro vitelli. Nell'e-spletamento del suo incarico era affiancato dall'opera di altri giurati di prato (jurados de prado) a lui soggetti e comunemente chiamati pardarjios. Sull'uso e il controllo del territorio nella degna moderna, tra gli altri, cfr: G. DONEDDU, Ceti privilegiati e proprietà fondiaria nella degna del secolo XVIII, Milano, 1990; I. BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sar-degna, Milano, 1992; G. G. ORTO, Villaggio e poteri signorili in SarSar-degna, Bari, 1996 e G. MUR-GIA, Comunità e baroni, cit..

ro altri inconvenienti che alimentavano la conflittualità fra pastori e contadi-ni. Presentava pertanto al viceré la richiesta che nella scelta delle persone destinate a ricoprire quegli incarichi un ruolo determinante fosse riconosciu-to ai magnifics consillers della città, i quali avrebbero poturiconosciu-to anche ricusare quelle presentate dai veguers; al termine del loro mandato mayor de prado e pardarjos avrebbero dovuto purgar taula238, al pari dei ministri e ufficiali di giustizia. In tal modo si sarebbe posto qualche rimedio ai numerosi abusi da questi commessi nell'espletamento delle loro funzioni: tre giudici di taula, in rappresentanza delle trenta ville dei tre Campidani, ne avrebbero sindacato l'operato.

Capitava spesso, ad esempio, che il vassallo, per non perdere giornate di lavoro e sopportare disagi, non si recasse a Oristano per denunciare a questi giudici torti e prepotenze subiti, preferendo pagare multe del tutto ingiusti-ficate.

A difesa degli abitanti della città e dei Campidani, il de Moncada denun-ciava il fatto che, per quanto esenti per privilegio reale dall'obbligo delle corvées e dei servizi dominicali, tuttavia venivano sovente costretti dai veguers, dai ministri, dagli ufficiali di giustizia e dai commissari regi che visi-tavano il Marchesato a prestare numerosi servizi, e senza ricevere alcuna indennità. Il che per i comandati, in quanto venivano distolti dal loro lavoro quotidiano, si risolveva in un grave danno. D'ora in avanti, pertanto, i vassal-li dovevano essere chiamati ad assicurare, a titolo gratuito, solo il servey de sa Magestad, e non altro; negli altri casi doveva esser loro retribuita la prestazio-ne. Per quei ministri che non si fossero attenuti al dispost per dits reals privi-legis, venivano richieste la revoca dall'incarico e rigorose sanzioni disciplina-ri e pecuniadisciplina-rie'.

Il de Moncada contestava decisamente anche la struttura dell'organizza-zione interna e la stessa gestione dell'istituto regio del veghierato, che di fatto limitava fortemente il campo dei poteri esercitati dal Consiglio civico, soste-nendo che a quella carica dovevano essere preposti esclusivamente cittadini nobles o cavallers, al pari dei consiglieri in capo della stessa città. Non era infatti né plausibile né accettabile che una carica di tale responsabilità fosse occupata da persone senza titolo di nobiltà o di cavalierato; l'incarico, di durata biennale, doveva inoltre essere ricoperto dalla stessa persona soltanto dopo che fosse trascorso un intervallo di tempo non inferiore ai sei anni:

uguali vincoli dovevano essere estesi anche alla figura dell'assesor, il più stret-to collaborastret-tore del veguer.

238 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, "Capitoli della città di Oristano", nn. 15 e 16, cc.

729-730.

239 Cfr., Ibidem, "Capitoli della città di Oristano", n. 19, cc. 731-732.

Esplodeva quindi, in maniera assai palese, lo scontro in atto fra il ceto nobiliare e quel ceto togato che anche nella città di Oristano andava progres-sivamente affermandosi nelle strutture amministrative del Regno.

D'altra parte in un Regno al cui interno, seppur lentamente ma con forza andavano imponendosi nuovi status sociali, espressione diretta delle trasfor-mazioni in atto in una società ancora in maniera robusta strutturata su privi-legi di classe, incarnati nell'appartenenza ad uno dei tre ordini, la progressi-va affermazione di un ceto burocratico, togato e professionale introduceprogressi-va decisi elementi di rottura nei tradizionali equilibri, proponendone di nuovi.

La richiesta del de Moncada sul ruolo dell'istituzione del veghierato, che si affiancava a quella presentata dal sindaco della città di Cagliari, pur collo-candosi all'interno di uno stesso ambito politico-culturale, rispecchia il con-testo di una realtà sociale e culturale complessivamente debole, perché il cen-tro di Oristano, benché si fregi del privilegio del titolo di città regia, di fatto non è altro che un grosso borgo di circa 4 mila anime, con un'economia a dominante cerealicola, dove di conseguenza ridotto appare anche il peso politico esercitato dal ceto nobiliare e da quello burocratico, anche perché il suo vasto territorio, compresi i tre Campidani, in quanto feudo regio ricade sotto la diretta giurisdizione della Corona.

Ben diversa è la realtà di Cagliari, che oltre a denunciare una popolazio-ne di circa 13 mila abitanti è capitale del Regno, sede elettivamente deputa-ta del viceré, del Parlamento e delle più impordeputa-tanti istituzioni di governo. Il che, nel corso degli anni, vi aveva favorito il concentrarsi ed il consolidarsi di un robusto ceto burocratico, ormai stratificato al suo interno, dove la rap-presentanza professionalmente più qualificata, quella togata e dei letrados, premeva per accaparrarsi il controllo delle cariche di maggior prestigio sul piano politico e sociale. Non a caso questa, successivamente, abbandonan-do la conflittualità col ceto feudale, tenderà lentamente, strada d'altra parte quasi obbligata, a «lasciarsi integrare nelle nuove strutture dello Stato moderno, adattandosi a svolgere mansioni puramente tecniche come unico modo per partecipare alla gestione del potere, per acquistare la fiducia del sovrano, per far carriera nelle gerarchie burocratiche. Esisteva infatti un rap-porto di interdipendenza, con numerose idee e interessi in comune, tra la Corona e questo nuovo ceto che, pur non antagonista alla nobiltà, si mostra-va disponibile ad un netto ridimensionamento della giurisdizione feudale ed al rafforzamento dei poteri monarchici. Ma, oltre questa funzione politica positiva svolta dai togati, si intravedono anche contraddizioni interne allo stesso "ceto civile", come, ad esempio la corsa ai titoli nobiliari e la negozia-zione della propria origine con la volontà di inserirsi a tutti i costi nelle file dell'aristocrazia attraverso l'acquisto di feudi [...] Al di là di questi limiti, il ceto togato sardo, come quello napoletano e quello siciliano, avrà sempre

una precisa coscienza del proprio ruolo e della propria forza e soprattutto la

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