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Quando oramai i tre ordini hanno messo a punto i testi dei capitoli da sot- sot-toporre all'approvazione del sovrano, non prima di avere superato il via

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 94-98)

libe-ra sul piano della legittimità giuridico-istituzionale sanzionato dal parere dei giudici della Reale Udienza, il 13 febbraio, nel palazzo regio, il Doria era chia-mato ad esaminare le numerose richieste di mercedes.

168 Ivi, cc. 409v.-410.

Doveva però prima prendere visione di alcuni memoriali presentati dal sin-daco di Cagliari, Francesco Ravaneda, il quale denunciava una serie di iniziati-ve, promosse soprattutto dai rappresentanti del ceto militare, ritenute lesive e pregiudizievoli degli interessi generali della città: soprattutto la richiesta che per l'elezione alla carica di consigliere della città venissero insaccolati anche i nobili no heretats, cioè quelli dí titolo e non di sangue, e perché questi potesse-ro ricoprire anche altri incarichi nell'amministrazione civica. La richiesta, veni-va rimarcato, era in netto contrasto con la normativeni-va codificata, al riguardo, nei capitoli di Corte approvati a favore della città nei precedenti Parlamenti.

Lo stesso sindaco, inoltre, manifestava una robusta resistenza al progetto di liberalizzare, a favore dei mercanti forestieri, la vendita dei formaggi intro-dotti nella città dai produttori locali. Richiamando il rispetto dei capitoli di Corte, respingeva duramente, infine, la proposta presentata dal Militare e dall'Ecclesiastico della nomina di una commissione, composta da sei membri, due per Stamento, alla quale doveva essere affidato il compito di sottoporre a controllo, a scadenza triennale, l'operato degli amministratori civici.

In realtà, in un momento difficile per la feudalità, che si era accollata un onere assai pesante nell'adesione al progetto politico-militare della Unión de armar, non sostenibile col solo ricorso all'impegno della rendita signorile, lie-splodeva il conflitto, d'altra parte mai sopito, fra ceto feudale, che fa blocco con quello ecclesiastico, e ceto togato per l'accaparramento ed il controllo degli impieghi più prestigiosi all'interno dell'amministrazione civica e del-l'apparato burocratico del Regno.

Di fronte alla decisa requisitoria del Ravaneda in difesa dei privilegi della città, minacciati dalla pressione del ceto militare ed ecclesiastico, il viceré dichiarava il suo pieno impegno a fare rispettare il dettato dei capitoli di Corte e di tutti i privilegi che essa riconosceva'.

Vengono prese in esame, quindi, le numerose richieste di "grazie" sotto-poste all'attenzione del viceré da diverse persone, alle quali, poiché la chiu-sura dei lavori del Parlamento è ormai imminente, questi darà una risposta di accoglienza. A presentarle è prevalentemente gente umile e bisognosa, che per lunghi anni ha fedelmente servito il Regno, rischiando talvolta la stessa vita. Non mancano anche petizioni di protezione da parte di persone non tutelate dai ministri responsabili del rispetto delle leggi del Regno'.

169 Ivi, cc. 418-427v.

170 La vedova Marianna Mulargia, della città di Oristano, supplica il viceré perché venga reinte-grata nel possesso di un sua "terra" di 6 starelli di estensione, ereditata dal defunto suo genitore, e della quale, con prepotenza, si è impadronito, coltivandola abusivamente, un certo Ignazio Delogu (ASC, AAR, vol. 170, cc. 430444v.); Michele Sanchez, sacerdote valenzano, si rivolge invece al Doria per costringere Giovanni Maria Pintus, cavaliere della città d'Iglesias, a pagargli l'attività da lui svol-ta nel febbraio del 1641, in qualità di precettore, nella cura e nell'educazione dei figli. Infatti, nono-stante i numerosi solleciti, non ha ancora avuto la pattuita retribuzione (ivi, cc. 450-450v.).

Numerosissime inoltre sono le suppliche tese ad ottenere piccoli impieghi all'interno dell'apparato burocratico e militare del Regno'''.

Sisínnio Loddo, reale algualzilel", trovandosi in condizioni economiche disagiate ed in età avanzata, supplicava ad esempio che l'incarico di coniato-re delle monete nella zecca del Regno venisse assegnato a chi avesse sposato sua figlia. A questo proposito faceva presente di avere servito la Corona per oltre quarant'anni, partecipando a diverse spedizioni militari contro il bandi-tismo nel Capo di Sassari e Logudoro, e rischiando più volte la vita. Nel 1611, ad esempio, sotto il comando dell'Alternos don Giovanni de Mur, aveva preso parte alla spedizione militare per debellare la quadrilla di Manuzio Flore'. In quell'occasione, ricordava il Loddo, molti ladrones della banda vennero catturati, imprigionati e impiccati. Nella sola villa di Benetutti ne erano stati impiccati sette, mentre numerosi altri finirono sui patiboli eretti nelle ville di Bono e di Milis. Nel 1612, sotto il comando di don Gaspare Castelvì, aveva ancora preso parte attiva ad un'altra spedizione militare per debellare le bande che terrorizzavano il Capo di Sopra. Numerosi banditi vennero catturati, imprigionati e impiccati. Inoltre, ancora nel 1622, gli fu affidato l'incarico di svolgere le indagini per l'individuazione dei responsabi-li dell'assassinio del dottor Angelo Jagaracho'", assessore della Governazione

171 Ad esempio, Giorgio Carta, della villa di Oschiri, dí novantadue anni, avendo servito la monarchia per ventitré anni nella sorveglianza delle torri del Capo di Cagliari, trovandosi in uno stato di estrema indigenza, tanto che vive grazie al buon cuore della gente, chiede invece che gli venga assegnato un incarico di algualzile, da attribuire in seguito al suo erede, ed ora di poter-lo appaltare in modo che il ricavato gli consenta di sostentarsi per i pochi giorni di vita che gli restano. Durante il suo servizio, fa presente, ha subito numerosi furti ed aggressioni: gli è stata uccisa la moglie ed egli stesso, colpito più volte con delle pietre, ha perso i denti (ivi, c. 456).

172 L'algualzile era un ufficiale o un funzionario incaricato di eseguire un mandato, un ordi-ne o una disposizioordi-ne emanata da un organo di governo regio o feudale.

173 Per un approfondimento di questa spedizione e del fenomeno del banditismo in quel-l'area rinviamo, tra gli altri, agli studi di G. SORGIA, La Sardegna spagnola, cit., p. 143; B. ANA-TRA, La Sardegna dall'unificazione aragonese ai Savoia, cit., pp. 341-342; J. SENDRA I MOLTO, Els Comtes d'Oliva, cit.; I. BUSSA, Ordine pubblico, cit.; B. ANATRA, Banditi e ribelli, cit., e G. MUR-GIA, Banditismo e amministrazione della giustizia, cit.

174 Angelo Jagaracho studia a Pisa dove si laurea in utroque iure nel 1602. Dopo aver eserci-tato l'avvocatura viene chiamato a far parte della magistratura del Regno e in tale veste regge l'ufficio della Reale Governazione di Sassari e partecipa alle Corti celebrate dal viceré Gandía nel 1614. Muore assassinato nel 1621. Dell'assassinio verranno accusati Francesco Esgrecho e Giovanni Battista della Bronda, familiares del Sant'Uffizio. L'episodio è significativo delle ten-sioni che si erano venute determinando tra l'amministrazione regia, le oligarchie cittadine e il tribunale del Sant'Uffizio. Lo Esgrecho, uomo temuto perché potente e pericoloso, ritenuto responsabile e mandante dell'assassinio, verrà condannato a morte in contumacia per crimine di lesa maestà, con devoluzione al Fisco dei suoi beni (cfr. BUC, Allegazioni e consulti di giuri-sti sardi, vol. IV, al n. 24). Per loro due, in quanto fuggiti all'estero per evitare l'esecuzione della condanna, nel parlamento Bayona-Prieto del 1631-32 le famiglie chiedevano il perdono e il rientro dall'esilio. Cfr. A. MATTONE, La città di Sassari e la sua università, un rapporto speculare,

di Sassari. In quell'occasione numerose persone, accusate del delitto, venne-ro impiccate, tra cui Cossu Ruyo e Cossu Espano, le cui teste mozzate fuvenne-ro- furo-no esposte alle porte della città.

In questo caso il viceré, che fino ad allora aveva accolto con magnanimità e sensibilità tutte le "grazie" supplicate, poiché l'assegnazione dell'incarico di coniatore nella zecca del Regno era di spettanza sovrana, assicurava il suo impegno'.

Non mancano neppure le richieste di titoli di nobiltà, cavalierato e rico-noscimento di cittadinanza per particolari meriti acquisiti nel servire la Coro-na.

Filippo Duch, ad esempio, originario del Regno d'Inghilterra e domicilia-to da oltre 25 anni nella città di Cagliari, avanzava la richiesta per il conferi-mento del titolo di nobiltà e di cavalierato per i servizi prestati alla Corona di Spagna, in quanto, a suo dire, era costretto a vivere in condizioni economi-che non adeguate al suo prestigio. In questi anni, infatti, non solo aveva svol-to il compisvol-to di intermediario nei rapporti diplomatici con gli altri paesi stra-nieri, come la Francia, l'Inghilterra e le Fiandre, ma si era adoperato per noleggiare navi per il trasporto dei cereali e dei cavalli destinati al soccorso delle piazzeforti militari del Regno. Chiedeva inoltre che gli fosse concessa anche l'autorizzazione ad esportare annualmente, senza pagare diritti doga-nali, trecento quintali di biscotto o di altre vivande.

Giovanni Stefano Marrallano, originario della città di Genova ma ormai da otto anni residente in quella di Sassari, dove si era stabilito definitivamen-te con la sua famiglia ed i suoi nipoti, supplicava invece il rilascio della padefinitivamen-ten- paten-te di cittadinanza sarda'.

Nel primo caso il Doria rispondeva che la concessione dell'abilitazione di cittadinanza era compito delle autorità civiche, alle quali pertanto si sarebbe dovuta inoltrare la richiesta, mentre nel secondo caso si limitava a prenderne semplicemente atto.

Non mancano, comunque, anche richieste o denunce che, apparentemen-te curiose, rivestono talvolta un significato politico importanapparentemen-te, soprattutto se

in "Annali di Storia delle Università Italiane", n. 6, 2002, p. 21, e G. G. Ortu (a cura di), Il Par-lamento del viceré Carlo de Borja, cit., p. 141. Sui conflitti di competenza tra la magistratura reale e quella inquisitoriale e su questo assassinio, verificatosi alle porte di Sassari il 6 marzo 1622, cfr. E. MARTINEZ FERRANDO, Un conflitto en la Inquisición de Cerdefia durante el primo tercio del siglo XVII (1616-1618), cit., pp. 451-504; G. SORGIA, La Sardegna spagnola, cit., pp.

26-27; G. Los PUDDU, Conflitti di competenza tra la magistratura reale e quella inquisitoriale in Sardegna nel secolo XVII, cit.; A. BORROMEO, Contributo allo studio dell'Inquisizione e dei suoi rapporti con il potere episcopale nell'Italia spagnola del Cinquecento, cit., e. J. CONTRERAS, Algu-nas consideraciones sobre las relaciones de causas de Sicilia e Cerderia, cít., e R. TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, cit., pp. 361-373.

175 ASC, AAR, Parlamenti, vol 170, cc. 460-461.

176Ivi, c. 448.

inserite in un contesto come quello della società sarda del periodo, dove i rapporti sociali e cetuali risultano rigorosamente demarcati dalle gerarchie nel controllo e nell'esercizio dei diversi poteri, reale, feudale ed ecclesiasti-co', non solo a livello centrale, ma anche a livello periferico.

Può far sorridere l'istanza presentata da don Francesco de Sena, signore

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 94-98)

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