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Naturalmente, al riguardo, era opportuno adottare regole ben precise per permettere in tempi accettabili l'accertamento della produzione granaria

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 108-114)

annuale con l'obbligare il clero, alla fine del mese di ottobre dí ciascun anno, a consegnare ai luogotenenti e capitani generali del Regno le liste della rac-colta delle decime, in quanto da queste sarebbe risultato tanto il quadro del raccolto complessivo, quanto anche quello di ogni singolo produttore. Il pro-curatore reale"' a tal fine avrebbe dovuto svolgere una rigorosa vigilanza per

200 Ibidem, n. 52, cc. 679v-680.

201 Il procuratore reale era un ufficiale regio incaricato di sovrintendere e controllare tutti gli atti riguardanti il Real Patrimonio ed in particolare la riscossione delle rendite e dei diritti

evitare turbative in un mercato, come quello del grano, assai delicato: che, se mal gestito, soprattutto per quanto si riferiva al controllo della quota di pro-duzione riservata ai bisogni alimentari della popolazione e di quella destina-ta alla futura semina, avrebbe potuto provocare conseguenze difficilmente controllabili, dagli effetti imprevedibili, comunque drammatici.

Pertanto era indispensabile affidare ai procuratori compiti ed obblighi ben precisi; tra gli altri, quello di procedere alla distribuzione dei villetes de saca ai labradores soltanto dopo che il viceré o la giunta patrimoniale avesse-ro accertato l'ammontare complessivo del raccolto (e per un contingente con superiore ai 3/5) e quello di informare mediante pubblico pregone, i produt-tori che, nel caso avessero rinunciato a fruire dei villetes de saca loro spettan-ti, avrebbero potuto rivolgersi a lui, il quale avrebbe provveduto, entro due mesi, ad assegnar loro per le licenze non utilizzate la somma di 5 soldi e mezzo per ogni starello di grano.

Il sovrano, pur con qualche riserva dovuta a richieste collidenti sul piano giuridico con altre istituzioni del Regno, o con i privilegi riconosciuti singo-larmente ai tre ordini, in quanto la decretazione di capitoli a favore di uno Stamento non doveva pregiudicare gli interessi degli altri, accoglierà tutti i capitoli relativi alla produzione e alla commercializzazione del grano, fatte salve naturalmente, e prioritariamente, le esigenze annonarie del Regno.

In tema di commercio, l'Ecclesiastico ed il Militare avanzano anche la richiesta che in tutto il Regno sia liberalizzata la vendita dei formaggi', senza alcun vincolo per i mercanti forestieri, il che avrebbe prodotto effetti benefi-ci per il Regno e per l'erario203. Ad opporsi frontalmente a tale instanza sarà soprattutto la città di Oristano, direttamente minacciata nei suoi antichi pri-vilegi, confermati nei capitoli di Corte.

Per porre rimedio agli abusi che regolarmente venivano commessi dai ministri della Procurazione reale nell'esazione delle tariffe doganali sulle merci in partenza ed in arrivo nel porto di Cagliari, veniva chiesta la riconfer-ma di quelle fissate dal canonico Martin Carrillo in occasione della sua visita generale al Regno nel 1611204 .

D'ora in avanti, pertanto, le tabelle relative alle tariffe doganali sulle esportazioni e le importazioni delle merci sarebbero dovute essere pubblica-

di pertinenza della Corona e l'amministrazione della Reale Azienda. Presiedeva di diritto il Tri-bunale della Procurazíone reale ed emetteva sentenze a tutela del patrimonio regio. Su questa istituzione cfr. G. OLLA REPETTO, Gli ufficiali regi di Sardegna durante il regno di Alfonso IV, cit.; ID, Il primo Liber curiae della Procurazione Reale di Sardegna (1413-1425), Roma. 1974, e R. PUDDU, Per una storia dell'amministrazione, in B. Anatra, R. Puddu e G. Serri (a cura di), Problemi di storia della Sardegna spagnola, cit., pp. 133-180.

202 Cfr. B. ANATRA, Economia sarda e commercio mediterraneo, cit., pp. 158-165.

203 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, "Capitoli dei tre Stamenti", n. 8, cc. 642-642v.

204 Cfr. M. L. PLAISANT, Martin Carrillo, cit.

te ed esposte giornalmente, contestualmente a quelle relative ai diritti da ver-sare ai ministri addetti al controllo del traffico portuale, non solo negli uffici della Procurazione, ma anche sulla porta grande di quello della guardia regia del porto'.

Per il delicato compito ricoperto, il procuratore reale avrebbe dovuto inoltre rispondere del suo operato esclusivamente all'autorità viceregia e pre-stare garanzie precise, sottoposte al controllo e alla verifica dalla giunta sta-mentaria.

Particolare attenzione da parte dei rappresentanti stamentari viene riser-vata, come si è già ricordato, anche alla questione relativa al controllo dei tito-li, impieghi e benefici, sia civili che militari ed ecclesiastici. Ma soprattutto viene rimarcato che ai sardi, al pari degli altri sudditi dei regni della Corona spagnola, debba essere riconosciuta parità di diritto nell'assegnazione di inca-richi di prestigio anche fuori del Regno. Pertanto i sardi che si fossero distin-ti per nobiltà, virtù e letras, al pari dei cittadini del Regno d'Aragona, dove-vano essere ammessi a frequentare i collegi maggiori di Salamanca e Bolo-gna', ed essere impiegati anche nella Sacra Rota, tribunale supremo dello Stato della Chiesa. Ed ancora, a coloro che si erano segnalati per la loro costante fedeltà alla Corona, doveva essere riconosciuto il diritto di occupa-re qualunque incarico nei supoccupa-remi Consigli dell'Inquisizione d'Italia e delle Indie e nei posti di governo e nelle piazze riservate agli spagnoli in Napoli, Sicilia e Milano.

Sul piano locale, titoli, prebende, benefici di varia natura dovevano esse-re esclusivamente riservati ai naturales.

L'Ecclesiastico, ad esempio, premeva perché l'abbazia di Saccargia, il priorato di Scano (Montiferru), l'abbazia di Salvenero, i priorati di Bonarca-do, di San Lazzaro, di Sant'Antonio, di San Vincenzo e l'abbazia di San Michele di Plaiano, che ricadevano sotto il patronazgo regio, venissero asse-gnati a religiosi regnicoli.

Nello stesso modo, per venire incontro alle aspettative del clero locale veniva caldeggiata l'istituzione di due rettorie nelle diocesi di Cagliari e Ori-stano, che erano quelle territorialmente più estese, ed una nelle altre. Si sarebbero poi dovute creare anche dieci o dodici encomiendas, due intitolate

205 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, "Capitoli dei tre Stamenti", nn.15 e 16, cc. 646-646v.

206 Sulla presenza di studenti sardi nelle università italiane e spagnole cfr: A. RUNDINE, Gli studenti sardi all'Università di Salamanca, in R. TURTAS, A. RUNDINE, E. TOGNOTTT, Università, maestri; studenti. Contributi alla storia della cultura in Sardegna, Sassari, 1990, pp. 43-103; ID., Piccole università e migrazioni studentesche. Studenti sardi in università italiane e spagnole (secc.

XVI-XVIII), in G. P. Brizzi, J. Verger (a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX). Convegno internazionale di studi (Alghero, 30 ottobre-2 novembre), Soveria Mannelli, 1998, pp. 885-896.

all'ordine di San Giovanni, due a quello di Santiago (il più prestigioso), due a quello di Calatrava e quattro a quello di Montesa. Tali abiti dovevano esse-re assegnati ai sardi nati nel Regno, con esclusione tassativa di foesse-restieri e naturalizzati, e soprattutto delle donne, anche nel caso ottenessero la dispen-sa papale'.

Nell'assegnazione delle onorificenze ecclesiastiche, inoltre, doveva essere rigorosamente rispettato il criterio dell'anzianità, tenendo conto della data della professione religiosa, onde evitare incresciosi conflitti e pericolose ten-sioni tra lo stesso clero. Tenten-sioni che invece si manifestano chiaramente tra clero e Tribunale dell'Inquisizione: non a caso viene denunciato che il ceto ecclesiastico è pesantemente colpito da numerosi gravami sulle pensioni e sui benefici ad esso assegnati, a differenza dei ministri di quel Tribunale, ugual-mente religiosi20R.

I titoli di maggiorascato dovevano invece essere riservati ai figli cadetti, sforniti di altre rendite, escludendo coloro che godevano di rendite reali ed ecclesiastiche, a condizione che avessero prestato servizio in guerra, per due campagne estive, nelle galere di sua maestà. Queste commende dovevano essere individuali, non cumulabili, e potevano essere aperte a nobili di altri regni della Corona purché l'inverso valesse per i sardi. A nessuno comunque potevano essere attribuiti due benefici, seppure di poco conto. Commende e benefici avrebbero dovuto servire di stimolo alla nobiltà isolana perché si occupasse delle galere, con la garanzia, al termine del servizio, della ricom-pensa di una rendita consolidata'. Nel corso del XVII secolo gli impegni militari della Corona di esperienze di "guerra viva" ai figli cadetti della feu-dalità isolana ne permetteranno molte, soprattutto durante la Guerra dei Trent'anni, e su numerosi fronti bellici.

Gli Stamenti sollecitavano inoltre il sovrano ad intervenire per eliminare il fenomeno, definito ora "scandaloso", della compravendita e della concessione in appalto deg i impieghi pubblici, che alimentava abusi diffusi ed ingenerava sovente la loro pessima gestione, per fini esclusivamente privatistici e familiari.

Su istanza del Militare, sempre proiettato a condizionare l'amministrazio-ne civica di Cagliari da cui era regolarmente respinto, veniva presentato un capitolo diretto a che, al pari di quanto si praticava nelle altre città del Regno, i nobili che si fregiavano del titolo di don potessero essere estratti per l'ele-

207 Sui sardi insigniti di tali onorificenze in periodo spagnolo cfr. F. LODDO CANEPA, Cava-lierato e nobiltà in Sardegna, cit., e dello stesso, Nuove ricerche sul regime giuridico della nobiltà sarda, cit., e Origen del cavallerato y de la nobleza del reyno de Cerdena, cit., e A. JANVIERRE MUR, Caballeros sardos en el Orden Militar de Santiago, cit., e dello stesso, Caballeros sardos en el Orden Militar de Calatrava, cit.

208 Ibidem, n. 2, c. 640.

209 Cfr. B. ANATRA, Corona e ceti privilegiati nella Sardegna spagnola, cit., pp. 80 ss. passim.

zione alla carica di consigliere. Poiché la loro esclusione, motivata sulla base dei privilegi concessi all'amministrazione civica, faceva sì che essa fosse gesti-ta e controllagesti-ta da una ristretgesti-ta oligarchia urbana, per il buon governo della città era indispensabile che essi potessero ricoprire quegli incarichi, alla pari quindi dei militari che non godevano di tale titolo, escludendovi però i baro-ni e gli heretats.

Per il buon funzionamento delle istituzioni pubbliche, su pressione dei letrados presenti nei tre Stamenti veniva sollecitata una più rigorosa attenzio-ne attenzio-nella selezioattenzio-ne del personale responsabile.

Per evitare che atti pubblici potessero essere redatti da notai del tutto incapaci, i quali con la loro imperizia davano luogo a molti inconvenienti, veniva stabilito che gli abilitati all'esercizio della professione notarile negli ultimi dieci anni, sulla base di quanto stabilito dalle Regie prammatiche, dove-vano essere sottoposti ad un rigoroso esame sulla loro preparazione alla pre-senza del reggente la Real Cancelleria, quelli del Capo di Cagliari, e del gover-natore quelli del Capo di Sassari, con l'assistenza di due letrados, due notai ed un segretario. Gli atti notarili, per evitare che ne venissero redatti dei falsi, e per avere riconosciuta piena validità giuridica, .d'ora in avanti dovevano essere sottoscritti in calce anche dai contraenti e dai testimoni. Nel caso che questi non sapessero né leggere né scrivere (fenomeno diffuso), íl notaio avrebbe dovuto espressamente dichiararlo. I notai venivano inoltre richiama-ti al rigoroso rispetto del tariffario, fissato da un preciso capitolo di Corte, per la redazione di ogni atto, e alla conservazione e la custodia in apposito archi-vio di copia di tutti gli atti prodotti: in caso contrario sarebbero incorsi nella revoca dell'incarico'''.

Al pari dei notai, anche tutte le città del Regno dovevano essere obbliga-te a obbliga-tenere un archivio pubblico dove custodire gli atti da loro versati. Sareb-be stato compito dei consiglieri e ministri civici sorvegliare la buona conser-vazione delle carte eseguendo due visite annuali. In caso contrario gli uni sarebbero stati condannati a pagare una penale pari a 100 ducati, gli altri una pari a 25. Identico capitolo veniva presentato dalla città di Sassari21 .

Un archivio dove custodire gli atti notarili, le liste di riparto dei tributi ed altri documenti, dei quali doveva essere redatto un puntuale inventario, dove-va essere istituito anche in tutte le ville del Regno, sia reali che baronali212.

210 Sul notariato cfr. P. CANEPA, Il notariato in Sardegna, in "Studi Sardi", II (1936). Nel parlamento Bayona-Prieto del 1631-32 i capitoli di Corte che riguardano i notai sono numero-sissimi e prefigurano una vera e propria riforma dell'istituto del notariato. Cfr. al riguardo ASC, AAR, Parlamenti, vol. 168, cc. 883-884v, 886v, 887v-892v, 904, 946-946v, 977, 996-999v.

Sulla revisione delle norme che si riferiscono alla professione notarile cfr. F. DE VICO, Leyes y Pragmaticas del Reino de Sarder-la, cit., L. I, tit. 14, capp. I-XII e I, titoli 15 e 16.

211 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, "Capitoli della città di Sassari", n. 18, c. 647v.

212 Ibidem, nn. 24, 25 e 26, cc. 650-650v.

Anche per i dottori in medicina, naturali e forestieri, per l'esercizio della professione veniva intrododotta l'obbligatorietà di un anno di praticantato negli ospedali, sotto la guida del protomedico, o di altro medico da questi indicato, e dopo aver superato un esame pubblico. Avrebbero dovuto dimo-strare anche di conoscere a fondo il clima dell'isola e il temperamento degli abitanti'. Questo capitolo veniva riproposto anche dal dottor Antonio Gal-cerín, protomedico del Regno'.

Le problematiche affrontate nei capitoli presentati dai tre Stamenti singo-larmente e congiuntamente toccano ogni aspetto dell'organizzazione com-plessiva della società rurale ed urbana sarda di quel periodo. Particolare attenzione viene riservata al problema della gestione dell'amministrazione civica e della giustizia nelle ville. Problema che verrà affrontato più avanti, ma che stava alla base della precaria situazione sociale delle campagne e minava i rapporti istituzionali fra centro e periferia, con gravi ripercussioni sullo svi-luppo dell'economia e della crescita civile delle popolazioni rurali.

E non a caso particolarmente robusta e vivace, all'interno del dibattito parlamentare, emerge la voce delle città reali, le quali, pur se a livello d'inten-sità diversa, scalpitano per vedersi riconosciuta una maggiore autonomia, sia sul piano politico-istituzionale che su quello economico-commerciale, nei confronti del potere centrale, regio e viceregio. Voce pienamente recepita nei capitoli presentati.

Se Cagliari appare come una città sonnacchiosa, burocratica e saldamen-te arroccata in difesa dei suoi privilegi secolari, in quanto capitale del Regno anche se attraversata da latenti tensioni cetuali per il controllo dell'ammini-strazione civica e delle istituzioni di governo, Sassari invece, come clamoro-samente si era visto già alle prime battute dei lavori parlamentari, non riesce a mascherare l'insofferenza ad essere la seconda città del Regno e ad essere costretta a svolgere un ruolo subalterno sul piano più propriamente politico-istituzionale. Atteggiamenti ed esigenze che vengono segnati anche, per così dire, sul piano formale della consistenza numerica relativa dei capitoli pre-sentati: 18 Cagliari, ben 54 Sassari.

Se le richieste di Cagliari riguardano prevalentemente questioni contin-genti, anche se importanti, che richiamano il buon funzionamento dell'ammi-nistrazione della giustizia, il rispetto della normativa nell'elezione dei rappre-sentanti delle appenAis, la tutela dei monasteri, gli enti morali, le vedove e gli orfani, il controllo del mondo del lavoro (specie di quello artigianale riu-nito nei gremi), la vigilanza annonaria. il controllo dell'Università e la difesa dell'esclusività come sede dell'ufficio del Protomedicato e della stamperia

213 Ibidem, n. 30, c. 652v.

214 Cfr. ASC, AAR, Parlamenti, vol. 170, "Capitoli del Protomedicato", n. 3, c. 694.

reale, quelle presentate da Sassari investono direttamente i rapporti

Nel documento a cura di Giovanni Murgia (pagine 108-114)

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