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Caratteristiche interlinguistiche: le strutture aspettuali Pur appartenendo a famiglie linguistiche diverse, italiano ed inglese sono due

PROGRAMMI UNIVERSITARI IN ITALIA.

3.3. Caratteristiche interlinguistiche: le strutture aspettuali Pur appartenendo a famiglie linguistiche diverse, italiano ed inglese sono due

lingue tipologicamente vicine, sviluppatesi nell’area dell’Europa centro-occidentale (la così detta “Area di Carlo Magno”). In effetti realizzano molti tratti comuni. L’appartenenza a famiglie linguistiche diverse – l’italiano a quella delle lingue romanze, l’inglese a quella delle lingue germaniche – caratterizzano ognuna di queste due lingue per una divergenza sul piano dell’organizzazione del verbo. In italiano ogni singola forma verbale esprime contemporaneamente Modo, Tempo, Aspetto e soggetto dell’azione, per cui la caratteristica più evidente della nostra lingua, in contrasto con l’inglese, è la presenza di una ricca morfologia verbale, mentre in inglese è quasi del tutto scomparsa la nozione di Modo verbale e la morfologia dei Tempi grammaticali è ridotta al minimo, tanto che è obbligatoria l’espressione del soggetto grammaticale per determinare l’agente del predicato.

Inoltre l’inglese realizza alcune strutture temporali e/o aspettuali non attraverso la morfologia, come avviene per lo più in italiano, ma attraverso forme lessicali o perifrastiche. Il sistema verbale italiano costituisce il centro dell’espressione linguistica della nostra lingua e quindi è proprio su questo versante che l’interlingua degli studenti angloamericani presenta il maggior numero di devianze e per questo risulta maggiormente interessante per la ricerca.

L’apprendimento della morfologia verbale italiana in sé e per sé non costituisce però un punto particolarmente critico per gli studenti angloamericani: nella visione tipicamente americana dell’apprendimento linguistico, si tratta di memorizzare una serie di forme da associare ad una nozione di tempo, siano esse regolari o irregolari. I giovani adulti cui facciamo riferimento in questa ricerca non hanno problemi di memorizzazione perché, essendo studenti universitari, sono abituati a memorizzare anche elevate quantità di contenuti di studio e pertanto applicano automaticamente la stessa modalità allo studio della lingua. Inoltre la scansione temporale in base alla quale l’evento acquista un valore di contemporaneità, anteriorità o posteriorità rispetto al momento dell’enunciazione, è praticamente uguale nelle due lingue, quindi non si notano particolari difficoltà su questo versante. La situazione si complica notevolmente quando prendiamo in esame le strutture aspettuali, in particolare quelle che riguardano la dimensione temporale del passato: su questo versante, come abbiamo già notato, italiano ed inglese differiscono sensibilmente e la sola memorizzazione esplicita delle forme non è più sufficiente perché all’apprendente viene richiesto di compiere un compito cognitivo più complesso6.

In effetti su questo punto si coagula la maggior parte delle devianze riscontrabili nelle interlingue degli apprendenti angloamericani presi in esame, generalmente ritenute e liquidate dai docenti come un’interferenza dalla lingua madre. Quello che non si considera, e che invece vogliamo prendere qui in considerazione, sono altri fenomeni tipici del bilinguismo che determinano il transfer e concorrono in questo tipo di produzioni interlinguali devianti dall’uso nativo. 







6Un’altra area interlinguistica potenzialmente interessante per la ricerca riguarda l’acquisizione della Concatenazione dei Tempi (Bertinetto 1997:200-202), altrimenti detta Consecutio Temporum o Concordanza, che tuttavia prenderemo in considerazione solo marginalmente all’interno del presente lavoro. Cfr. infra il capitolo 7.

Ricordiamo che la varietà a cui gli informanti sono esposti durante il loro soggiorno in Italia è prevalentemente quella toscana fiorentina, in cui si registra ancora l’uso del Passato Remoto, seppure in regresso e cristallizzato in specifici contesti, per azioni o eventi che il parlante percepisce come distanti, anche psicologicamente, rispetto al momento dell’enunciazione. Al di là di quello che succede nella classe di lingua, la situazione sociolinguistica che abbiamo descritto nel paragrafo 1.2.3 riflette la lingua cui gli informanti considerati in questa ricerca sono esposti e da cui ricevono input nelle loro interazioni spontanee con i nativi. Se Imperfetto e Passato Prossimo sono presenti nell’input nei valori estesi tipici dell’italiano contemporaneo e descritti sopra, uno dei compiti del sistema cognitivo dell’apprendente sarà distinguere le funzioni di tali forme in determinati contesti d’uso che non sono solo quelli propriamente aspettuali.

La natura ambigua del Passato Prossimo nell’italiano contemporaneo costituisce un altro punto di criticità per l’acquisizione dell’opposizione aspettuale perfettiva. Anche gli apprendenti con un buon livello di competenza linguistica tendono a non utilizzare il Passato Semplice, di cui al massimo rivelano una competenza passiva, che si limita alla comprensione. Questo tuttavia non è imputabile esclusivamente ad una povertà dell’input, quanto piuttosto ad una presentazione didattica di questo Tempo che spesso le grammatiche pedagogiche per stranieri danno in via di definitiva estinzione o registrabile solo in alcune varietà geografiche: la scarsa presenza di tali forme nell’input implicitamente conferma questa asserzione e conduce l’apprendente a ritenere che lo sforzo cognitivo necessario per l’acquisizione e la messa in uso di queste forme sia privo di una qualche utilità strumentale. D’altronde la doppia valenza che il Passato Composto sta assumendo, anche in Toscana, costituisce già di per sé un compito cognitivo complesso poiché in questo caso l’apprendente è chiamato a distinguere due significati aspettuali nella stessa forma grammaticale. Nel suo complesso tuttavia il Passato Composto è cognitivamente meno complesso sia rispetto al Passato Semplice che all’Imperfetto grazie alla sua salienza nell’input, anche se indubbiamente riveste per gli apprendenti angloamericani una complessità nella sua costruzione. Nella formazione del Passato Prossimo lo studente deve infatti gestire prima di tutto i criteri di selezione dell’ausiliare, non sempre trasparenti, e in secondo luogo i

possibili participi irregolari. Da un punto di vista morfologico, l’Imperfetto rappresenta indubbiamente per l’apprendente un minimo carico mnemonico, il che è evidentemente compensato dal maggior impegno cognitivo, soprattutto nei contesti in cui questo Tempo è in contrasto con il Passato perfettivo, che nell’uso reale sono ovviamente prominenti. Quando gli apprendenti arrivano nella sede fiorentina della loro università, le strutture aspettuali del passato sono già state trattate in sede glottodidattica circa a metà del percorso di studio della lingua precedentemente condotto in patria; nella ripresa di tali contenuti linguistici non si nota nessuna incertezza morfologica o metalinguistica: gli studenti sono perfettamente in grado di coniugare i verbi e descrivere i meccanismi d’uso sia del Passato Composto che dell’Imperfetto; qualche incertezza si osserva se mai in merito al Passato Semplice, proprio per i motivi che abbiamo indicato poco sopra. Le maggiori difficoltà sono quindi rilevabili proprio nella gestione creativa ed autonoma delle strutture aspettuali del passato, che evidentemente è un livello superiore di competenza d’uso della lingua.

Abbiamo visto che secondo la Aspect Hypothesis (Gass, Selinker 2008) le proprietà azionali del verbo in una fase iniziale guidano l’acquisizione delle strutture aspettuali per cui i predicati telici che esprimono azioni o eventi che tendono ad un fine o a uno scopo e prevedono quindi una rappresentazione compiuta della scena attraggono l’aspetto perfettivo, mentre i predicati atelici e dinamici sono associati all’aspetto imperfettivo. Solo in una fase successiva e più avanzata dell’acquisizione, l’aspetto verbale viene selezionato tenendo conto delle proprietà contestuali. Le ricerche sull’acquisizione dell’italiano L2, sia in ambiente spontaneo che guidato, sembrano confermare questa ipotesi (Rosi 2007). Le associazioni aspettuali prototipiche determinate dalle proprietà azionali del verbo, vengono quindi superate quando l’apprendente è in grado di gestire le informazioni derivanti dal contesto testuale che comprendono livelli che si intersecano con la categoria azionale, come per esempio alcune espressioni di tempo.

Gli studi sull’acquisizione spontanea dell’italiano L2 segnalano che la funzione aspettuale nel Passato è acquisita prima della funzione temporale: nel secondo stadio dell’evoluzione dell’ interlingua, si registra l’uso di una forma prototipica di Passato compiuto rappresentata dal Participio Passato del verbo in

opposizione a una forma di presente polivalente utilizzato con significato imperfettivo in contesti che investono la dimensione temporale del passato. In altre parole, in assenza di mezzi linguistici più adeguati, l’apprendente usa – “adatta”, potremmo dire – le forme basiche consolidate secondo le esigenze comunicative, affidandosi per l’interpretazione dell’interlocutore, al contesto linguistico ed extralinguistico in cui tali forme sono inserite (Banfi, Bernini 2003).

Quest’ultimo punto in realtà sembra mettere in luce una questione fondamentale connessa alla selezione dell’aspetto verbale nel Passato italiano. I Tempi verbali passati in italiano combinano tratti aspettuali e tratti temporali ed è questa caratteristica che rende problematica l’acquisizione delle proprietà aspettuali nella dimensione del Passato in quanto rappresenta un processo cognitivamente complesso per l’apprendente angloamericano. Il punto fondamentale non riguarda però l’acquisizione dell’aspetto, quanto piuttosto la doppia valenza aspettuale e temporale delle forme verbali dei tempi passati.

Nonostante riconosciamo che «vi siamo più modi di guardare al significato» (Baldi, Savoia 2009:92) in questo caso ci sembra più corretto ritenere, in linea con la prospettiva mentalista, che il significato veicolato dalla lingua corrisponda ad un pensiero o concetto nella mente del parlante. Nella mente degli apprendenti di una qualunque lingua seconda o straniera il concetto di azione passata compiuta/incompiuta esiste già, non fosse altro perché sono in grado di realizzarlo nella lingua madre (Concept-oriented Approach Gass, Selinker 2008:212). Abbiamo visto che in inglese il carattere di perfettività o imperfettività delle azioni passate è espresso attraverso forme verbali diverse da quelle normalmente utilizzate in italiano, ma è un concetto che esiste e che è veicolabile in questa lingua. Di conseguenza, in quest’ottica, se gli apprendenti impiegano forme aspettuali prototipiche e polivalenti del tipo che abbiamo descritto poco sopra, dimostrano l’adeguamento dei loro mezzi interlinguistici all’esigenza della codifica in una lingua non materna di un concetto già presente nel loro sistema cognitivo e linguistico. L’aspetto è presente nella mente dell’apprendente come possibile visione della realtà prima dell’esposizione a una qualsiasi L2, compreso l’italiano. L’associazione delle proprietà aspettuali sull’asse del passato con specifiche costruzioni morfosintattiche caratteristiche dell’italiano riguarda piuttosto, in ultima analisi, una mancata

coordinazione di informazioni fra semantica e morfosintassi e infine fra sintassi e pragmatica, che è uno dei fenomeni legati al bilinguismo determinato dall’influenza della prima lingua sulla seconda (Guasti 2007:258:261). In sintesi gli apprendenti non hanno ancora associato correttamente determinate forme verbali ai significati ad esse sottesi e al loro uso in specifici contesti testuali.

All’interno dell’enunciato la proprietà azionale dei verbi telici e atelici può essere neutralizzata da indicatori di tempo espressi o sottintesi che rendono l’enunciato interpretabile e percepito come “corretto” da un parlante nativo, grazie al contesto testuale in cui si svolge l’atto linguistico. Questo accade in virtù del fatto che nel contesto rientrano elementi extralinguistici (situazione e ruoli dei parlanti, e rappresentazione che il parlante si crea nella mente, conoscenze enciclopediche degli interlocutori) che rendono la forma linguistica interpretabile in maniera univoca o quasi, per cui l’attribuzione di significato ad una certa stringa linguistica deriva da operazioni cognitive, coestensive del pensiero che includono fattori extralinguistici (Baldi, Savoia 2009:120). La grammatica dell’italiano regola l’impiego di una forma verbale passata perfettiva o imperfettiva in un certo contesto, ma il suo uso dipende da vincoli pragmatici che riguardano la modalità di espressione del pensiero umano attraverso la lingua italiana. Se gli informanti presi qui in esame non “sanno usare l’opposizione Perfetto-Imperfetto in italiano” – come si sente dire spesso, forse anche semplicisticamente, dagli insegnanti – in sintesi dipende da fattori che si collocano sulle interfacce fra semantica, morfosintassi e pragmatica.

Concludendo questa breve disanima ci sembra lecito affermare che in ultima analisi le problematiche messe in evidenza in questo paragrafo debbano necessariamente investire la gestione della testualità, all’interno della quale si realizzano pienamente le coordinate contestuali necessarie all’esercizio e allo sviluppo della competenza linguistica. Il testo può infatti essere considerato l’unità di articolazione linguistica superiore, segmentabile in una serie di enunciati, ossia di testemi. Secondo Massimo Arcangeli (2007:13), in effetti,

«Se l’enunciato è un “testema”, in quanto tale passibile di essere collegato ad altri testemi ai fini della generazione di un testo, è allora una successione regolata di enunciati a fondare preliminarmente un testo; in modo analogo, su un piano diverso, è una successione regolata di morfemi a fondare preliminarmente una parola.»

Rivolgendo la nostra attenzione alla testualità, osserviamo subito, in una prima approssimazione, che il testo narrativo è il contesto linguistico-comunicativo privilegiato in cui si realizzano le strutture aspettuali del passato. Ricordiamo che i testi narrativi si basano sulla “concezione del tempo e del suo svolgersi” (Lavinio 2010) che si traduce in termini pragmatici prevalentemente nella gestione di meccanismi di connessione testuale e di specifiche forme morfosintattiche. Nel caso dell’italiano questo significa che un percorso didattico di tipo narrativo condurrà gli studenti a confrontarsi con l’impiego di forme verbali come l’alternanza dei tempi perfettivi e imperfettivi del passato, oltre ai meccanismi della coordinazione (sia paratattica che tramite connettivi) e della subordinazione.

L’apprendimento eccessivamente guidato, spesso basato su frasi decontestualizzate, costantemente mediato dalla L1 e privo di scambi creativi in L2, cui questi apprendenti sono solitamente abituati in patria, può determinare una scarsa competenza testuale. Gli apprendenti in sostanza sembra non sappiano darsi una rappresentazione di come la realtà può essere codificata nella L2 perché non usano l’italiano come strumento di pensiero e non hanno sufficienti mezzi linguistici in L2 per codificare e decodificare il pensiero in un testo, scritto o orale che sia.

Per verificare queste ipotesi dovremo adesso analizzare il valore intrinseco della narrazione in termini di acquisizione linguistica e se questo possa essere riversato in un processo semiguidato di acquisizione dell’italiano L2, soprattutto per quanto pertiene alla gestione delle strutture aspettuali del passato, che nella narrazione trovano il loro naturale contesto d’uso.

3.4. La gestione del testo: la specificità del testo narrativo.