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L’ACQUISIZIONE LINGUISTICA: L1 E L2.

2.2. Neurolinguistica e neuropsicologia dell’acquisizione linguistica.

2.2.1. Il cervello bilingue.

Allo stato attuale della ricerca delle scienze del linguaggio, un contributo fondamentale è stato dato in anni relativamente recenti dalle neuroscienze (neuropsicologia del linguaggio e neurolinguistica). Negli anni ’90 dello scorso secolo Arturo Tosi (1995), in un suo noto saggio, asseriva che per provare in maniera incontrovertibile l’esistenza di un meccanismo di acquisizione linguistica innato nella specie umana e localizzabile nel nostro cervello, sarebbe stato necessario aprire “la scatola nera” (ossia la cassa cranica contenente il cervello) e poter indagare il dispositivo di funzionamento linguistico dall’interno; ebbene gli attuali avanzamenti tecnologici di indagine sul sistema neurologico umano hanno permesso di evidenziare alcuni importanti riscontri riguardanti lo sviluppo della competenza linguistica sia in soggetti monolingui che bilingui o multilingui.

Partendo dallo studio delle afasie (termine generale con cui si indicano i disturbi del linguaggio conseguenti a una lesione cerebrale), la neurolinguistica ha verificato che l’emisfero cerebrale sinistro è la sede privilegiata del linguaggio, come già indicato da Broca nel diciannovesimo secolo, ma ha anche messo in luce il coinvolgimento dell’emisfero destro, seppure in maniera ancora approssimativa, nel processo di elaborazione linguistica. In sostanza sembra che fonologia e sintassi siano localizzate nell’emisfero sinistro e che ci sia invece una complessa collaborazione fra i due emisferi soprattutto per quanto pertiene all’elaborazione semantica, mentre il livello emotivo e pragmatico della lingua rientrano nella specializzazione dell’emisfero destro. Inoltre, qualora nella prima infanzia l’emisfero

sinistro subisca delle lesioni tali da comprometterne la funzionalità, l’emisfero destro sembra in grado di vicariarne in larga parte le funzioni, il che non risulta più possibile in età adulta. Bambini a cui sia stato asportato l’emisfero sinistro, hanno comunque sviluppato il linguaggio, anche se mostravano poi una certa difficoltà a comprendere e produrre strutture complesse (come le frasi passive). Questo può essere spiegabile prendendo in esame le differenze strutturali dei due emisferi: la specializzazione dei due emisferi che si compie dopo la nascita, nel primo periodo di vita, è determinata su base anatomica e fa sì che l’emisfero destro sia più efficiente nell’elaborazione configurale degli stimoli (come l’elaborazione visuo-percettiva e visuo-spaziale) mentre il sinistro gestisce l’elaborazione analitica e di dettaglio, basilari nello sviluppo delle funzioni linguistiche. (Fabbro 2004; Urgesi 2008).

Studiando poi le afasie manifestatesi in soggetti bilingui, in una prospettiva di potenziale recupero, anche parziale, della competenza linguistica in una o in entrambe le lingue padroneggiate dal soggetto prima dell’evento acuto, la neurolinguistica, attraverso studi clinici e di laboratorio, ha dimostrato che L1 e L2 sono localizzate nel cervello di uno stesso individuo in circuiti neurali diversi, ma pur sempre all’interno dei sistemi neurali preposti all’elaborazione di L1. In pratica questi studi hanno chiarito che esiste un’unica area del cervello in cui sono rappresentate seppure in misura variabile le lingue conosciute dal soggetto. La variabilità di rappresentazione corticale delle lingue conosciute da un poliglotta può essere anche molto elevata, il che sembra essere in rapporto con diversi fattori, che schematizziamo di seguito (Urgesi 2008; Marini 2009):

a. età di acquisizione delle lingue oltre la prima: più precoce sarà l’acquisizione di una seconda (o terza, quarta lingua, nei casi più fortunati) più quest’ultima condividerà con la prima la stessa area del cervello. Le varie lingue conosciute dal soggetto, a livello cerebrale presentano comunque una parte condivisa e una parte dedicata rispetto all’acquisizione della prima lingua, per cui si può concludere che l’acquisizione di una lingua 2, 3, 4 sfrutta sempre le parti precedenti di L1 (Fabbro 2004; Aglioti-Fabbro 2006; Urgesi 2008; Marini 2009).

L’età di acquisizione è un fattore di importanza cruciale da mettere in relazione con l’ipotesi del periodo sensibile. A questo proposito gli studi di

neurolinguistica individuano tre tipologie di bilinguismo, identificabili principalmente sulla base dell’età di acquisizione della seconda lingua rispetto alla prima. Nei bilingui simultanei, che hanno appreso le due lingue contemporaneamente prima degli otto anni, L1 e L2 tendono ad avere la stessa rappresentazione neuronale e i soggetti mostrano uno stesso grado di proficiency nelle due lingue; i bilingui precoci, che invece hanno acquisito le due lingue prima degli otto anni ma in tempi diversi e in successione (L1-L2), padroneggiano adeguatamente le due lingue, sebbene sia rilevabile una diversa rappresentazione cerebrale delle stesse (più ampia per L2); i bilingui tardivi che imparano la seconda lingua dopo i dodici anni, sviluppano una competenza linguistica in L2 che denota vari tipi e gradi di fossilizzazione sia a livello morfosintattico che, soprattutto, fonologico, oltre a presentare una rappresentazione neurale più estesa per la L2. Va chiarito a questo punto che la minore o maggiore rappresentazione neurale di una lingua implica l’impiego di un proporzionale dispendio di energia per l’attivazione di una data area cerebrale: più è estesa la rappresentazione cerebrale di una lingua e più energia sarà necessaria per la sua attivazione, provocando quindi un maggiore affaticamento nel soggetto. Dal punto di vista della neurolinguistica, nella competenza d’uso di una seconda lingua giocano poi un ruolo determinante la frequenza di utilizzo e la recenza (recency), ossia l’intervallo di tempo fra le attivazioni della lingua: una maggiore frequenza di utilizzo ad intervalli di tempo ravvicinati comporta via via un minor dispendio di energia a livello neurale e automatizza il processo di elaborazione linguistica (Daloiso 2010);

b. modalità di acquisizione e/o apprendimento (formale o spontanea). Ritorna qui la distinzione fra apprendimento guidato e acquisizione spontanea che abbiamo citato in un precedente paragrafo: il solo apprendimento formale di una lingua non produce acquisizione, mentre l’acquisizione spontanea, sebbene si caratterizzi come un processo lungo e soggetto ad aggiustamenti successivi, produce una conoscenza implicita e permanente nel soggetto (Krashen 1981). A livello neurale, due lingue apprese rispettivamente in un ambiente di acquisizione spontanea e di apprendimento guidato tendono ad avere rappresentazioni diverse e a coinvolgere diversi sistemi di memoria (di cui parleremo approfonditamente nel paragrafo seguente).

L’acquisizione spontanea di una L2 sfrutta maggiormente i sistemi della memoria implicita ed è rappresentata, seppure in misura variabile, anche nelle stesse strutture cerebrali in cui è rappresentata la lingua madre;

c. caratteristiche tipologiche delle lingue apprese. Lingue tipologicamente vicine richiedono un minor sforzo cognitivo poiché possono condividere strutture ai diversi livelli di articolazione del linguaggio che sono implicitamente trasferibili – o meglio: sovraestendibili - dalla L1 alla L2. È il caso, per esempio, della scansione temporale in italiano e in inglese, due lingue tipologicamente vicine, come abbiamo visto nell’analisi condotta nel paragrafo 1.2.2;

d. grado di esposizione alle lingue conosciute. Il maggior grado di esposizione alla lingua si concretizza in un input più ampio e costante, il che significa che il cervello del soggetto dispone di una maggiore ricchezza di dati in ingresso su cui basare i processi di elaborazione linguistica. Questo si ricollega anche alla frequenza di attivazione linguistica e alla recenza nella misura in cui esposizione significa anche interazione con l’ambiente che offre l’input. Un alto grado di esposizione alla lingua favorisce quindi l’elaborazione e la memorizzazione implicita del materiale linguistico in strutture preposte alla sistematizzazione del linguaggio.

La conclusione più affascinante di tali studi conduce a ritenere che nei soggetti bilingui o multilingui l’organizzazione strutturale del cervello dipenda dalla proficiency in L2, e questa è a sua volta in larga parte determinata dall’età e dalla modalità di acquisizione delle lingue conosciute. L’acquisizione delle lingue e il grado di competenza in ognuna di esse può modificare l’organizzazione cerebrale in quanto queste lingue possono subire diversi gradi di rappresentazione all’interno dell’area dedicata all’elaborazione del linguaggio. Dopo il “periodo sensibile”, sarà molto più impegnativo arrivare ad un livello di competenza in una L2 che non mostri incertezze e deviazioni, anche minime, sia a livello fonologico (il così detto “accento straniero”), che a livello morfosintattico.

Cosimo Urgesi (2008:51), un ricercatore clinico, conclude la sua analisi sulla Neuropsicologia dell’apprendimento della seconda lingua dichiarando che “se c’è qualcosa di veramente innato e congenito nell’organizzazione cerebrale è la sua

apertura a farsi guidare nello sviluppo dagli stimoli esterni”, ma a nostro avviso la neurolinguistica sembra confermare con studi clinici alcuni dei principi fondamentali della linguistica generativa.