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L’ACQUISIZIONE LINGUISTICA: L1 E L2.

2.1. La Grammatica Universale (GU).

2.1.4. Grammatica Universale e acquisizione di L2.

Quando un bambino acquisisce la lingua o più lingue simultaneamente, lo sviluppo del linguaggio è correlato allo sviluppo di altre facoltà cognitive (come la percezione) e fisiche (il controllo della muscolatura), è scandito in fasi di elaborazione dell’input che tendono verso il linguaggio adulto e sono rintracciabili generalmente in tutti gli individui normodotati. La GU, come abbiamo visto, presiede all’organizzazione di un’architettura mentale in cui le varie facoltà umane hanno una struttura interna di tipo modulare; ogni modulo interagisce con altri moduli della stessa struttura e/o di altre strutture attraverso interfacce. Questo funzionamento reticolare della mente in cui la lingua è uno dei sistemi di conoscenza e di indagine di sé e del mondo circostante, si costruisce nel suo complesso come una serie di processi paralleli e al tempo stesso interrelati nel bambino.

Ben diverso è il caso di una lingua acquisita e/o appresa (in questa sede la differenza fra i due termini è minima) oltre il periodo sensibile, quando l’individuo ha già sviluppato tutte le proprie facoltà in relazione alla L1. La lingua madre rappresenta già uno strumento piuttosto affinato di cognizione ed espressione personale; il sistema concettuale ha individuato nella L1 le forme della propria manifestazione. Come vedremo in un prossimo paragrafo, inoltre, il cervello ha ormai perso la sua plasticità e reagisce in maniera più rigida agli stimoli esterni.

Chi impara una seconda lingua, particolarmente in età adulta, non è più una tabula rasa come il bambino appena nato, ma un individuo con un bagaglio di esperienze e di conoscenze forse ancora in fieri, ma in larga parte già stabilizzate. In queste condizioni è ipotizzabile un accesso alla GU? O dobbiamo ritenere che una volta compiuto il suo compito relativamente alla L1, questa dotazione biologica sia

persa per sempre? A nostro avviso esistono prove empiriche che la GU come facoltà di elaborare il linguaggio è, almeno fino a un certo punto, una proprietà permanente della specie umana e può essere riattivata qualora il nostro cervello ne percepisca la necessità.

In una prima approssimazione diremo che la Grammatica Universale, come meccanismo di acquisizione linguistica geneticamente determinato nell’essere umano, può subire una sorta di atrofizzazione una volta completata l’acquisizione della lingua o delle lingue a cui il bambino è esposto nell’infanzia, ma non si perde mai completamente nel corso della vita, nonostante le limitazioni implicite nel concetto di periodo critico o sensibile; anzi a nostro avviso “I principi e le proprietà fissati dalla facoltà di linguaggio (Grammatica Universale) […] forniscono la base dell’acquisizione tardiva di L2.” (Baldi, Savoia 2009:8).

Questa ipotesi è corroborata dal confronto di alcuni fenomeni riguardanti l’acquisizione della prima lingua con altri rintracciabili nel processo di apprendimento/acquisizione di una seconda lingua.

Abbiamo parlato poco sopra dei casi di deprivazione linguistica subita da alcuni soggetti che nel primo periodo della loro vita sono vissuti in stato di segregazione e come sia impossibile per questi individui recuperare completamente la facoltà del linguaggio una volta reinseriti in un contesto sociale, qualora questo avvenga dopo il periodo critico. In letteratura è noto anche un altro caso, in un certo senso complementare a questi appena descritti, che riguarda l’apprendimento della lingua dei segni dei sordomuti americani da parte di un bambino di sette anni (conosciuto con il nome fittizio di “Simon”), esposto ad un input impoverito. Sia nell’ambiente familiare che in quello scolastico, Simon interagiva con persone che non essendo segnanti nativi di ASL (American Sign Language) facevano molti errori morfologici, o comunicavano con lui attraverso il sistema della Comunicazione totale, che abbina simultaneamente un codice manuale all’inglese parlato. Da notare che il codice manuale non conteneva elementi morfologici dell’ASL. Nonostante questa situazione di scarsità dell’input, il bambino era riuscito a sviluppare una competenza come segnante di ASL ben al di sopra di quella degli adulti da cui riceveva l’input, il che dimostra che all’interno del periodo critico, il linguaggio è irreprimibile e che questa necessità biologica guida l’apprendimento di qualunque

codice linguistico, anche in una condizioni di criticità come quella appena descritta. (Guasti 2007: 39-40).

I casi di deprivazione linguistica dimostrano che oltre il periodo critico l’accesso alla Grammatica Universale non è più garantito per l’acquisizione di L1; tuttavia gli individui precedentemente deprivati sviluppano, anche nelle condizioni più favorevoli, una competenza d’uso della lingua ben al di sotto di quella dei coetanei che imparano una lingua seconda oltre il periodo sensibile, ma dopo aver acquisito la prima in una situazione canonica. D’altra parte, un apprendente tardivo di L2 molto difficilmente potrà avvicinarsi in un arco di tempo relativamente breve ai risultati ottenuti da Simon, anche se fosse esposto ad un input non impoverito. Queste osservazioni ci portano a concludere che una volta adeguatamente stimolata per l’acquisizione della prima lingua, la facoltà del linguaggio si stabilizza come una proprietà della mente/cervello dell’individuo, anche se perde parte della sua elasticità. Inoltre si è più volte rilevato in sede di pratica didattica come gli apprendenti che hanno già acquisito o appreso altre lingue oltre la prima dimostrino una certa vivacità nell’apprendimento di una nuova lingua. A nostro parere questa osservazione dimostra che in questi individui l’accesso alla GU rimane maggiormente costante e aperto all’elaborazione linguistica, risultando in una maggiore velocità di acquisizione. Come ogni altra abilità della specie umana, anche la facoltà di sviluppare il linguaggio ha bisogno di essere sollecitata continuamente, se non si vuole che subisca una sorta di archiviazione, poiché percepita come inutile e superata dal nostro sistema cognitivo.

Se poi rivolgiamo la nostra attenzione agli studi sull’interlingua degli apprendenti di italiano L2 e li compariamo con quelli sulle fasi evolutive della prima lingua, notiamo che ci sono alcuni interessanti punti di contatto. Gli studi di linguistica acquisizionale condotti all’interno del Progetto di Pavia hanno dimostrato che gli apprendenti di italiano L2 seguono uno sviluppo interlinguistico connotato da stadi implicazionali per cui lo stadio successivo è possibile grazie al superamento dello stadio precedente. Le devianze rispetto all’uso nativo prodotte dagli apprendenti nello sviluppo delle loro interlingue richiamano in diversi casi le approssimazioni tipiche del linguaggio infantile. È questo il caso, per esempio,

dell’uso del Participio Passato dei verbi come forma prototipica di Passato Composto o della sovraestensione dell’uso del presente.

Questi dati confermano anche il ruolo diminuito da attribuire alla lingua madre nel processo di acquisizione o apprendimento di una seconda lingua. Si tratta del fenomeno del transfer, sia positivo che negativo, che per molti anni è stato ritenuto responsabile della maggior parte degli errori prodotti dagli apprendenti: là dove la struttura della L1 si discosta più sensibilmente da quella della L2, sarà riscontrabile la maggior parte degli errori degli apprendenti, naturalmente portati a trasferire nella L2 la struttura della L1. Se lo sviluppo dell’interlingua di una variegata comunità linguistica di apprendenti di italiano L2 (come quella che è stata studiata dal Progetto di Pavia) è scandito dalle stesse fasi di sviluppo, ne consegue che l’influenza della lingua madre su questo processo di progressivo avvicinamento alla lingua target deve essere scarso o in alcuni casi addirittura nullo. Le devianze prodotte dall’apprendente che in qualche modo rimandano al sistema linguistico della sua L1 sono piuttosto indice di contatto linguistico fra due sistemi – quello della lingua madre e quello della seconda lingua – che nella mente del parlante non si sono ancora differenziati e separati completamente come due diversi strumenti di cognizione ed espressione; in questo senso il ricorso alle strutture della lingua madre può essere interpretato come un fenomeno di ipergeneralizzazione (soprattutto riscontrabile quando le due lingue sono simili) o di sosvraestensione (e potrebbe essere questo il caso della strutture aspettuali del passato) di alcune norme di funzionamento della L1 nel sistema della L2.

L’analisi delle devianze interlinguistiche conferma anche che l’apprendente costruisce, facendo appello al proprio sistema cognitivo, una propria grammatica della L2 con criteri di sistematicità, processo per il quale ha bisogno di essere esposto ad un input ricco e comprensibile da poter processare: con i dovuti distinguo, più o meno come il bambino che acquisisce la lingua madre.

Concludendo riteniamo più plausibile un’ipotesi maturazionale della GU le cui proprietà principali si sviluppano e operano pienamente nel periodo di acquisizione della lingua madre, ma che una volta elaborata, rimane come capacità linguistica generale della nostra mente/cervello e si riattiva tutte le volte che si ripresenta il compito di apprendere una nuova lingua. Come afferma Brandi,

«[…] certi principi di grammatica universale, che sono maturati nel crescere insieme alla grammatica specifica della nostra lingua nativa, agiscono anche sull’apprendimento di una L2; costituiscono come una dotazione che noi abbiamo a disposizione e che rimettiamo in atto ogni qual volta riapriamo il processo di apprendimento di una lingua. Da ciò segue, evidentemente, una maggiore capacità di distacco, di non contaminazione, fra la grammatica che noi già possediamo e la grammatica di L2 che dobbiamo sviluppare, perché sono a disposizione non solo la grammatica specifica di L1 ma anche i principi universali che sono maturati insieme alla grammatica specifica di L1, e che quindi guidano anche l’apprendimento di L2.» (Brandi 2010:4).

2.1.5. Acquisizione (spontanea) e apprendimento (guidato) di

L2.

Si impara veramente una lingua quando si dimentica di impararla: non si produce acquisizione linguistica permanente se l’attenzione dell’apprendente è concentrata sulle forme da memorizzare o usare. Perché si generi acquisizione è necessario focalizzarsi sul compito che si sta svolgendo, per portare a termine il quale ci si serve spontaneamente della lingua (Krashen 1981).

Per decenni la lingua è stata dissezionata e parcellizzata in contenuti da presentare, memorizzare e riutilizzare al pari di ogni altra materia di studio - la matematica o la storia, per esempio. In realtà studi recenti (Balboni, 2002: 33-34) hanno evidenziato che la lingua viene appresa naturalmente – nella sua interezza – quando l’attenzione è focalizzata sull’attività e non sullo strumento.

Inoltre, e questo è particolarmente palese in un contesto di acquisizione spontanea della lingua, l’input a cui l’apprendente è esposto non è sempre di per sé graduato. In una situazione di immersione linguistica l’ambiente linguistico è costituito dall’intera comunità dei parlanti nativi con cui il soggetto si troverà a dover interagire quotidianamente, in molti casi per questioni legate alla propria sopravvivenza. Il caso degli immigrati ne è un esempio evidente e si commenta da solo.

Converrà ricordare che la situazione didattica a cui ci riferiamo in questo studio riguarda apprendenti giovani adulti residenti in Italia per periodi di media

lunghezza (da tre a sei mesi), inseriti in istituzioni educative dove, fra le altre materie, studiano anche la lingua italiana. In tale contesto, per quanto l’insegnante si sforzi di attenersi al sillabo stabilito a priori, gli apprendenti sono sottoposti almeno ad un doppio input: quello che riceveranno in classe nelle fasi di lavoro preparate dal docente e nelle comunicazioni didattiche spontanee in lingua seconda, oltre a quello fuori dalla classe, quando dovranno confrontarsi con la comunità dei parlanti nativi, che sarà ben poco graduato, al massimo contenuto entro i limiti delle strategie di accomodamento linguistico messe in atto da un parlante nativo qualora interagisca con un non nativo.

In una tale condizione linguistica, stando agli studi di linguistica generativa, è indirettamente l’individuo stesso, il suo cervello, con il suo meccanismo di acquisizione linguistica innato e inconscio, che gradua inconsapevolmente l’input e quindi trattiene, immagazzina nella memoria e riusa la lingua seguendo un processo incrementale a spirale.

Gli studi di linguistica acquisizionale hanno poi dimostrato che la suddivisione degli argomenti grammaticali tipica della tradizione didattica è non solo arbitraria, ma in molti casi addirittura incoerente con i reali contenuti linguistici acquisiti in contesto spontaneo (Giacalone Ramat 2003). Lo stesso vale, con le ovvie differenze, per l’acquisizione della lingua madre: i genitori parlano con il bambino naturalmente, senza preoccuparsi di graduare i contenuti. Certo, usano una lingua adattata al mondo e alla personalità del bambino e dunque si limitano spesso all’hic et nunc, caricano di affettività il loro sguardo, il loro tono e i loro gesti, si riferiscono a temi inerenti al mondo esperienziale del loro piccolo. In ultima analisi seguono istintivamente il “principio del bilinguismo” secondo il quale «nel buon rapporto comunicativo il parlante imposta e aggiusta la propria produzione linguistica su ciò che lui ritiene sia la capacità di comprendere del suo interlocutore.» (Taeschner, Pirchio, Rinaldi 2009:72).

Affinché l’apprendimento di una seconda lingua sia il più possibile una conoscenza permanente per il soggetto, si devono allora proporre attività che presentino la lingua nella sua completezza e che focalizzino l’attenzione dell’apprendente sul fare con la lingua, piuttosto che sul fare lingua. Come vedremo nel prossimo paragrafo, è inoltre di cruciale importanza che queste attività

linguistiche siano emotivamente e positivamente coinvolgenti per gli apprendenti e che costituiscano esperienze linguistiche effettive, in grado di attivare la memoria dichiarativa e di favorire in seguito il passaggio delle informazioni in quella implicita.

2.2. Neurolinguistica e neuropsicologia dell’acquisizione