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LINGUA E NARRAZIONE.

4.5. Ricadute glottodidattiche.

4.5.2. Percorso didattico narrativo in italiano L2.

Abbiamo poi rivolto la nostra attenzione alle ricadute didattico-pratiche evocate dagli studi di linguistica acquisizionale che abbiamo preso in esame nel paragrafo 1.3.2. In particolare, Maria Giuseppina Lo Duca, in un suo saggio del 2003, delinea un intervento didattico costruito sul “Narrare in italiano L2” (Lo Duca 2003:256-270) scandito in tre stadi o livelli di apprendimento, sulla scorta delle indicazioni provenienti appunto dalla linguistica acquisizionale.

Come è noto, la linguistica acquisizionale si occupa dell’acquisizione spontanea delle lingue, quindi Lo Duca tenta, a nostro parere con successo, di mediare fra i risultati emersi in questo campo e le esigenze dell’apprendimento guidato in un’istituzione scolastica, mettendone in luce i punti maggiormente significativi per gli insegnanti, ma anche quelli potenzialmente più problematici.

Richiamiamo qui la sequenza acquisizionale del sistema verbale italiano discussa nel saggio di Banfi e Bernini (2003:70-115), di cui abbiamo reso conto nel paragrafo 1.3.2. e che risulta adesso particolarmente significativa in quanto mette in

evidenza il fatto che alcuni dei tempi verbali maggiormente funzionali all’organizzazione narrativa (Presente, Passato Prossimo e Imperfetto) vengono appresi nella prima metà del processo acquisizionale del sistema verbale dell’italiano L2. Come abbiamo visto nel corso del Capitolo 1, il passaggio dalla comparsa di forme basiche di Passato Prossimo, in cui la temporalità “passato” e l’aspetto “compiuto” sono espressi attraverso il solo Participio Passato, ad una completa competenza d’uso di tali forme si manifesta però più tardi, contemporaneamente ad una prima acquisizione di altre forme. Lo stesso vale per l’Imperfetto: alcune forme, cui probabilmente gli apprendenti sono maggiormente esposti, compaiono abbastanza presto, subito dopo il Passato Prossimo nella sua forma basica, con funzione di sfondo in narrazioni al passato.

In merito allo sviluppo della sintassi, il percorso seguito dagli apprendenti spontanei può essere così riassunto schematicamente (Andorno, Bernini, Giacalone Ramat, Valentini 2003:159-161):

- giustapposizione di frasi e coordinazione paratattica, tipiche degli apprendenti basici;

- coordinazione sindetica e prime forme di subordinazione, riscontrabili in apprendenti postbasici;

- coordinazione e subordinazione, con avvicinamento all’uso nativo, nei livelli più avanzati.

Anche l’acquisizione dei connettivi segue un ordine di comparsa ben preciso nell’apprendimento spontaneo della lingua, che riportiamo nello schema sotto, mutuato da Chini, Ferraris, Valentini, Businaro (2003:203):

- O, e, ma, poi, perché, anche (in funzione connettiva) - Quando, se (ipotetico), però, (per+infinito), come - Che (relativo)

- Allora, così, che (completivo) - Anche se, quindi

- Che cosa (che/cosa – relativo e interrogativo), chi (relativo)

- Dove (interrogativo), chi (interrogativo), prima che (di), dopo (che) - Appena, ogni volta che (e simili)

- Quello che, comunque, invece, solo che - Dato/visto che

- Altri più sporadici: se (interrogativo), siccome, perciò, senza, cui, ecc.

Le autrici non trascurano di rilevare la doppia funzione di alcuni elementi di connessione, che soprattutto nel parlato assumono la valenza di segnali discorsivi, il che da un lato ne facilità l’acquisizione, ma dall’altro «influisce con la loro interpretazione». Emblematico a questo proposito è il caso di ma, la cui polifunzionalità, è riscontrabile particolarmente nel passaggio da canale orale a canale scritto, in cui sono rintracciabili diverse gradazioni semantiche (Chini, Ferraris, Valentini, Businaro 2003:202-203).

All’interno dello schema acquisizionale evidenziato supra, tenendo conto anche di elementi testuali come lo sviluppo dei connettivi, di coordinazione e subordinazione, Lo Duca (2003) individua i tre stadi della sua proposta didattica narrativa, che schematizziamo di seguito:

Stadio acquisizionale

Mezzi lessicali per l’ancoraggio temporale Sintassi Morfologia Primo stadio Adesso/ora, oggi, stamattina, l’anno scorso,…. Paratassi Coordinazione (e, ma, poi, dopo, e poi, ma poi, allora…) Presente narrativo Passato Prossimo (anche senza espressione o errata selezione dell’ausiliare) Secondo stadio

L’altro ieri, due ore/giorni/mesi/ann i fa, mercoledì scorso, la settimana Prevalenza di coordinazione Subordinazione: Imperfetto Significati aspettuali di perfettività e

scorsa/passata, nel 1950, il 3 aprile… connettivi subordinanti: quando, (connettivi temporali, in particolare di posteriorità) imperfettività (Passato ProssimoImperfett o)

Terzo stadio Deittici di tempo

Connettivi e localizzatori temporali (nel 1958, il 7 marzo 1746, un tempo, una volta, quando i militari presero il potere…) Ampliamento dei connettivi coordinanti (posteriorità: alla fine, allora, infine, in seguito, più tardi, dopo una settimana/un mese/un anno…)

Rapporti di contemporaneità (contemporaneame nte, nel frattempo, intanto…) e anteriorità relativa (all’inizio, prima, precedentemente, l’anno/il mese/il giorno prima…) Subordinazione: Relazioni temporali (dopo che/prima di, Passato Remoto

Espressione del passato perfettivo (Passato Prossimo Passato Remoto)

Trapassato prossimo

come, appena, finché) implicita, poi esplicita (prima diprima che) Tabella
4:
Percorso
didattico
narrativo.

Un percorso di tipo narrativo, in quanto significativo per l’apprendente, può velocizzare o almeno facilitare «la comparsa di quella modalità sintattica (syntactic mode), che nell’apprendimento spontaneo sostituisce, in tutto o in parte, la modalità pragmatica [pragmatic mode, n.d.a.] delle prime fasi» (Lo Duca 2003:259).

Riguardo alla gestione dei meccanismi di coesione testuale e di ancoraggio temporale che all’interno del testo concorrono nella selezione di una determinata struttura aspettuale, Lo Duca sottolinea la funzione che la congiunzione temporale quando come «connettivo subordinante temporale generico» (Lo Duca 2003:262) assume nelle varietà anche molto basiche di italiano L2. È infatti attestato che questa congiunzione temporale rappresenta una precoce forma di subordinazione ed ha un impiego ben maggiore di quanto sia riscontrabile nell’acquisizione dell’italiano da parte di nativi, poiché nelle interlingue dei non nativi ricopre probabilmente anche le funzioni svolte da altre congiunzioni temporali, come per esempio mentre, cui viene spesso sovraestesa negli usi interlinguali.

Lo Duca rileva, fra l’altro, che nell’apprendimento spontaneo della lingua, l’uso di mentre per esprimere contemporaneità compare, sorprendentemente per noi, in fasi successive, per cui ne suggerisce la presentazione ai livelli più avanzati di competenza linguistica. Abbiamo riflettuto a lungo su questo dato ponendolo in relazione con la nostra esperienza di classe. Generalmente in un corso di lingua, quando si presenta l’Imperfetto, gli apprendenti imparano che quando in un testo al passato trovano il connettivo mentre, dopo devono inserire l’imperfetto; gli esercizi di manipolazione e riempimento in genere dimostrano che gli studenti molto raramente commettono errori in casi come questo.

Il secondo punto particolarmente degno di rilievo per il nostro lavoro del saggio di Lo Duca, riguarda gli errori prodotti dagli apprendenti e la loro correzione in un percorso di apprendimento guidato.

Prima di tutto Lo Duca descrive gli errori da aspettarsi in un percorso glottodidattico narrativo «in ordine presumibile di comparsa» (Lo Duca 2003: 265- 266), rifacendosi alle schematizzazioni degli stadi acquisizionali e che riguardano essenzialmente l’elaborazione del sistema verbale italiano. Per esempio, per citare alcuni possibili errori rilevanti anche all’interno della presente ricerca, si potrà osservare una sovraestensione del valore imperfettivo passato al Presente Indicativo e l’alternanza di presente/participio passato per esprimere l’opposizione aspettuale anche nel Passato; progredendo negli stadi acquiszionali potrà poi manifestarsi una «sovraestensione dell’Imperfetto (al posto del passato prossimo)» (Lo Duca 2003:265-266) quest’ultimo tratto tipico degli apprendenti anglofoni.

In un secondo momento l’autrice riflette sulle modalità di correzione dell’errore in contesti spontanei e sull’opportunità di adottare le stesse modalità in situazioni di insegnamento formale. In particolare l’autrice fa notare che:

«Si sa che, normalmente, nell’interazione naturale tra nativi e non nativi, e talvolta anche fra non nativi, la correzione, anche parziale, delle forme scorrette è un’eventualità riservata ai casi in cui la costruzione scorretta del messaggio impedisce o ostacola la trasmissione dell’informazione, e spesso avviene su richiesta, più o meno esplicita, del non nativo. […] Dunque quello che accade più spesso è che nell’interazione con gli stranieri i parlanti nativi evitano, per ovvie ragioni, di interrompere il normale flusso della comunicazione con la sottolineatura delle formulazioni devianti. La conseguenza è che gli apprendenti spontanei, ove non siano pressati dalle circostanze, possono persistere a lungo in forme devianti, almeno fino a quando un nuovo tratto venga finalmente “notato” e confrontato con i tratti già acquisiti, il che potrà comportare un riaggiustamento e una risistemazione in direzione della norma. Ma i tempi possono essere anche molto lunghi, sempre troppo per l’istituzione scolastica, che giustamente si deve porre il problema di facilitare la scoperta della norma e di abbreviare i tempi di avvicinamento ad essa. Né si può sottovalutare il pericolo che la mancata correzione induca o favorisca fatti di fossilizzazione.» (Lo Duca 2003:266).

Questa osservazione ci è sembrata particolarmente degna di nota in quanto segna lo snodo essenziale fra teoria e pratica. Come insegnanti ci poniamo certamente la domanda di quanto e come correggere gli errori, questioni che la linguistica acquisizionale può permettersi di trascurare visto che basa le sue ricerche sull’analisi delle produzioni di apprendenti spontanei ed è una scienza essenzialmente teorica, pur fondandosi su dati empirici. Da insegnanti abbiamo l’ambizione di cercare soluzioni a questioni come questa in un’ottica che tenga conto dei risultati teorici e li proietti nella pratica didattica. Fondamentalmente riteniamo che si debba trovare, soprattutto nel contesto di insegnamento dell’italiano lingua seconda, che è quello di cui ci occupiamo qui, un equilibrio fra momenti di acquisizione spontanea fuori dalla classe e fasi di apprendimento guidato in classe. Il problema della correzione degli errori non riguarda a nostro avviso l’opportunità o meno di correggere gli studenti quando sbagliano: l’istituzione scolastica ha il il compito anche di correggere. La domanda da porsi è un’altra ed è relativa a come si debbano correggere gli errori in modo da favorire e possibilmente velocizzare il processo di acquisizione linguistica. Su questa domanda essenziale ci siamo quindi concentrati per questo aspetto della ricerca: qual è la tecnica migliore per correggere le devianze che i nostri studenti inevitabilmente produrranno in un percorso improntato sulla testualità in generale e sulla narrazione in particolare? Dovremo individuare una modalità di correzione dell’errore che non inneschi meccanismi di frustrazione, ma che al tempo stesso conduca gli studenti nella direzione indicata poco sopra e che sia in linea con i principi generali di questo studio.

A questo riguardo dobbiamo anche rilevare che nonostante i nostri informanti possano beneficiare di frequenti interazioni spontanee con parlanti nativi, nel caso dell’acquisizione delle strutture aspettuali, questi scambi possono assumere una significatività e produrre acquisizione quasi esclusivamente in quanto costituiscono un ulteriore input che sommandosi a quello ricevuto in classe, può condurre a notare, riconoscere e infine acquisire le norme di selezione dell’Aspetto in contesti passati. Tuttavia però non possiamo aspettarci, proprio per quanto rilevato da Lo Duca, che i parlanti nativi offrano riformulazioni o chiarimenti linguistici, qualora le strutture aspettuali siano state mal selezionate rispetto al contesto in cui sono inserite. Questo avviene solo raramente perché una devianza su questo versante generalmente non

impedisce il passaggio delle informazioni e non compromette la comprensione globale del messaggio. Il parlante nativo, nel caso specifico delle strutture aspettuali del Passato, anche di fronte a devianze, è perfettamente in grado di ricostruire il messaggio nella sua forma linguistica corretta e per lo più lo fa inconsciamente preferendo non correggere il non nativo per un criterio di economicità linguistica e di efficienza comunicativa: l’interruzione spezzerebbe il così detto “filo del discorso” e, visto che l’informazione è comunque salva, non ne varrebbe neanche la pena.

Da quanto fin qui detto, risulta dunque chiaro che la classe di lingua sarà (quasi) l’unica fonte di correzione per gli apprendenti e questo ovviamente pone la questione per niente secondaria delle modalità di correzione da adottare. Al termine dell’analisi dei dati della ricerca, cercheremo di dare una possibile risposta anche in merito a questo ultimo punto.

Capitolo 5