LA RICERCA: STRUMENTI E METODI.
5.1. Narrazione come strumento per la didattica delle lingue: la prima fase della ricerca.
Vedremo adesso come l’uso didattico di alcuni generi narrativi può portare gli studenti a riflettere e ad assumere una nuova consapevolezza di sé rispetto al processo di apprendimento linguistico.
Tutti i generi narrativi – anche i più elementari, come quelli prodotti da bambini in età prescolare - sono caratterizzati da un processo gestaltico che mette insieme, collega somiglianze e differenze attraverso il tempo e lo spazio per produrre legami con esperienze passate (Steinbock, 2007). La pratica costante della narrazione allora rinforza e affina questo processo conoscitivo che il discente mette in atto quando l’insegnante lo confronta con un testo, sia orale che scritto.
Sia lo studio di Brandi (2002) che quello di Steinbock (2007), dimostrano che forme elementari di narrativa, potremmo dire generi semplificati, come elenchi e resoconti, la cui struttura testuale piuttosto libera è caratterizzata dalla coordinazione piuttosto che dalla subordinazione, sono rintracciabili anche nelle produzioni di bambini in età prescolare e in apprendenti ad un livello basico di acquisizione; solo in seguito, quando la maturazione cognitiva e linguistica raggiunge livelli soddisfacenti, evolvono in storie vere e proprie.
I giovani adulti che questa ricerca prende in considerazione, dovrebbero aver raggiunto il livello ottimale di sviluppo rispetto alle funzioni cognitive inerenti alla narrazione, mentre la competenza linguistico-comunicativa dovrebbe essere collocabile agli stadi post-basici di apprendimento. L’assunto che generi narrativi
basilari come quelli individuati sopra, preparano allo sviluppo di tecniche narrative più sofisticate, dovrebbe spingerci proprio per questo ad utilizzare la narrazione, seppure con i dovuti accorgimenti didattici, anche con gruppi di apprendenti di basso livello linguistico.
Nell’anno accademico 2008-2009 abbiamo quindi sperimentato procedure didattiche narrative in classe con lo scopo di verificarne l’efficacia didattica.
A nostro avviso la pratica e l’abilità di produrre testi narrativi dovrebbero costituire un’abilità trasversale a tutto il lavoro didattico, trovando spazio nelle varie fasi del lavoro di classe, senza necessariamente sostituirsi a nessuna delle tecniche o dei metodi usati. Del resto, seppure inconsapevolmente, la narrazione fa parte già a vari livelli del normale lavoro con i discenti; si tratta a questo punto di riconoscere una pratica già in uso e dargli il valore formativo che merita in modo da usarla più estensivamente e con maggiore consapevolezza. La sperimentazione che abbiamo condotto, come si accennava in apertura, nella prima fase si è concentrata sull’individuazione di tecniche narrative da inserire e potenziare all’interno degli strumenti didattici già in uso: nel proporre tali attività abbiamo seguito due principi- guida, desunti dall’inquadramento teorico del lavoro di cui abbiamo dato conto nelle pagine precedenti. In primo luogo abbiamo cercato di ricondurre il tema o i temi proposti all’interno dell’Unità di apprendimento/lavoro (Pona 2010) in attività di produzione scritta narrativa; in un secondo tempo, qualora possibile, abbiamo ampliato lo stesso tema o uno dei temi all’interno dell’esperienza personale degli apprendenti, spronandoli alla narrazione di sé.
La glottodidattica ha basato l’elaborazione dei propri strumenti operativi sul modello gestaltico e sui principi di bimodalità e direzionalità degli emisferi cerebrali proposti da Danesi (1988) da un lato (Balboni 2002), e dall’altro (Vedovelli 2002; Diadori 2009) sulle indicazioni contenute nel Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (Consiglio d’Europa 2002). I modelli elaborati da Vedovelli e Diadori, riferendosi al documento europeo, sono maggiormente incentrati sulla testualità.
Nella pagina seguente riportiamo una tabella in cui sono schematizzati i modelli operativi maggiormente in uso, predisposta da Pona (2010), cui rimandiamo per una trattazione esaustiva delle varie fasi del lavoro didattico. Anche nel presente
studio, ci riferiremo ai modelli operativi con la dicitura Unità di apprendimento/lavoro, proposta da questo autore.
Gabbanini – Goudarzi – Masciello – Pona (2010) Unità di Apprendimento (Balboni 2002) Unità didattica centrata sul testo
(Vedovelli 2002)
Unità di lavoro UdL (Pierangela Diadori 2009)
Per cominciare Motivazione Contestualizzazione Introduzione
Per capire Globalità Verifica della comprensione
Per cercare Analisi
Attività di comunicazione sul
testo
Per usare Sintesi
Attività di comunicazione dal
testo
Per scoprire Riflessione Attività metalinguistica
Esercizi Attività di rinforzo Attività di rinforzo
Svolgimento
Attività di verifica
Tabella 5: I modelli operativi della glottodidattica (Pona 2010)
Quando il docente chiede agli apprendenti, anche di livello linguistico basso, di descrivere – diciamo – una serie di immagini come attività di motivazione e pre- contatto al testo con cui la classe si confronterà, invita di fatto la classe a compiere un’operazione molto simile a quella descritta da Brandi (2002) nell’ambito della sua ricerca. Gli studenti in pratica, attraverso la narrazione della percezione visiva di una serie di immagini in successione eventizia, prima di tutto decostruiscono lo stimolo visivo dando nuovi nomi – quelli della L2 – ai dati dell’esperienza sensoriale. La ricostruzione dell’esperienza percettiva attraverso la lingua, che per gli apprendenti di basso livello linguistico è in genere quasi una semplice elencazione, in questo caso permette di inquadrare il contesto e il cotesto9 della comunicazione in cui il testo si inserisce in modo da produrre le ipotesi che agevoleranno la comprensione del testo stesso.
Entrando adesso più nel dettaglio dei generi narrativi utilizzati e utilizzabili in classe, considereremo prima di tutto un’attività orale comunemente conosciuta come ascolto attivo. Quando si fa ascoltare un testo agli apprendenti, generalmente si propone una serie di ascolti successivi ciascuno scandito dall’esecuzione di un
9 Contesto e cotesto, insieme al paratesto sono fondamentali per definire la situazione
comunicativa in cui il testo viene prodotto e di conseguenza per attivare i processi di anticipazione o Expectancy Grammar (Balboni, 2002:11-112) che permettono di fare ipotesi sul testo con cui ci si confronterà e quindi lo rendono accessibile. La definizione di questi elementi della comunicazione è automatica e inconscia nella comunicazione in L1, mentre deve essere esercitata in L2/LS. In particolare la nozione di paratesto rimanda a tutto ciò che sta intorno ad un testo, come fotografie, grafici, disposizione in paragrafi, che consentono di identificare il genere testuale rapidamente. Il contesto – o più propriamente il «contesto situazionale» (Balboni, 1999b) fa sì che si identifichino le coordinate essenziali dell’evento comunicativo, come numero e ruolo dei parlanti, luogo fisico, scopo della comunicazione. A sua volta il cotesto permette per esempio di «disambiguare parole omofone: […] la parola "corso" in "Jean è corso, viene da Ajaccio", "il sindaco di Ajaccio è corso all'aeroporto" e "ho frequentato un corso ad Ajaccio"» (Balboni, 1999b, voce co-testo); quindi comprende quello che c’è intorno ad un testo in termini più strettamente linguistici, anche se spesso viene assimilato al contesto.
compito che prevede un utilizzo della lingua via via più attivo. L’ultimo task, che mira a testare la comprensione intensiva del testo ascoltato, richiede che la classe collabori nella produzione di una parafrasi di quanto ascoltato. Se ci pensiamo bene quest’ultima attività non è altro che la narrazione di una percezione uditiva ripetuta allo scopo di decostruire il testo per appropriarsene nella ricostruzione narrativa.
In una fase successiva dell’Unità di apprendimento/lavoro, per esempio in quelle di sintesi e riflessione, si può proporre la scrittura di un testo che sintetizzi in forma narrativa quanto ascoltato con l’intento di guidare la classe ad impadronirsi delle strutture che come abbiamo visto, sono particolarmente funzionali alla produzione di testi narrativi. Divisi in piccoli gruppi gli studenti dovranno individuare le informazioni principali del testo orale, categorizzarle e gerarchizzarle in una scaletta di cui poi dovranno rendere conto al resto della classe. Nella successiva discussione plenaria l’insegnante guiderà la classe a produrre uno schema condiviso le cui informazioni saranno poi organizzate in un testo strutturato attraverso il riconoscimento degli elementi linguistici appropriati al genere – come per esempio i Tempi verbali e i connettivi - e della disposizione in paragrafi. In questo modo gli apprendenti sono incoraggiati ad utilizzare consapevolmente in L2 i processi cognitivi che sottostanno alla produzione scritta di un testo narrativo; in un secondo momento sono poi sollecitati alla scoperta, alla strutturazione e all’uso di elementi linguistici come i Tempi verbali e i connettivi.
Rimanendo ancora sul versante della presentazione di testi orali come input di base dell’unità di lavoro, quando si è utilizzata una canzone, dopo le fasi di globalità e analisi del testo orale, è stato introdotto l’ascolto e/o la lettura della biografia del cantante. Da notare a questo proposito, che le biografie dei cantanti sono facilmente reperibili anche in registro molto informale, in cui prevale per esempio l’uso del Presente Indicativo atemporale, e per questo linguisticamente accessibili anche per studenti con basso livello di competenza della lingua. La classe è stata guidata, dopo la comprensione del testo, ad individuare la struttura testuale, dopo di che ognuno è stato invitato a produrre la propria autobiografia, sia orale che scritta.
In città artistiche come Firenze, in cui chi scrive si trova ad operare, abbiamo notato che gli apprendenti avevano poco contatto con le numerose opere d’arte che li circondavano, dandole quasi per scontate. Nell’ambito di un’Unità di
apprendimento/lavoro centrata sullo studio dei tempi passati dell’Indicativo, agli studenti è stato proposto un testo semplificato tratto dalla biografia di Benvenuto Cellini, in cui l’artista descrive la fusione della celebre statua del Perseo. Come esercizio orale dei tempi passati, gli studenti hanno poi ricostruito il mito di Perseo e dopo, davanti alla statua del Cellini, hanno raccontato cosa suscitava in loro quest’opera d’arte, che prima di questo momento avevano appena notato. Come lavoro domestico in seguito è stato loro domandato di scrivere un breve componimento autobiografico su un momento particolarmente importante della loro esperienza in Italia. Infine abbiamo chiesto, come ulteriore compito a casa, di scegliere un’opera d’arte fra le molte disponibili nel tessuto cittadino e di provare a descrivere le emozioni che questa produceva osservandola con attenzione e documentandosi adeguatamente su di essa in modo da capirla meglio. Dopo una fase di narrazione orale, gli apprendenti erano invitati a produrre una descrizione scritta delle loro emozioni. Questa attività ha notevolmente aumentato anche la consapevolezza degli studenti rispetto alla ricchezza culturale dei luoghi che visitavano, come è stato notato nei racconti dei viaggi fatti nel fine-settimana, attività che caratterizza l’inizio della settimana di studio. Quest’ultima attività narrativa ha sfruttato in termini di acquisizione linguistica e sviluppo della consapevolezza e responsabilizzazione degli apprendenti, una tendenza più volte lamentata come negativa nei discenti giovani adulti inseriti in programmi universitari in Italia: quella di dedicarsi più a una frenetica serie di gite di piacere che ad una vera integrazione linguistico-culturale nella realtà che li ospita. Questi racconti hanno inoltre favorito la circolazione di informazioni per l’organizzazione dei viaggi che ha fatto ritenere questa attività utile e motivante. Con questo specifico esercizio ai discenti è stato in pratica richiesto di narratizzare uno stimolo visivo, il che ha loro permesso di vedere la realtà circostante con occhi diversi e di entrare dentro a un mondo di esperienze sensoriali che fino a quel momento avevano almeno in parte ignorato, arricchendo così la loro esperienza linguistico-culturale.
Nella fase di riflessione sulla lingua agli apprendenti sono state poste domande stimolo che inducessero a riflettere sul valore comunicativo delle strutture morfosintattiche in esame. In pratica è stato chiesto alla classe di esplicitare il messaggio contenuto in certe forme linguistiche, incoraggiando poi a riflettere su
come lo stesso significato venisse veicolato nella lingua madre, favorendo così l’analisi contrastiva fra lingua in apprendimento e L1. Riferendosi al testo input dell’Unità di apprendimento/lavoro, agli allievi venivano poste domande del tipo: “Cosa si voleva esprimere con l’utilizzo di questo tempo?” e dopo la discussione veniva chiesto: “Come esprimereste questo nella vostra lingua? Con quali forme?” In questo modo i discenti erano spinti ad analizzare il contenuto oltre alla forma di una determinata struttura grammaticale, negoziando attraverso la discussione un significato condiviso.
Un discorso a parte merita la stesura sistematica, una volta ogni due settimane, di una composizione della lunghezza minima di 250 parole nella prima settimana aumentando di 50 parole a settimana, riguardante l’autovalutazione dei progressi fatti nell’acquisizione della lingua. Questa attività ha costretto ad una riflessione personale proprio nei termini indicati nel saggio di Pellegrino Aveni mettendo in luce, soprattutto per l’apprendente stesso, le difficoltà e le strategie di compensazione messe in atto, oltre a permettere all’insegnante di intervenire in maniera appropriata all’interno di un lavoro individualizzato.
Ci si chiederà a questo punto come vengano valutate le produzioni degli apprendenti in merito alla correttezza formale: la correzione degli elaborati, scritti o orali che siano, viene di solito fatta sia all’interno di un lavoro individualizzato che guida l’apprendente verso l’autocorrezione, che nell’ambito del lavoro di gruppo. In questo ultimo caso l’insegnante compone un testo narrativo in cui vengono organizzati tutti gli enunciati linguisticamente problematici prodotti dagli studenti; questo testo viene poi proposto alla classe che dovrà scoprire e correggere gli errori attraverso una serie di ipotesi verificate con il gruppo stesso e con il docente. Questa tecnica permette prima di tutto di non singolarizzare nessuno in particolare e in secondo luogo di sviluppare l’autocorrezione sostenendo così, in ultima analisi, lo studio individualizzato, oltre a favorire la collaborazione e la pratica della negoziazione.
Possiamo dunque asserire sintetizzando il presente paragrafo, che l’utilizzo dei generi narrativi condotto nella fase preliminare della presente ricerca ha riguardato l’Unità di apprendimento/lavoro in quasi tutta la sua scansione ed ha permesso un uso più creativo e personale delle principali funzioni comunicative
(Balboni, 2002:76-78): da quella personale esercitata nei racconti autobiografici a quella referenziale impiegata nell’ascolto attivo, fino a quella immaginativa nella descrizione di emozioni e metalinguistica nella riflessione linguistica.