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LINGUA E NARRAZIONE.

4.3. Pensiero e forma linguistica.

4.3.1. Il ruolo della lingua nella narrazione.

Per scendere adesso più nel dettaglio della presente ricerca, dobbiamo porci subito una domanda fondamentale. Qual è il ruolo della lingua nella narrazione?

Luciana Brandi (2002) se ne occupa nel saggio introduttivo a Il testo fra oralità e scrittura in cui rende conto di una ricerca condotta con bambine e bambini in età prescolare al fine di indagare se e in che misura le richieste dell’alfabetizzazione entravano in conflitto con i processi cognitivi impliciti nella narrativizzazione spontanea di un input visivo. Brandi precisa nel saggio introduttivo che lo scopo del suo studio è «l’individuazione dei processi che correlano la produzione orale spontanea dei testi con i requisiti che poi dovranno essere rispettati dall’apprendente nel corso dell’alfabetizzazione.» (Brandi 2002:128). Il gruppo di ricerca guidato da Brandi non si limita quindi ad esaminare le produzioni orali dei bambini al fine di analizzare le abilità narrative in alunni non ancora o scarsamente alfabetizzati, ma partendo da questa analisi si pone l’obiettivo didattico di

«indagare […] fino a che punto le richieste cognitive dell’alfabetizzazione entravano in conflitto con lo stato spontaneo dell’apprendente e quindi, in prospettiva didattica, quale

potesse essere il limite di congruità e di conflitto con tale stato dell’intervento didattico» (Brandi 2002:16).

Date le specifiche caratteristiche della scrittura che come mezzo di trasmissione del messaggio implica una situazione comunicativa non condivisa fra emittente e ricevente e di conseguenza richiede la produzione di un testo da cui sia bandita la seppur minima ambiguità, Brandi sposa la tesi di Olson (citato in Brandi 2002:125) secondo cui «l’alfabetizzazione […] ha effetto sul pensiero in quanto addestra a confinare il contenuto del testo nella sua formulazione, tanto per la produzione che per la comprensione.» (Brandi 2002:125).

I bambini che hanno fatto parte della ricerca del gruppo di lavoro guidato da Brandi, erano messi di fronte a stimoli visivi di vario genere (riproduzioni di opere artistiche o fotografie) che suggerivano una struttura eventizia in grado di stimolare la narrazione; poi ricevevano l’invito a «dire» (nel senso di «raccontare») cosa vedevano nell’immagine. Con questa operazione si sollecitavano quindi gli apprendenti a cercare di organizzare il percetto attraverso le parole.

Il processo così messo in atto implica di fatto la decostruzione dell’input sensoriale che di per sé costituisce un continuum in cui testo e contesto formano una globalità inscindibile: il testo dipende dal contesto per poter essere interpretato, ma la nominazione in realtà frantuma la percezione sensoriale e evidenzia la difficoltà di rendere attraverso un sistema simbolico – il linguaggio – questa unità che permette che l’esperienza sia interpretabile e condivisibile. La testualità implica quindi la decostruzione e la ricostruzione di una dimensione esperienziale ricontestualizzata tramite la lingua, attraverso la quale sono categorizzate e gerarchizzate le informazioni; questo infine presuppone l’attivazione di processi cognitivi indubbiamente specificamente funzionali alla produzione scritta, per le caratteristiche implicite nell’utilizzo del codice scritto cui accennavamo poco sopra, ma che si attivano e si potenziano in particolare proprio attraverso la pratica della scrittura. In ultima analisi allora la narrazione e l’abilità di scrittura investono in quest’ottica la dimensione semantica della lingua come strumento per la costruzione di significati funzionali alla definizione di sé come individui allo stesso tempo «sociali e unici.» (Brandi 2002).

Questo ci riporta agli studi sul pensiero narrativo cui abbiamo accennato nel capitolo 2 e che ci proponiamo di sviluppare meglio nel prossimo paragrafo; in effetti Brandi sottolinea che:

«analizzare come i bambini/le bambine ‘raccontano’ ad esempio un’immagine, mette in evidenza non solo quale sia la padronanza della lingua per la narratizzazione del reale, ma anche quali siano le modalità del dare significato, e dunque del ‘conoscere’, che ciascuno/ciascuna manifesta nel processo di organizzazione mentale succitato. E’ in particolare questa forma di osservazione e di rilievo che può consentire di formulare ipotesi relative al rapporto fra linguaggio e formazione delle conoscenze, in una prospettiva sia di ricerca che di possibile intervento didattico.» (Brandi 2002:15. Per l’uso del termine

narratizzare si veda infra:127).

Inoltre lo studio di Brandi evidenzia un dato interessante che riguarda la formazione e lo sviluppo del pensiero narrativo e la sua importanza per il soggetto anche nel periodo dell’infanzia: riferendosi all’analisi dei dati relativi alle produzioni dei bambini, Brandi infatti asserisce che in essi «emergono frequentemente forme di enunciazione che manifestano tentativi di dare struttura narrativa (capacità di costruire ‘storia’) da parte dei bambini/le bambine fin dal periodo prescolare.» (Brandi 2002:25).

La narrazione può quindi essere considerata un dispositivo educativo per il potenziamento della lingua: l’utilizzo della lingua per la produzione di testi narrativi, sia orali che scritti, favorisce il miglioramento della competenza d’uso della lingua e dei processi cognitivi che sostengono lo sviluppo e l’elaborazione linguistica. Essendo la lingua lo strumento preposto alla sistematizzazione dell’esperienza attraverso il quale si esprime il pensiero narrativo organizzandosi nella produzione di testi narrativi, un utilizzo mirato e guidato permette il raffinamento dello strumento stesso, che viene impiegato in un’attività creativa, formativa e significante per il soggetto.

Nel momento in cui l’input sensoriale viene ricevuto e verbalizzato, si attiva nel soggetto un processo interno e implicito che coinvolge in maniera preminente la lingua come strumento di elaborazione della percezione. La lingua è quindi il mezzo che mette gli esseri umani in comunicazione con il mondo esterno, che permette di

analizzare e appropriarsi di ciò che è percepito e che come tale è in un certo senso allo stato grezzo. I dati ricevuti dal mondo esterno al soggetto, la sua esperienza della realtà, hanno dunque un impatto che può essere decifrato principalmente attraverso la lingua. È in ultima analisi il sistema simbolico “lingua” che permette l’analisi del percetto e la successiva riorganizzazione personale in un’unità dotata di significato. E, ci preme sottolineare, questa unità ha la struttura e le caratteristiche di un testo narrativo.