L’ACQUISIZIONE LINGUISTICA: L1 E L2.
2.1. La Grammatica Universale (GU).
2.1.2. La Parallel Architectute: R Jackendoff.
Nell’ambito degli studi di linguistica generativa iniziati da Chomsky sul finire degli anni ’50 dello scorso secolo, il linguista americano Ray Jackendoff (1998, 2002, 2009), di cui avremo modo di parlare anche in seguito, ha elaborato uno studio che abbraccia anche altre attività umane come la musica e il disegno per comporre un quadro teorico in cui la capacità umana di elaborare il linguaggio risulta integrata all’interno delle possibilità espressive e sociali della specie umana. Jackendoff, come già Chomsky, riconosce il valore dell’esperienza nell’elaborazione del linguaggio: l’acquisizione della lingua è resa possibile da una dotazione genetica presente nell’essere umano e dall’inserimento dell’individuo in una comunità
linguistica che offre un input accessibile, processabile e sistematizzabile, ma in particolare nell’architettura attraverso la quale opera il linguaggio intravede uno schema di organizzazione che si estende al funzionamento complessivo della mente umana.
La prospettiva teorica introdotta dall’opera di Jackendoff apre ampi spazi di riflessione sulla nota frattura teorica fra linguisti innatisti e funzionalisti. Ricordiamo brevemente, per amor di chiarezza, che per questi ultimi4 l’acquisizione linguistica è essenzialmente legata alla funzione comunicativa che essa svolge, che darebbe la spinta all’acquisizione stessa e all’uso:
«Mentre i modelli formali [innatisti; n.d.a.] assumono l’autonomia delle forme sintattiche e separano la competenza dall’esecuzione, i modelli funzionali considerano il rapporto forma- funzione nel linguaggio in modo del tutto diverso, partendo dall’assunto che la funzione guida e determina, almeno in parte, la forma.» (Giacalone Ramat 2003:17)
Per i linguisti innatisti e generativisti invece, la facoltà del linguaggio è una caratteristica specie specifica che si è delineata negli esseri umani in seguito a importanti modificazioni corporee successive alla conquista della posizione eretta (Grimaldi 2009) e che, in un primo momento dell’evoluzione potrebbero essere intervenute per ragioni non connesse con il linguaggio, ma funzionali allo sviluppo di altre attività biologiche e quindi trasferite solo in seguito al linguaggio. D’altra parte è tuttavia innegabile il vantaggio evolutivo, per la specie umana, insito nell’uso del linguaggio, il quale ci mette in grado di comunicare proposizioni complesse e quindi ci dà l’opportunità di trasmettere le nostre esperienze ed elaborare soluzioni a problemi condivisibili con altri esseri umani. Per Jackendoff e Pinker (2005; citato in Baldi, Savoia 2009:36) infatti – ed è questa la posizione che sembra più coerente comparando la capacità linguistica umana con quella di alcune specie animali - la spinta evolutiva ha determinato un graduale adattamento di vari sottoinsiemi già presenti nella dotazione biologica degli ominidi (Guasti 2007:28).
4 Allo stato attuale della ricerca linguistica ricordiamo che c’è in linea di massima accordo sul fatto che lo sviluppo linguistico sia il frutto di un’integrazione fra elementi innati e altri appresi attraverso l’interazione con l’ambiente di esposizione linguistica. Il dibattito si è spostato piuttosto su ciò che è innato e ciò che è appreso e su quanto, in ultima analisi, l’uno o l’altro influiscano sull’elaborazione linguistica. (Cfr. Guasti 2007:49 e segg.).
Discostandosi in questo da Chomsky, nei suoi studi Jackendoff sviluppa ulteriormente questa ipotesi evoluzionista del linguaggio, sebbene riconosca che sia impossibile, allo stato attuale della ricerca, trovare prove concrete riguardo a una qualsiasi teoria che renda conto dell’emergere della facoltà di linguaggio peculiare alla specie umana. Secondo questo studioso il primo passo verso l’evoluzione del linguaggio è costituito dalla formazione di un sistema di concetti, come componente generativa indipendente, che del resto gli esseri umani condividono, almeno fino a un certo punto, con altri primati. L’emergere di significati da trasmettere ha dato poi la spinta alla creazione di segnali fonetici atti ad esprimerli. Si tratta di un «paleolexicon» (Jackendoff 2009:74), di cui si trovano tracce anche nelle lingue moderne, in cui sono presenti monosillabi come sì/no e interiezioni, che sono di per sé segnali. Da queste vocalizzazioni si è poi sviluppato un sistema fonologico in grado di combinare questi suoni e da cui si è originato un vocabolario che poteva essere trasmesso e imparato. Il passo successivo è stato la formazione di un meccanismo che permettesse di combinare le parole in discorsi più ampi e quindi di trasmettere significati più articolati: a questo punto è emersa la sintassi, che ad un primo stadio di sviluppo sarà stata costituita da un insieme di principi funzionali di ordine lineare, per poi specializzarsi nel corso della storia umana nei parametri che differenziano le lingue naturali. Per Jackendoff la sintassi è quindi «a refinement, a “supercharger” of a preexisting interface between phonology e semantics.» (Jackendoff 2009:75).
Questa impostazione teorica ci appare particolarmente significativa perché in essa si possono rintracciare anche le fasi di sviluppo del linguaggio nel bambino: da una prima formazione concettuale basilare e limitata ai bisogni della sopravvivenza, l’infante passa alla lallazione e alla formazione delle prime parole, che in uno stadio molto basilare dello sviluppo linguistico sono poco più che segnali ancora funzionali all’espressione dei propri bisogni. Successivamente il lessico si arricchisce e i vari elementi cominciano ad essere combinati in produzioni sempre più estese in cui sono chiaramente riscontrabili i principi funzionali basilari, grazie ai quali gli adulti interpretano i messaggi. Nella sua ontogenesi, l’individuo sembra dunque ripercorrere questo sviluppo filogenetico, ed una volta raggiunta questa fase evolve rapidamente nell’acquisizione della lingua madre. Lo stesso percorso del resto è
rintracciabile anche in coloro che apprendono una seconda lingua. Secondo Jackendoff (2009:74) i principi funzionali della sintassi – come per esempio l’ordine lineare che stabilisce il principio secondo il quale l’agente deve essere collocato in prima posizione – sono evidenti anche nelle lingue pidgin e nella grammatica di coloro che imparano una lingua in età adulta.
Dopo queste considerazioni preliminari, ritorniamo adesso alle tesi generativiste riguardo a una conoscenza innata, come prerogativa fondamentale del cervello umano formata da universali che presiedono non solo all’acquisizione linguistica, ma anche all’elaborazione di una struttura sociale (Torrengo 2003) e alla fruizione musicale e estetica. Questa conoscenza innata teorizzata da Chomsky per il linguaggio e empiricamente ampliata da Jackendoff abbraccia in pratica l’intera esperienza umana nel mondo, tramite la quale si sviluppa e si dilata, si raffina armonizzandosi con un certo ambiente (o con più ambienti) con il quale il soggetto entra in contatto. Ma procediamo con ordine.
Secondo Jackendoff (1998), la competenza linguistica è riferibile a una Grammatica Mentale (GM), una facoltà implicita che permette di dare un giudizio di accettabilità agli enunciati ricevuti e prodotti in una data lingua e i cui principi sono rintracciabili in diversi campi delle attività umane. La GM si sviluppa sulla base di una dotazione biologica del cervello umano definita Grammatica Universale (GU). La Grammatica Universale, come capacità geneticamente determinata, permette l’acquisizione della lingua della comunità in cui il bambino è inserito in tempi relativamente brevi e indipendentemente dalla lingua madre dei genitori, secondo fasi empiricamente osservabili più o meno in tutti gli appartenenti alla specie umana. Gli esperimenti di laboratorio, di cui Jackendoff rende conto minuziosamente nel suo saggio del 1998, hanno dimostrato che neanche i primati, i più vicini all’uomo nella scala dell’evoluzione, riescono a sviluppare un linguaggio minimamente simile a quello umano, mentre lo studio della lingua dei segni dei sordomuti americani ha dimostrato che in essa, pur non essendo un sistema verbale, sono rintracciabili i principi della Grammatica Universale. Il cervello dispone quindi di un set di principi generali, “un menu di possibilità” (Jackendoff 1998:276), che sono comuni a tutte le lingue, sia verbali che segniche, su cui si costruisce la competenza linguistica in una data lingua; il cervello si “sintonizza” (Jackendoff 1998:73) poi su una specifica
lingua elaborando una Grammatica Mentale, inconscia, definita da una serie di parametri che limitano e circoscrivono le possibilità di variazione da una lingua all’altra. La capacità di elaborare una GM - o più GM nel caso degli individui bilingui e multilingui - si esaurisce tuttavia intorno ai dodici anni, arco di tempo conosciuto, nell’ambito della teoria linguistica, come “periodo critico” (o più recentemente: “periodo sensibile”5). Dopo tale periodo imparare una lingua risulterà molto faticoso e nella maggior parte dei casi non si arriverà ad una competenza comparabile con quella della lingua madre. A sostegno di questo argomento si ricorderanno gli studi condotti su soggetti cresciuti in stato di segregazione, completamente, o quasi, isolati da ogni contatto umano, studi che rilevano l’impossibilità per queste persone, inserite in un contesto sociale dopo il periodo puberale, di sviluppare una competenza linguistica pari a quella dei loro coetanei cresciuti in un ambiente linguistico e sociale stimolate (Jackendoff 1998).
La lingua è però un prodotto integrato di natura e cultura perché l’acquisizione linguistica avviene, almeno nel caso della lingua madre e auspicabilmente in quello di una lingua seconda, all’interno di una comunità culturale, che funge da “nutrimento” per lo sviluppo linguistico e offre contemporaneamente un sistema di regole sociali che la comunità trasmette al soggetto mentre lo espone ad un certo input linguistico. In sostanza si impara la lingua grazie ad un bagaglio genetico (la GU) di cui la natura ha dotato il nostro cervello e da questo scaturisce una competenza linguistica specializzata – la GM - inclusiva di regole sociali e culturalmente determinate.
Quello che ci preme evidenziare adesso è il passaggio da GU a GM: la prima determina lo sviluppo della seconda e se da un lato riconosciamo il fondamento biologico implicito nell’ipotesi di una GU localizzata nel nostro cervello e quindi
5 In studi recenti di neurolinguistica e neuropsicologia del linguaggio (si veda infra 2.2.1) si è preferito sostituire il concetto di “periodo critico” con quella di “periodo sensibile” che viene definito il “periodo dello sviluppo [generale del cervello] in cui l’effetto dell’esperienza sulle funzioni cerebrali è particolarmente forte”. Questa nuova definizione tiene quindi conto di tutto lo sviluppo funzionale del cervello umano, in cui la facoltà del linguaggio è una delle più complesse (Urgesi: 2008:40-42). “Periodo critico” e “periodo sensibile” non sono quindi termini equivalenti: il primo considera con maggiore rigidità l’arco temporale in cui la lingua può essere appresa con esiti ottimali ed è quindi maggiormente applicabile all’acquisizione della lingua madre; il secondo è un concetto più sfumato che mette in rapporto l’età di esposizione alla lingua con lo sviluppo delle varie componenti del linguaggio (e non con il linguaggio in senso unitario) ed è quindi più propriamente riferibile all’acquisizione e all’apprendimento di una L2 (Guasti 2007:46-49 e 268-275).
comune a tutti gli esseri umani, dall’altro è chiaro che la GM è una creazione individuale, specifica di ogni singolo essere umano che la svilupperà anche sulla scorta di stimoli ambientali diversi da quelli linguistici, seppure ad essi legati. Il bambino deve essere opportunamente sollecitato dall’ambiente sociale in cui è inserito per potersi avvalere della facoltà innata di sviluppare il linguaggio e d’altra parte gli studi sui disturbi del linguaggio dimostrano che in alcuni casi bambini affettivamente deprivati manifestano deficit linguistici non riferibili a carenze fisiologiche (Fabbro 2004).
In pratica siamo passati dalla capacità biologica del cervello umano riguardo allo sviluppo del linguaggio, alla formazione della mente come sistema specializzato e integrato: è dai processi determinati su base biologica nel nostro cervello che scaturisce la mente e da questa la coscienza. Per riassumere questi concetti con le parole di Mirko Grimaldi diremo pertanto che “la mente è una proprietà del cervello in rapporto con la Grammatica Universale” (Grimaldi 2009) ed è pertanto direttamente collegata con lo sviluppo della lingua (o delle lingue).
Tuttavia dobbiamo precisare che Chomsky preferisce utilizzare l’espressione mente/cervello per spiegare alcune caratteristiche specifiche della specie umana – come i fatti linguistici – in quanto ritiene prematuro stabilire quanto il secondo (di natura strettamente fisica) influisca sulla prima, come componente astratta. L’espressione da lui adottata risolve quindi elegantemente la questione riduzionista connessa allo sviluppo del linguaggio. Nei suoi studi più recenti invece Jackendoff (2009), accogliendo i recenti apporti delle neuroscienze allo studio del linguaggio, specifica che i due termini mind e brain devono essere mantenuti distinti in sede teorica per descrivere i processi fisiologici che governano le attività cognitive (fra cui la lingua) da un lato e dall’altro per rendere conto dell’attività funzionale e computazionale; l’espressione mind/brain è da preferirsi solo in contesti teorici neutri (Jackendoff 2009).
Secondo Jackendoff, considerare la sintassi come il nucleo centrale della facoltà linguistica, relegando ad una zona periferica tutte le proprietà diverse dalla sintassi è stato un grosso errore fin dall’inizio, che poi la grammatica generativa si è portata dietro, fino all’elaborazione del Minimalist Program. Il ruolo centrale attribuito alla sintassi però, sostiene ancora Jackendoff (2002; 2009), non è mai stato
dimostrato; al contrario è stato dato semplicemente per scontato. Per questo studioso invece l’approccio più corretto all’elaborazione di una teoria coerente del linguaggio umano che ne collochi lo studio all’interno delle scienze cognitive, deve «regard linguistic structure as the product of a number of parallel but interacting generative capacities – at the very last, one each for phonology, syntax, and semantics.» (Jackendoff 2009:38).
All’impostazione sintattocentrica di Chomsky, Jackendoff oppone allora un modello descrittivo che chiama Parallel Architecture (Figura 5), in cui la peculiarità generativa del linguaggio è spiegata in base ad un sistema computazionale che opera in parallelo su tre componenti distinti, ognuno dei quali ha i propri principi combinatori. Ogni elemento linguistico è quindi scomposto in una struttura che viene messa a disposizione delle altre due parti attraverso un sistema di interfacce che collegano le parti di tutta la struttura. Nella Parallel Architecture la grammatica si compone di tre strutture parallele: la Conceptual Structure (CS) che presiede al significato concettuale, la Syntactic Structure (SS) che si occupa dell’organizzazione sintagmatica e la Phonological Structure (PS) che codifica il messaggio in forma fonetica.
Figura 2: Schema della Parallel Architetture (Da: R. Jackendoff 2009:49).
Le tre parti di questa ipotesi di architettura linguistica non operano fra di loro secondo principi di isomorfismo ma di parziale omomorfismo, per cui operazioni a
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livello di una parte della struttura possono avere una diretta corrispondenza solo nella seconda parte e non nella terza. Un esempio illuminante è dato dalla maggiore o minore forza illocutoria che può caratterizzare l’emissione di un certo enunciato, che pur originandosi all’interno della CS, può non avere effetti sull’organizzazione sintattica della frase, ma essere resa con variazioni prosodiche e quindi interessare il solo livello fonologico.
Come abbiamo osservato nel paragrafo precedente, nella teoria di Chomsky il lessico è generalmente considerato una parte della lingua separata dalle regole della grammatica, fino all’elaborazione del Minimalist Program, in cui le unità lessicali sono inserite nell’organizzazione della derivazione sintattica. Nell’ipotesi sviluppata da Jackendoff il lessico al contrario funziona in parte da collegamento fra le varie parti della struttura:
«Thus a word is best regarded as a type of interface rule that establishes a partial correspondence among pieces of phonological, syntactic, and semantic structure, such that each piece conforms to the formation rules of its own component. In other words, the language does not consist of a lexicon plus rules of grammar. Rather, lexical items are
among the rules of grammar – very particular rules to be sure, but rules nonetheless.»
(Jackendoff 2009:55).
Ogni entrata lessicale viene quindi simultaneamente scomposta all’interno delle tre strutture della Parallel Architecture, ognuna delle quali genera una regola di interfaccia; gli elementi così generati vengono infine allineati nella grammatica. Per fare un esempio che tocca da vicino i temi di questa ricerca, diremo che il passato imperfettivo consiste di una parte di significato (azione passata e dinamica), una parte sintattica (ossia la coniugazione dell’Imperfetto) e una parte fonologica (che nel caso in questione è costituita dalla consonante labio-dentale fricativa /v/ + le terminazioni specifiche).
Jackendoff tuttavia rimane un convinto sostenitore delle tesi mentaliste e innatiste; sebbene la Parallel Architetture non preveda una preminenza della sintassi, quest’ultima ha comunque un ruolo essenziale, di raccordo. Come egli stesso chiarisce:
«Fig. [2] reveals clearly the role of syntax in the parallel architecture. Following traditional views, language as a whole can be thought of a mapping between sounds and meanings; phonological structure is the specifically linguistic encoding of sounds, and conceptual structure is the encoding of meanings. Syntactic structure serves as a “way-station” between these two structures, making the mapping between them more articulate and precise. Thus, although syntax is in the center in Fig. [2], the grammar is no longer syntactocentric […]. Rather, syntax is simply one of the three major generative components in the grammar. Syntax is, however, special in the sense that it is the most “isolated” component: unlike phonology and semantics, it does not have multiple interfaces with other cognitive capacities.» (Jackendoff 2003:126).
In effettise osserviamo la forma di una qualsiasi frase così come viene pronunciata o scritta, e la paragoniamo con la sua rappresentazione ad albero, ci accorgiamo che la sintassi ha la forma lineare della fonologia e la struttura ad incassamento della semantica, il che chiarisce il suo ruolo di raccordo all’interno della capacità linguistica umana. (Jackendoff 2009).
In questa ottica gli affissi flessivi regolari sono considerati lexical items (Jackendoff 2009:61-63) che vengono appresi dall’individuo estraendoli, grazie alla loro frequenza nell’input, come una regolarità legata al contesto in cui essi ricorrono. Ricorderemo che nello stesso modo il bambino impara il significato dei verbi basandosi sul contesto frasale in cui essi sono inseriti. Le forme irregolari, al pari delle espressioni idiomatiche, nella Parallel Architecture sono invece immagazzinate come unità a sé stanti nella memoria a lungo termine, dove sono associate a un concetto e prevedono una certa resa fonetica, ma non sono per questo meno dipendenti dal contesto. Il principio che governa tutta l’architettura della grammatica è di «free combinatoriality» (Jackendoff 2009:62). Quindi un affisso o un morfema differisce da una parola solo in quanto «it is grammatically smaller and requie a word as its grammatical host.» (Jackendoff 2009:62): nella Parallel Architecture dunque non c’è separazione fra parole e regole: le parole sono regole.
Il passo successivo a cui ci guida Jackendoff è l’individuazione del meccanismo che permette a questi items immagazzinati nella memoria a lungo termine di essere assemblati in ampie costruzioni linguistiche nella memoria di lavoro. Questo è reso possibile da un processo di unificazione (unification) che opera
sul modello di un’unione booleana, per cui nella struttura linguistica risultante si unificano le caratteristiche comuni, ma si mantengono le differenze fra gli elementi. Come dicevamo poco sopra, l’unificazione è un meccanismo che agisce tramite un principio di parziale omomorfismo.
Nella Parallel Architecture la sintassi non ha dunque un ruolo centrale, nel senso che non è più considerata il centro dell’espressione linguistica da cui si originano le componenti fonologica e semantica del linguaggio. Nelle parole di Jackendoff stesso, la sintassi è «a sophisticated accounting system for marking semantic relations so that they may be conveyed phonologically.» (Jackendoff 2009:64).
2.1.3. La semantica.
Concentriamoci adesso sugli aspetti semantici della teoria generativa, poiché come abbiamo visto nel capitolo precedente, la semantica costituisce un interesse prioritario all’interno di questa ricerca. Per Chomsky il livello semantico della lingua riguarda la relazione fra lingua e mondo (interno ed esterno) al soggetto e si occupa di come gli esseri umani creano una rappresentazione mentale del mondo attraverso il linguaggio, mentre la gestione delle proprietà combinatorie della lingua rientra nel