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LINGUA E NARRAZIONE.

4.4. Narrare in una lingua altra

[…] Ciò significa che i pensieri non possono essere imbalsamati nelle forme di un’unica lingua, qualunque essa sia: devono essere neutrali rispetto alla lingua in cui essi vengono espressi. » (Jackendoff 1998:250).

Quest’ultima affermazione dello studioso statunitense ci porta direttamente nel campo della lingua seconda, che è ovviamente il centro d’indagine di questo lavoro, da cui abbiamo momentaneamente divagato alla ricerca di un sostegno scientifico alla nostra tesi principale.

4.4. Narrare in una lingua altra.

Dopo questo breve, ma necessario, excursus, è venuto ora il momento di porci qualche domanda sul significato di questo quadro teorico nell’ambito dell’insegnamento linguistico. Dobbiamo a questo punto interrogarci sul valore della narrazione e dell’autobiografia nel campo dell’insegnamento delle lingue non materne. Fino a questo punto abbiamo visto come la lingua e alcune strategie linguistiche stiano alla base del processo di narrazione e autonarrazione indispensabile alla definizione del Sé e quindi dell’identità personale, pertanto riteniamo che il carattere conoscitivo ed ermeneutico della narrazione sia pertinente al campo dell’educazione e della formazione linguistica del soggetto che apprende. Tenteremo adesso di verificare come e in che misura questi assunti teorici possano essere impiegati nell’insegnamento-apprendimento di una lingua seconda e/o straniera.

La prima riflessione che possiamo fare riguarda appunto l’utilizzo di una lingua non materna, la cui competenza d’uso può facilmente avere il carattere della limitatezza, per un’attività cognitiva così complessa come la narrazione e in particolare per la narrazione di esperienze e percezioni personali. Nei paragrafi precedenti abbiamo esaminato il valore semantico della narrazione e il processo cognitivo che partendo dal flusso percettivo si serve della lingua per analizzare e dare senso all’esperienza personale. Quali effetti può avere sull’apprendente il compiere una tale operazione in una lingua non nativa, che di per sé è nella

maggioranza dei casi uno strumento imperfetto? Può questa attività creare disorientamento o favorire l’apprendimento?

Sono domande legittime, che conviene porci prima di ogni altra considerazione teorica, perché non avrebbe senso, in quanto docenti di lingue, proseguire nella ricerca se considerassimo esclusa a priori ogni rilevanza pratica insita nell’uso della narrazione e dell’autonarrazione per l’apprendimento di una lingua non materna, se non considerassimo che tali attività narrative possano essere efficacemente adottate all’interno del profilo di apprendenti preso in considerazione per questa ricerca.

Coinvolgere apprendenti stranieri appartenenti al profilo che abbiamo delineato nel Capitolo 3, per i quali l’italiano è una lingua altra, non nativa, evidentemente implica che lo strumento che questi apprendenti andranno ad usare per narrare e narrarsi sarà ancora incompleto se non rudimentale, il che potrebbe generare in chi è chiamato ad usarlo un pericoloso senso di inadeguatezza e bloccare, in ultima analisi, lo sviluppo della lingua, piuttosto che promuoverlo. C’è un livello minimo di competenza d’uso della lingua che dobbiamo considerare come indispensabile per istituire un percorso narrativo? Quale potrebbe essere per questi studenti, la ricaduta in termini di potenziamento della lingua in apprendimento in primis e poi di educazione linguistica e interculturale inerenti ad un percorso narrativo in lingua non materna? È chiaro che per chi insegna una lingua oggi in un mondo che cambia, talvolta troppo velocemente, qualsiasi sia il profilo degli apprendenti con cui si trova ad operare, l’obiettivo primario sarà sempre quello di accelerare e consolidare il più possibile l’apprendimento, con tutte le ben note considerazioni relative all’innescarsi e al tenere viva la motivazione ad apprendere la lingua, mentre la meta educativa ultima riguarderà l’educazione linguistica e lo sviluppo di una personalità interculturale disponibile all’incontro con l’altro-diverso- da-sé. L’esposizione a contesti didattici di tipo narrativo può in ultima analisi promuovere e potenziare l’evoluzione di un Sé linguistico consapevole delle proprie potenzialità espressive e delle strategie che usa nel suo continuo sviluppo?

Maria Giuseppina Lo Duca in un saggio del 2003 asserisce che è possibile e addirittura consigliabile istituire un percorso glottodidattico basato sul bisogno di narrare partendo da stadi basici di sviluppo della lingua. Ricordiamo che l’atto di

narrare presuppone, come abbiamo visto poco sopra, l’utilizzo di strategie comunicative come il decentramento e la negoziazione che per l’apprendente probabilmente sono già inconsciamente implicite nella comunicazione in lingua materna: la narrazione in lingua straniera permette il trasferimento di queste capacità dalla L1 alla L2, grazie all’ipotesi dell’interdipendenza formulata da J. Cummins (Cummins, 1983, citato in Balboni 2002:162) arricchendo così il nuovo strumento linguistico proprio in termini di competenza comunicativa. A sostegno di questa tesi sottolineiamo che l’atto di narrare storie è universale e presente in tutte le culture, oltre a manifestarsi fin dalla prima infanzia in ogni singolo individuo, proprio perché si basa sul bisogno fondamentale dell’uomo di rielaborare i dati sensoriali della realtà attraverso la parola di cui abbiamo parlato poco sopra; ciò che varia da cultura a cultura è il valore attribuito all’esperienza umana in quanto rispecchia i principi culturali della comunità.

Sintetizzando, diremo che la lingua permette l’autonarrazione e infine induce la presa di coscienza. Nonostante esistano altri codici espressivi, la lingua rimane quello più completo e articolato. L’utilizzo di attività narrative ed autobiografiche può far emergere e facilitare il consolidamento delle strutture aspettuali inerenti al testo narrativo e offrire all’apprendente una strategia consapevole di risoluzione dei conflitti insiti nell’incontro-scontro con la realtà linguistico-culturale del paese che lo/la accoglie.

Considerando dunque che la lingua è uno strumento di conoscenza e organizzazione del mondo, potremo concludere che incoraggiare l’uso di una lingua non materna per la narrazione di esperienze personali che ruotano intorno al contesto di apprendimento linguistico, riduce i rischi che minacciano il senso di Sé e quindi dà sicurezza all’apprendente, il che può avere prima di tutto esiti promettenti in termini di motivazione ad apprendere. Verbalizzare un evento significa capirlo e superare la situazione problematica che questo produce per l’individuo, usando la lingua per decostruirlo e ricostruirlo in un universo testuale – quello narrativo – che crea un nuovo mondo di cui il soggetto narrante può appropriarsi.

Se fatta in una lingua non materna, la narrazione può significativamente contribuire a valorizzare il nuovo strumento linguistico, favorendo proprio per questa ragione la motivazione ad apprendere la nuova lingua: guidare i discenti all’uso della

lingua in apprendimento per la costruzione di testi narrativi significa allora invitarli a dare dignità alla lingua seconda che viene così impiegata per attività significative. All’interno di queste ultime si collocherà il raffinamento della competenza d’uso della lingua, soprattutto in merito ad alcune forme linguistiche della lingua italiana particolarmente problematiche per gli apprendenti angloamericani.

Inoltre, come abbiamo visto, sia in sede teorica che pratica, il testo per quanto minimo, è oggi considerato la naturale espressione della competenza linguistico- comunicativa nella sua completezza. L’esposizione e la produzione di testi narrativi può facilitare la costruzione stabile di una conoscenza linguistico-comunicativa, cognitiva e socio-culturale, in quanto la narrazione dà unità all’uso della lingua. Costituendo un’operazione che rimanda a una funzione cognitiva primaria dell’essere umano, il testo narrativo è al tempo stesso un’occasione di misurarsi in un compito complesso che dà unitarietà alla lingua e che concentra l’attenzione sul compito piuttosto che sui singoli elementi linguistici.

Per tutti questi motivi il valore della narrazione come dispositivo di acquisizione e educazione linguistica non è stato trascurato né dalla ricerca né dalla didattica delle lingue, sia materne che straniere. In questa sede ci limiteremo a render conto di un progetto dell’Università “La Sapienza” di Roma, che come vedremo più nel dettaglio nel paragrafo successivo, riveste un interesse particolare per il nostro studio, in quanto si ispira ai principi teorici enunciati da J. Bruner di cui abbiamo parlato nei paragrafi 2.3 e 4.1. Nell’ultimo paragrafo di questo Capitolo esamineremo infine la proposta didattica narrativa che Maria Giuseppina Lo Duca ha elaborato sulla scorta degli studi di linguistica acquisizionale.