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LA RICERCA: STRUMENTI E METODI.

5.3. La seconda fase della ricerca 1 Considerazioni preliminari.

5.3.2. Scelte metodologiche ed obiettivi.

In letteratura sono rintracciabili due metodologie principali di raccolta e analisi dei dati di apprendimento, per cui troviamo:

- Studi longitudinali - Studi trasversali

Gli studi longitudinali hanno lo scopo di studiare l’evoluzione dell’interlingua di un singolo apprendente, o di un numero ristretto di apprendenti, nel medio e lungo periodo e pertanto si basano su una serie di rilevazioni, condotte ad intervalli di tempo più o meno regolari. Gli studi trasversali invece si concentrano su un’unica rilevazione delle produzioni di un considerevole numero di apprendenti in un

momento particolare dell’apprendimento della lingua, in modo da studiare una fase particolare dello sviluppo interlinguistico. L’analisi dei dati raccolti in uno studio longitudinale è in genere di tipo descrittivo e qualitativo, mentre gli studi trasversali basano l’interpretazione dei dati su misurazioni statistiche e quantitative.

In mezzo a queste due tipologie di studi possiamo trovare anche tipologie miste in cui per esempio raccolte di dati di tipo trasversale sono descritte e interpretate qualitativamente. In queste ricerche si tende a considerare le differenze individuali rilevabili nei dati interlinguistici di un campione abbastanza ampio di apprendenti tenendo conto di quelle variabili soggettive che con l’apprendimento e l’esecuzione linguistica, possono interferire in senso positivo o negativo.

Generalmente fra le variabili individuali si considerano prima di tutto i «fattori affettivi (ansietà, attitudine, motivazione, strategie individuali, autostima)» (Rastelli 2009:25), che sono difficilmente misurabili e quindi fattorizzabili, perché il loro grado di incidenza, anche all’interno dello stesso individuo, può variare notevolmente a seconda del momento e della concorrenza di altri fattori interni ed esterni al soggetto, come per esempio il livello di stanchezza fisica, il tipo di prova da sostenere, il grado di piacere e/o di utilità percepito rispetto al compito. Abbiamo visto, nel capitolo 2, come la motivazione possa nascere e mantenersi nell’individuo che apprende in base ad una stretta interrelazione di elementi esterni e processi interni (di ordine anche biologico) all’individuo.

Tuttavia l’insegnante esperto e adeguatamente formato, conosce a priori i rischi potenziali insiti in tali fattori, per cui impronterà la propria azione didattica generale su strategie che tendano a minimizzare l’instaurarsi del filtro affettivo (Krashen 1981) e a potenziare gli aspetti positivi di tali variabili. Lo stesso criterio vale, più nel dettaglio, anche per la scelta delle tecniche didattiche da adottare e, nel momento di progettare una ricerca sul campo, guiderà l’individuazione degli strumenti di rilevazione dei dati: si dovrà necessariamente prevedere il peso di tali variabili individuali e preferire quelle tipologie di raccolta che limitino l’incidenza di variabili negative. Per questo stesso motivo si è deciso di adottare la metodologia single blind, per cui gli informanti non hanno mai saputo di far parte di una ricerca, il che ha reso le loro produzioni più spontanee e motivate dal solo desiderio di progredire nell’acquisizione della lingua bersaglio.

Altre variabili individuali sono invece più facilmente inviduabili e categorizzabili rispetto a quelle di ordine affettivo. Fra queste rientrano fattori genetici e sociali.

Secondo il neurolinguista Franco Fabbro (2004) il cervello di alcune persone è maggiormente dotato per processare il linguaggio e sembra addirittura che gli individui di genere femminile siano geneticamente più predisposti per l’acquisizione linguistica.

Fra le variabili sociali sono noti i casi di abbandono di una lingua (madre) e di contemporanea preferenza per una lingua seconda parlata all’interno di un gruppo di pari. Da parte nostra riportiamo il caso, che abbiamo avuto modo di osservare in prima persona, di bambini italofoni, abituati a comunicare all’interno della famiglia di origine usando la varietà regionale della lingua e che hanno cominciato a utilizzare il dialetto locale in seguito all’ingresso nella scuola dell’infanzia, dove la maggior parte dei bambini utilizzava il dialetto nelle interazioni fra pari. Questi dati dimostrano il rapporto fra lingua, identità e appartenenza.

Oltre a queste variabili, dobbiamo considerarne poi altre legate al contesto di apprendimento, che possono avere ricadute sul singolo apprendente. Come abbiamo già osservato, prima dell’inizio del corso nel nostro Paese, i gruppi di apprendenti che sono stati sottoposti alla presente ricerca hanno tutti ricevuto la stessa istruzione linguistica guidata per almeno tre trimestri accademici e si trovano tutti inseriti in un certo corso di lingua perché hanno superato con successo i corsi dei livelli precedenti. In alcuni casi però, gli studenti avevano completato i corsi dei livelli inferiori in periodi anche significativamente precedenti al loro arrivo in Italia; in altri invece l’ultimo corso del primo anno era stato superato nel trimestre immediatamente precedente al loro soggiorno a Firenze. La conoscenza della lingua basata sulla sola istruzione formale e il maggiore o minore tempo intercorso fra il termine dell’ultimo corso in patria e l’arrivo nel centro universitario fiorentino, costituiscono due variabili potenzialmente degne di nota in previsione del livello di reale competenza d’uso degli apprendenti. Dobbiamo tener presente che presumibilmente in questi studenti prevarrà una conoscenza esplicita della lingua, che oltre tutto potrebbe aver bisogno di un notevole sforzo di riattivazione, in quanto,

come abbiamo notato, il termine del loro ultimo corso di lingua potrebbe facilmente coincidere con l’ultima volta che hanno avuto occasione di usare l’italiano.

Tutto questo ci ha portato a concludere che nel nostro studio fosse più appropriata una rilevazione di tipo trasversale, i cui dati saranno poi descritti e interpretati qualitativamente. Le rilevazioni che abbiamo condotto si sono protratte quasi per l’intero arco delle dieci settimane su cui si snoda il corso di lingua, per cui fanno parte del nostro corpus produzioni raccolte sia nelle prime settimane del corso, quando gli apprendenti erano limitatamente esposti ad input sia guidato che spontaneo in Italia, sia nel corso del loro soggiorno a Firenze, quando le interazioni all’interno della classe e con i parlanti nativi, fuori dalla classe, erano ormai numerose.