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L’ACQUISIZIONE LINGUISTICA: L1 E L2.

2.3. L’approccio costruttivista di J Bruner.

Quando nel 1972 Jerome Bruner si unì alla Scuola di Oxford, di cui faceva parte anche John Austin, i suoi studi si concentrarono sull’idea che il linguaggio è un fenomeno sociale e per questo è essenzialmente un’interazione fra individui e non un «fenomeno interindividuale»: per questo l’acquisizione linguistica interessa gli ambiti «cognitivo, comunicativo e culturale» (Taddeo 2007).

In effetti Bruner, anche in studi successivi, riconosce l’esistenza di meccanismi innati che guidano lo sviluppo linguistico e sociale dell’individuo, ma si discosta in parte dagli studi cognitivisti da cui è scaturita la teoria della Grammatica Universale. Il cognitivismo, nato in aperta contrapposizione con il comportamentismo che considerava l’acquisizione linguistica da parte del bambino un semplice processo di imitazione del comportamento linguistico adulto, secondo Bruner è venuto meno al suo scopo fondamentale, ossia quello di cercare di spiegare i comportamenti umani. La metafora computazionale elaborata dalla linguistica generativa per rendere conto dell’attività del cervello nel processo di elaborazione del linguaggio, ha separato l’uomo dal suo contesto sociale; Bruner intende invece recuperare questa dimensione nella sua opera (Bruner 1987; 1992).

Secondo Bruner la dotazione cognitiva del bambino è transazionale, sistematica, combinatoria, astratta, e ha l’obiettivo di cercare regolarità nei dati sensoriali in un processo di costruzione di ordine della propria esperienza nel mondo. Queste proprietà sono rintracciabili in ogni situazione di interazione fra bambino e ambiente circostante, per cui quando incontra il linguaggio, il bambino è già abituato a compiere questo tipo di operazioni. Prima di acquisire il linguaggio, il bambino deve quindi avere una sufficiente conoscenza del mondo. Il ben noto binomio lingua- cultura è di per sé inscindibile perché la comunicazione è cultura ancor prima che lingua e si instaura fra due individui che condividono delle routine comunicative sulle quali l’elemento verbale si innesta sviluppandosi ed arricchendo la comunicazione stessa. Queste routine comunicative sono essenzialmente culturali nel senso che esse hanno un valore comunicativo all’interno di una determinata cultura e possono non averlo (o averne uno diverso) in un’altra qualsiasi cultura. (Bruner, 1987; 1992; 2007).

Come è noto Bruner si occupa principalmente dell’apprendimento della lingua madre e del rapporto eminentemente affettivo che si instaura in particolare fra adulto-caregiver e bambino, rapporto dal quale partirà l’apprendimento della lingua da parte del bambino. Lo studioso chiarisce infatti che il concetto di routines comunicative – che egli chiama format (formati, nella traduzione italiana della sua opera) - si riferisce essenzialmente a questa situazione primaria che prelude all’apprendimento linguistico:

«Un formato è un’interazione abituale e ripetuta in cui un adulto e un bambino fanno delle cose l’uno all’altro e con l’altro. Dal momento che tali formati spuntano prima del “linguaggio” lessico-grammaticale, essi sono degli strumenti fondamentali per il passaggio dalla comunicazione al linguaggio verbale.

Un formato è un’interazione contingente fra almeno due parti attive, contingente nel senso che si può mostrare che le risposte di ogni membro dipendono da una precedente risposta dell’altro. […] alla fine, i formati forniscono la base per gli atti linguistici e per le condizioni di felicità vincolanti. Noi impariamo ad applicarli mediante il “linguaggio”.» (Bruner 1987:101-102).

La comunicazione fra adulto-caregiver e bambino inizia da subito, fin dal momento della nascita e precede lo sviluppo della lingua nel bambino. Secondo Bruner (1975), come abbiamo visto poco sopra, fra i due si instaurano delle routine comunicative che riguardano i momenti fondamentali in cui è scandita la giornata del bambino (come la poppata, il sonnellino pomeridiano, la passeggiata…) che anticipano lo sviluppo e l’integrazione della componente verbale nella comunicazione. La ripetitività e la ritualità tipiche dei format sono pervase di affettività positiva e consentono di prevedere le risposte dell’altro: da qui si originano le intenzioni comunicative che favoriranno lo sviluppo della comunicazione verbale.

In queste caratteristiche dei format Bruner intravede il Language Acquisition Support System (LASS) che oppone alla famosa ipotesi teorizzata da Noam Chomsky (1957) riguardante la presenza di un meccanismo innato nel cervello umano definito Language Acquisition Device (LAD). Ma l’uno non esclude l’altro: al contrario i due sistemi, il primo interno e l’altro esterno, cooperano nello sviluppo della lingua:

«Senza alcun dubbio, esiste qualcosa nel genoma dell’uomo che predispone gli esseri umani ad interagire fra di loro in forma comunicativa proprio in questo modo […]. […] l’acronimo LASS, non è in alcun modo esclusivamente linguistico. Esso è una parte, un tratto centrale del sistema attraverso cui gli adulti trasmettono la cultura, della quale il linguaggio è sia strumento che creatore.» (Bruner 1987:92).

Anche in questo passo, Bruner torna a sottolineare l’importanza fondamentale della cultura di appartenenza come sistema che fornisce e definisce i parametri della comunicazione fin dalla fase proto-linguistica. Caterina Cangià (2009:29), in un suo recente contributo asserisce, riferendosi agli studi di Bruner:

« […] l’accesso al linguaggio avviene attraverso l’accesso alla cultura: “trovare il senso” e “creare significati” sarebbe, infatti, un processo sociale, un’attività che è sempre situata all’interno di un contesto storico-culturale. E’ talmente importante l’ambiente culturale che […] il linguaggio non può essere capito che dal suo interno.»

I format sono inoltre legati allo sviluppo del pensiero narrativo (Brunner 1986), in quanto, «possiedono una struttura sequenziale ed una storia, […] essi consentono al bambino di sviluppare i concetti primitivi di tempo aspettuale.» (Bruner 1987:103).

La lingua e il suo sviluppo, congiuntamente a una particolare modalità cognitiva, sembrano quindi legati fin dalla primissima infanzia alla narrazione: una forma basilare e preverbale di questa promuove sia l’acquisizione linguistica che l’instaurarsi del pensiero narrativo, che della lingua si nutre e che costituisce «in definitiva, […]la struttura narrativa della nostra mente.» (Taeschner, Pirchio, Rinaldi 2009:75). Marco Taddeo (2007:3) sintetizza bene il pensiero di Bruner che abbiamo esposto in queste pagine:

«Bruner chiama quest’unità di comunicazione format, che definisce come una struttura d’interazione standardizzata, inizialmente microcosmica fra un adulto e un bambino, che contiene dei ruoli delimitati, che alla fine diventano reversibili (Bruner 1983). Un format nasce nel momento in cui un contesto naturale viene convenzionalizzato, ritualizzato con delle procedure ripetitive permettendo al bambino di fare emergere dallo sfondo del flusso fenomenico dei segnali significativi e stabili. Le azioni di ciascuno dei due partecipanti sono

contemporaneamente risposta e stimolo successivo, in un processo di influenzamento reciproco che permette di creare forme sempre più evolute di cooperazione. Essi costituiscono il principale veicolo attraverso cui è possibile rendere chiare le proprie intenzioni comunicative e cogliere quelle altrui. Di conseguenza i format sono gli strumenti fondamentali per il passaggio dalla comunicazione alla verbalizzazione poiché possiedono una struttura sequenziale, una storia, implicano l’elaborazione di un’intenzione ed una attività interpretativa.»