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Caso Bernard: indennità di formazione e libertà di circolazione

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 90-95)

2.3 Lo sport europeo dopo la sentenza Bosman

2.3.7 Caso Bernard: indennità di formazione e libertà di circolazione

Premessa

La sentenza della Corte di giustizia del 16 marzo 2010, Causa C-325/08, Olympique Lyonnais SASP contro Olivier Bernard e Newcastle UFC, affronta il tema del trasferimento dei calciatori che, sebbene risalente nella giurisprudenza della Corte di giustizia, evidentemente non è ancora esaurito.

Prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, avvenuta il 1 dicembre 2009, si percepiva la convinzione che il diritto dell'UE potesse inserirsi nel mondo sportivo solo ed esclusivamente nei limiti in cui l'attività sportiva in

esame presentasse rilievo economico, tale conclusione non appare adesso altrettanto pacifica.

Già nel 2007 la Commissione con il Libro bianco sullo sport, ma ancor prima con la “Dichiarazione n. 29” sulle specificità dello sport e sulle sue funzioni sociali allegata al Trattato di Amsterdam, hanno evidenziato le molteplici motivazioni, non solo economiche, che talora giustificano l'intervento dell'ordinamento giuridico dell'UE in questo settore.

Il Trattato di Lisbona conferma questa possibilità con l'introduzione all'art. 165 TFUE di una specifica disposizione che segna il riconoscimento «costituzionale» della funzione sociale ed educativa dello sport a livello comunitario; sebbene lo stesso Trattato all'art. 6 TFUE ne limiti gli interventi a mere azioni di sostegno, coordinamento e completamento, riconoscendo la competenza di base del legislatore nazionale.

Alla luce di questo scenario esaminiamo la pronuncia in questione, in particolar modo per verificare se, a quindici anni dal caso Bosman, la riproposizione di vecchie problematiche ammette nuove soluzioni.

I termini del caso affrontato dalla Corte

La vicenda nasce dalla diatriba insorta tra l'Olympique Lyonnais, da una parte, ed il giocatore Olivier Bernard e il Newcaste United, dall'altra. Le ragioni del del dissidio tra la squadra transalpina e quella inglese partono dal lontano 1997, anno in cui il giovane calciatore Olivier Bernard stipulò un contratto triennale di formazione con la società francese.

Con una finalità non dissimile da quella dell'art. 6 della legge 91/81, come novellato dopo la sentenza Bosman, il regolamento della FFF (Federation Francaise de Football), disponeva l'obbligo per i giocatori “promessa” (joueurs

espoir), al termine del suddetto contratto di formazione e nel caso in cui la

società che ne aveva curato la formazione lo richiedesse, di sottoscrivere il primo contratto di giocatore professionista con la società medesima. A fronte di tale obbligo, non era però prevista alcuna penale.

Prima dello scadere del contratto di formazione, L'Olympique Lyonnais, aveva esercitato tale facoltà, proponendo al sig. Bernard la sottoscrizione di un contratto da professionista della durata di un anno a decorrere dal 1 luglio 2000.

Il giocatore, per niente soddisfatto delle condizioni proposte, concludeva invece nell'agosto del 2000 un contratto come giocatore professionista con la società sportiva inglese Newcastle UFC.

La società calcistica francese presentò ricorso tramite i rimedi previsti dall'ordinamento giuslavorista nazionale contro il giocatore e il club inglese per aver violato la normativa federale sui trasferimenti, chiedendo il risarcimento del danno il cui ammontare era stato quantificato in una somma pari alla retribuzione che il calciatore avrebbe percepito in un anno qualora avesse sottoscritto regolarmente il contratto con la società francese. Sebbene in primo grado la ricorrente aveva visto accolta la sua richiesta, la Corte d'Appello riformava la sentenza ritenendo tale risarcimento contrario all'art. 45 TFUE. Pertanto, L'Olympique Lyonnais impugnava la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione che decideva così di sospendere la causa principale e rimettere al giudice comunitario un duplice quesito interpretativo.

In primo luogo si chiedeva se il sistema previsto dalla federazione francese, che prevedeva l'obbligo per il giocatore promessa di sottoscrivere il primo contratto come professionista con la società formatrice, costituisse una illegittima restrizione alla libera circolazione dei lavoratori ed in secondo luogo, ove tale ipotesi fosse integrata, se l'obiettivo di incentivare l'ingaggio e la formazione di giovani calciatori professionisti possa costituire un obiettivo legittimo o una ragione imperativa di interesse generale tale da giustificare tale restrizione.

Il contenuto della sentenza

La Corte, dopo aver precisato che l'attività di lavoro dipendente svolta dal giocatore Olivier Bernard costituisce un'attività economica che rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 45 del TFUE, ha rilevato come il regime che impone ad un giocatore “promessa” di firmare il primo contratto da

professionista con la società vivaio rappresenti una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori.

Inoltre si ribadisce un costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'art. 45 TFUE (ex art. 39 TCE) non disciplina soltanto gli atti delle autorità pubbliche, ma si applica anche alle normative di altra natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato.

Il ragionamento della Corte si sviluppa secondo sue passaggi logici.

Con il primo passaggio, che costituisce una conferma dei principi espressi nella sentenza Bosman, la Corte stabilisce che l'articolo della Carta dei calciatori professionistici francesi, pur non impedendo al giocatore di sottoscrivere in via formale un contratto come professionista con una società di altro Stato membro, nei fatti costituisce un ostacolo concreto all'esercizio di tale diritto, visto che è idoneo a dissuadere il giocatore dall'esercitare il diritto alla libera circolazione, riducendo la possibilità di scegliere liberamente il soggetto cui prestare la propria capacità lavorativa. Nel secondo passaggio, più innovativo, la Corte dopo aver ribadito che, secondo i principi generali, una misura che ostacoli la libera circolazione è ammessa solo qualora persegua uno scopo legittimo compatibile con il Trattato, riconosce che l'obiettivo di incoraggiare l'assunzione e la formazione dei giovani calciatori è legittimo, in considerazione del rilievo che ha assunto il fenomeno sportivo professionistico a livello sociale in Europa, come confermato all'art. 165 TFUE, e inoltre riconosce nell'indennità di formazione la modalità giusta per realizzare tale scopo, offrendo lo stimolo giusto alle società sportive per cercare nuovi giocatori di talento e per assicurare la formazione dei giovani calciatori. Il nodo focale su cui si sposta l'indagine della Corte è rappresentato dalla verifica che il mezzo non ecceda quanto necessario per conseguire lo scopo. Si tratta del test di proporzionalità, efficacemente definito «leit motiv della giurisprudenza della Corte in materia di “limiti” al Trattato».88

Secondo la Corte, il regime previsto dalla legislazione francese, che non prevedeva propriamente un'indennità di formazione ma un risarcimento del 88 S. Giubboni, G. Orlandini, La libera circolazione dei lavoratori nell'Unione europea.

danno che non tiene conto conto dei costi di formazione, ma che viene stabilito sulla base di una valutazione con criteri non precisati ex ante, va ben al di là di quanto necessario ai fini della promozione dell'ingaggio e della formazione di giovani giocatori, nonché del finanziamento di tali attività, è quindi un regime non proporzionato allo scopo.

La sentenza in esame rappresenta uno sviluppo ed una elaborazione di quanto non affermato, e neanche apertamente negato in occasione del caso Bosman. La Corte in tale sentenza aveva ritenuto non proporzionale il sistema delle indennità calcistiche. Secondo l'interpretazione data in quel caso, «essendo impossibile prevedere l'avvenire sportivo dei giovani calciatori e poiché solo pochi di essi si dedicheranno all'attività professionistica, le indennità di formazione non possono svolgere un ruolo determinante». Ma dopo aver sottolineato l'illegittimità della previsione di tale indennità vista l'aleatorietà della condizione dei giocatori “promessa” la Corte, in un'argomentazione ad abundantiam, sosteneva che «comunque, non hanno alcun rapporto con le spese effettivamente sostenute dalle società per formare sia i futuri calciatori professionisti, sia i giovani che non diventeranno mai tali».89 Tale inciso, non aveva comunque indotto la Corte a

ritenere ammissibili possibili eccezioni alla libera circolazione dei lavoratori. Nella sentenza in esame la Corte riprende e sviluppa quell'inciso, sino a farlo divenire una vera e propria eccezione al sistema.

La Corte, stabilisce che non osta all'art. 45 TFUE un sistema che, al fine realizzare l'obiettivo di incoraggiare l'ingaggio e la formazione di giovani calciatori, garantisca alla società che ha curato la formazione un indennizzo nel caso in cui il giovane giocatore, al termine del proprio periodo di formazione, concluda un contratto come giocatore professionista con una società di altro Stato membro, purché esso tenga conto degli effettivi costi della formazione.

Sullo sfondo di tale riconoscimento si colloca la strategia di Lisbona, la quale individua come obiettivo primario la formazione dei lavoratori in tutti i settori.

Per incentivare le imprese a investire nella formazione, deve essere prevista una indennità di formazione che consenta di recuperare le spese sostenute.

Alla luce di quanto detto, è possibile rispondere negativamente a quei dubbi di legittimità che avevano accompagnato l'introduzione, all'art. 6 della legge 91/81, del premio di addestramento e di formazione tecnica.

2.4 La condizione degli atleti-cittadini extracomunitari

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 90-95)