• Non ci sono risultati.

La tutela dei vivai giovanili

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 124-129)

L'esigenza della tutela dei vivai giovanili può spingersi fino a diventare la

ratio della limitazioni al tesseramento degli sportivi stranieri? Diventando una

c.d. eccezione sportiva opponibile al divieto di discriminazione per motivi attinenti la nazionalità?

Questa eccezione viene giustificata dalla necessità di contrastare il fenomeno, per il quale le società sportive professionistiche non investono più nei vivai giovanili, ma preferiscono acquistare nei paesi più poveri, stock di giovani atleti, concentrandosi poi, solo sullo sportivo di talento per ammortizzare l'investimento effettuato, ed abbandonando gli altri atleti che sono considerati un puro costo. Tale eccezione sarebbe volta a garantire gli investimenti fatti dalle società sportive nella formazione giovanile dei giocatori nazionali.

Tale valutazione si rende necessaria anche alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia del 16 marzo 2010, sul c.d. caso Bernard, già analizzato in precedenza. In tale dispositivo la Corte ha ritenuto meritevole di tutela «lo scopo dell'incoraggiamento dell'ingaggio e della formazione di giovani calciatori», considerata la notevole importanza della funzione socio-educativa dell'attività sportiva e della relativa specificità così come espressamente riconosciute dall'art. 165 TFUE.

In tale pronuncia la Corte non ha ritenuto che qualsiasi mezzo prescelto per il perseguimento del suddetto obiettivo sia meritevole di tutela e, quindi, compatibile con il regime di tutela della libertà di circolazione delle persone, essendo necessario dimostrare relativa legittimità in termini di effettiva idoneità al raggiungimento del predetto scopo.

106 Per la stagione 2014-2015 l'obbligo è così definito: A1M e A1F almeno 3 italiani/e sempre in campo, A2M e A2F almeno 5 italiani/e sempre in campo.

Tale statuizione va ricollegata a quanto già affermato dalla Corte, secondo la quale le clausole di cittadinanza non sono idonee a garantire il leale e corretto svolgimento delle competizioni, né tanto meno la tutela dei vivai giovanili, in quanto, se è vero che tali clausole impediscono alle squadre più facoltose di ingaggiare i migliori calciatori stranieri, altrettanto certo è che non esiste nessuna norma che limiti la facoltà dei club sportivi di ingaggiare i migliori calciatori nazionali.

Altresì può ritenersi che le clausole di cittadinanza non assicurano la parità di

chances di carriera tra i vari atleti. Infatti, se è vero che la libera circolazione dei

lavoratori, rendendo accessibile il mercato del lavoro di uno Stato membro ai cittadini degli altri Stati membri o extracomunitari, ha l'effetto di ridurre le possibilità dei lavoratori nazionali di trovare un'occupazione nel territorio dello Stato cui appartengono, è anche vero che essa offre loro in cambio nuove prospettive di occupazione negli altri Stati.

Inoltre, visto che è impossibile prevedere con certezza l'avvenire sportivo dei giovani atleti, e che solo pochi di esse proseguono la carriera dedicandosi all'attività sportiva professionistica, le suddette limitazioni si caratterizzano per l'incertezza e l'aleatorietà dei risultati.

Ciò considerato, in forza del principio di proporzionalità, lo scopo dell'incentivazione della formazione e dell'assunzione dei giovani calciatori potrebbe essere conseguito in modo efficace con altri strumenti che non intralcino la libera circolazione dei lavoratori, come ad esempio la ripartizione dei proventi realizzati dalle società nei settori giovanili, come previsto dall'art. 10 comma 3 della l. 91/81, nella misura del 10% degli utili oppure attraverso il finanziamento alle società sportive dell'attività sportiva giovanile da parte di istituzioni come il CONI.

Il punto fondamentale della questione è l'errata convinzione che i vivai debbano essere costituiti da cittadini per nascita del Paese il cui il singolo vivaio è presente.

Infatti, tale convinzione è sconfessata dalla odierna società multi-etnica, in cui fin dai primi anni di scuola, convivono bambini di diverse nazionalità e culture ma in unico contesto sociale.

Ecco perché si avverte la necessità di adottare una nuova nozione di vivaio, in cui il criterio della cittadinanza per nascita sia sostituito da quello della residenza stabile in un luogo e serva ad individuare lo spazio in cui l'attività sia svolta.

A differenza del concetto di cittadinanza, quello di residenza implica la permanenza nel tempo e nello spazio di un individuo, che sarà caratterizzato dal fatto di avere acquisito una formazione nell'ambito di un medesimo e continuato programma formativo. Così individuato, il giovane formato da un vivaio sarà nettamente distinguibile dagli altri giocatori, altrettanto giovani, ma provenienti dall'estero in virtù di un semplice contratto d'ingaggio e che non possono vantare il patrimonio formativo di cui sono titolari i giocatori provenienti dalla formazione giovanile del club di appartenenza.

In tale prospettiva, è significativa la regola, dei calciatori formati in casa, (home grown players), ovvero del “4+4” proposta dalla UEFA, nei confronti della quale l'UE si è manifestata favorevole, in quanto norma proporzionata allo scopo perseguito (la tutela dei vivai).107

In base a quest'ultima regola, a partire dalla stagione 2008/2009 le squadre partecipanti alla Champions League e alla Europa League, dovranno predisporre delle liste di 25 giocatori che contemplino la presenza di quattro calciatori che, indipendentemente dalla nazionalità, siano stati formati nel proprio vivaio, ovvero siano stati tesserati, tra i 15 e i 21 anni, per un minimo di tre stagioni sportive, ovvero per un periodo di 36 mesi, presso la stessa squadra che li schiera in campo, nonché di quattro calciatori formati in altro vivaio nazionale. I posti che dovessero risultare vacanti a causa del mancato rispetto dei sopra descritti criteri non potranno esser ricoperti in altro modo.108

107 Parlamento Europeo, Risoluzione dell'8 maggio 2008 sul Libro Bianco sullo sport.

108 Il 20 novembre 2014, il Consiglio Federale della FIGC ha approvato a maggioranza la riforma del tetto delle rose delle società di serie A. Le rose delle squadre di Serie A dovranno essere composte massimo da 25 calciatori, di cui 17 di qualsiasi età e nazionalità, 4 calciatori che hanno militato nel settore giovanile (dai 15 ai 21 anni per tre stagioni o trentasei mesi, anche non continuativi) e 4

Al riguardo l'UE ritiene tale regola idonea a favorire la promozione dei calciatori provenienti da programmi di formazione, ovvero dal vivaio locale, in cui possono essere formati giovani di varie cittadinanze, ma tutti accomunati dalla titolarità della medesima residenza e dalla condivisione delle stessa formazione non solo sportiva, ma anche scolastica, rispecchiando anche nello sport i cambiamenti della società.

2.8.1 Possibili criticità della regola dell'home grown players

La norma in esame, quindi, non fa espressamente riferimento alla nazionalità del calciatore, ma inserisce nel sistema un criterio che potrebbe portare ad un effetto discriminatorio, favorendo i calciatori aventi nazionalità del Paese all'interno del quale il club è stabilito. Infatti, dalle regole che definiscono il calciatore di formazione nazionale (locally trained players) sopra descritte, risulta probabile che i settori giovanili siano costituiti da atleti aventi la stessa cittadinanza della società che provvede alla loro formazione, tenuto conto della giovane età dei calciatori appartenenti ai vivai ed alla luce del fatto che nei settori giovanili la selezione degli atleti è svolta in loco,

Tale conclusione è avvalorata dall'art. 19 del Regolamento FIFA sullo Status e il Trasferimento dei Calciatori109, il quale vieta il trasferimento all'estero dei

calciatori che non abbiano ancora compiuto il diciottesimo anno di età. Costituiscono eccezioni a tale divieto soltanto i casi in cui:

a) I genitori del calciatore si trasferiscono nel Paese della nuova società per

motivi indipendenti dal calcio.

b) Il trasferimento avviene all’interno del territorio dell’Unione Europea

(UE) o dell’Area Economica Europea (AEE) e il calciatore ha un’età compresa fra i 16 e i 18 anni. In questo caso la nuova società è tenuta a soddisfare i seguenti obblighi minimi:

cresciuti in una società italiana qualsiasi, (sempre dai 15 ai 21 anni per tre stagioni o trentasei mesi, anche no continuativi). Si potranno tesserare liberamente under 21 anche stranieri. Al tempo in cui si scrive, non è dato sapere da quale stagione sportiva, tali norme diverranno obbligatorie.

i) fornire al calciatore un’adeguata istruzione e/o formazione calcistica in

linea con i più elevati standard nazionali;

ii) garantire al calciatore una formazione accademica e/o scolastica e/o

formazione professionale, in aggiunta alla sua istruzione e/o formazione calcistica, che consenta al calciatore di perseguire una carriera diversa da quella calcistica nel momento in cui dovesse cessare l’attività professionistica;

iii) adottare tutte le misure necessarie affinché il calciatore sia seguito nel

miglior modo possibile (ottime condizioni di vita presso una famiglia ospitante o una struttura della società, nomina di un tutore all’interno della società, ecc.);

iv) all’atto del tesseramento del calciatore, dimostrare alla Federazione di

appartenenza di avere soddisfatto tutti i succitati obblighi;

c) Il calciatore vive in una località ubicata ad una distanza massima di 50 km

dal confine nazionale e la società all’interno della federazione confinante per la quale il calciatore desidera essere tesserato si trova altresì a 50 km di distanza dallo stesso confine. La distanza massima fra il domicilio del calciatore e la sede della società sarà quindi di 100 km. In questi casi, il calciatore deve continuare ad abitare nel proprio domicilio e le due Federazioni interessate dovranno dare il loro esplicito consenso.

Emerge quindi che la FIFA, limita il trasferimento dei giovani atleti, aventi meno di diciotto anni, mentre la UEFA richiede che almeno otto atleti delle rose che partecipino alle competizioni da essa organizzate, debbano essere proprio giovani atleti.

Se si legge la regola dell'home grown players alla luce dell'art. 19 sopra riportato, il quale pone significativi limiti alla circolazione nei settori giovanili, risulta ancora più evidente come il sistema previsto dai Regolamenti UEFA produca l'effetto di favorire non i calciatori di formazione nazionale, come dichiarato ma semplicemente i calciatori “nazionali” (ovvero i cittadini di un certo stato membro).

Inoltre, tenuto conto che quattro degli otto calciatori di formazione nazionale, non necessariamente debbono provenire direttamente dal vivaio, essendo sufficiente che, in passato, essi siano stati tesserati per lo stesso club o nell'ambito della stessa Federazione, è verosimile che le società, interessate dall'applicazione della norma in esame, saranno incentivate ad ingaggiare calciatori “nazionali” a discapito degli atleti formati altrove.

Di conseguenza, le occasioni di ingaggio e di utilizzo aumenteranno per i calciatori aventi la stessa nazionalità del club e tendenzialmente si ridurranno per gli atleti stranieri.

Tale effetto potrebbe produrre una disparità di trattamento, in quanto la norma introduce dei criteri di selezione che, seppur non espressamente riferiti alla nazionalità, nei fatti portano comunque ad un effetto discriminatorio. Infatti, la Corte di giustizia ha precisato che «il principio della parità di trattamento sancito sia all'art. 45 TFUE sia all'art. 7 del regolamento n. 1612/68 vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato»110.

Pertanto il sistema dell'home grown players, introducendo dei limiti potenzialmente discriminatori nei confronti degli atleti stranieri, presenta elementi di criticità sia alla luce dell'art. 45 TFUE sia del Regolamento CEE n. 1612/68.

Inoltre, la tutela dei vivai potrebbe essere realizzata attraverso strumenti alternativi, quali ad esempio: incentivi per le società che investono nel settore giovanile; sgravi fiscali; creazione di un fondo cofinanziato dalle Istituzioni competenti e dalle società sportive finalizzato a finanziare lo sport giovanile.

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 124-129)