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La legittimità delle “indennità di trasferimento, di formazione

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 65-68)

2.2 La sentenza Bosman e la fine del trattamento differente per il calcio

2.2.6 La legittimità delle “indennità di trasferimento, di formazione

Nel trasferimento del giocatore professionista tra club dello stesso Stato.

Il primo limite contenuto nella sentenza è che il suo dispositivo è applicabile solamente nel caso un cui il trasferimento coinvolga lo spostamento del giocatore tra club di diversi Stati comunitari. Accertato infatti che un'associazione sportiva non può ostacolare in alcun modo la libera circolazione dei lavoratori nell'ambito dell'Unione Europea legittimando la pretesa di una squadra al pagamento di «indennità di trasferimento, di formazione, o di promozione», c'è da chiedersi se la stessa pretesa sia legittima nel caso di trasferimenti: di giocatori professionisti tra club dello stesso Stato, di giocatori che non abbiano la nazionalità di uno degli Stati membri.

Tale verifica deve essere effettuata partendo da una premessa: sin dal caso “Saunders”, la Corte di giustizia ha accertato che «le disposizioni del Trattato in materia di libera circolazione dei lavoratori non possono essere applicate a situazioni puramente interne di uno Stato membro, cioè in mancanza di qualsiasi fattore di collegamento ad una qualunque delle situazioni contemplate dal diritto comunitario.69

In pratica, se il giocatore deve essere trasferito tra due squadre del Paese di cui è cittadino, il trasferimento non coinvolge né la libera circolazione dei lavoratori nell'Unione europea, né il divieto di discriminazioni in base alla nazionalità. Ne deriva che né l'art. 48 né l'art. 6 del Trattato, potranno essere di ostacolo alla pretesa della squadra di origine ad una «indennità di trasferimento, di formazione o di promozione».

Così la sentenza Bosman, dando luogo alla coesistenza di due regimi distinti in materia di trasferimenti di giocatori liberi da contratto a seconda che questi si realizzino tra club di due stati membri differenti o no, incentiva i trasferimenti internazionali dei giocatori liberi da impegni contrattuali a detrimento dei trasferimenti nazionali, alterando la funzione propria dell'art. 48, vale a dire la 69 Sentenza Saunders, causa 175/78.

mera eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione tra gli Stati membri dei giocatori professionisti. Da qui la necessità di un adeguamento dei regimi dei trasferimenti nazionali, in Italia avvenuto con la legge n. 586/1996, al regime imposto dall'art. 48 del Trattato CEE per i trasferimenti tra club di differenti Stati membri. Infatti, l'art. 6 comma 1 della legge n. 91/1981 prevedeva nel caso di cessione di un'atleta in scadenza di contratto, il pagamento di un'indennità di preparazione e di promozione, secondo i parametri fissati dalle rispettive federazioni. A seguito della sentenza Bosman, il legislatore ha provveduto ad abrogare l'art. 6 comma 1, citato, modificando anche il comma 2 nella formulazione che segue: «Alla società od alla associazione sportiva che, in virtù di tesseramento dilettantistico o giovanile, ha provveduto all'addestramento e formazione tecnica dell'atleta, viene riconosciuto il diritto di stipulare il primo contratto professionistico con lo stesso atleta». Tale disposizione, consente di tutelare i vivai e di remunerare gli sforzi economici, sostenuti soprattutto dai club con minori introiti, nella formazione dell'atleta.

Ad oggi, quindi, lo sportivo professionista in Italia (in scadenza di contratto) è libero di instaurare un nuovo rapporto di lavoro con una diversa società in Italia senza che nulla sia dovuto alla squadra di provenienza, salvo che essa abbia provveduto alla formazione e all'addestramento tecnico dell'atleta e che quest'ultimo stipuli il suo primo contratto da professionista.

Ugualmente non coinvolge il diritto comunitario il trasferimento di un giocatore proveniente da un paese terzo rispetto alla Comunità.70

Nel trasferimento del giocatore professionista che siano pretese in costanza di un contratto che vincola il giocatore alla società

Dal dispositivo della sentenza risulta che l'art. 48 del Trattato CEE osta alla pretesa di una squadra di “indennità di trasferimento, di formazione o di 70 In proposito si veda anche il punto 246 delle conclusioni presentate dall'Avv. generale dove viene

precisato che «una società nella Comunità che intendesse ingaggiare un calciatore che in precedenza svolgeva la sua attività presso una società di un Paese terzo seguiterebbe a dover pagare

un'indennità di trasferimento, persino nell'ipotesi in cui tale calciatore fosse cittadino di uno Stato membro della Comunità.

promozione” del giocatore alla scadenza del contratto che lo vincola ad una società.

Ma l'obbligo del pagamento ostacolerebbe la libera circolazione dei lavoratori anche in pendenza di contratto, ma in costanza di un contratto tra l'atleta e la società, il motivo del pagamento di una indennità alla squadra che cede lo sportivo è radicalmente diverso da quello che viene pagato a fine rapporto; non si tratta più di una indennità da pagare per aver formato o promosso il calciatore ma della retribuzione necessaria a compensare una società per aver rinunciato all'opera del calciatore, opera che questi era tenuto a prestare in virtù di un contratto liberamente sottoscritto. La richiesta di pagamento per il trasferimento del giocatore, risulta del tutto legittima.

Nel trasferimento del giocatore non professionista

Quanto agli sportivi dilettanti, la maggioranza della dottrina considera inapplicabile il Trattato agli sportivi dilettanti. Tale affermazione merita una precisazione: la nozione di lavoratore subordinato ai sensi dell'art. 48 ha una portata comunitaria, nel senso che viene definita in maniera autonoma rispetto alle formule operanti a livello nazionale. Non basta che una legge statale definisca subordinato un determinato lavoratore per applicargli l'art. 48; così come non è sufficiente che si stabilisca a livello nazionale che una data forma di esercizio dell'attività sportiva è dilettantistica per escludere ogni rilevanza dell'art. 48. Per applicare questa disposizione occorre che siano presenti tre requisiti: lo svolgimento di attività reali ed effettive, la remunerazione e il vincolo di subordinazione. Quindi, solo grazie ad un esame concreto dei rapporti tra il calciatore dilettante e la sua squadra si potrà appurare la riconducibilità della sua attività all'art. 48, essendo possibile che rientri nella nozione di atleta professionista per il diritto comunitario, anche colui che, sebbene non sia legato alla squadra da un rapporto d'impiego, riceva da quest'ultima una vera e propria

retribuzione anche se sotto forma di consistenti premi partita o premi ingaggio o premi classifica.71

Ne deriva che, nell'ipotetico caso in cui una Federazione sportiva prevede che la squadra che cede un giocatore dilettante alla squadra di un altro Paese comunitario debba riscuotere delle “indennità di formazione o di promozione”, i pagamenti pretesi devono considerarsi legittimi.

2.2.7 L'art. 48 del Trattato CEE in relazione alle clausole di

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