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Interventi in materia di libera circolazione fino al 1996

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 54-57)

2.1 La libera circolazione prima della sentenza Bosman

2.1.3 Interventi in materia di libera circolazione fino al 1996

All'indomani della sentenza i primi contatti tra le istituzioni di Bruxelles e l'UEFA (Union des Associations Europèennes de Football) si sono svolti per lo più come un dialogo tra sordi. La Commissione ha evitato di imporre unilateralmente la soluzione prospettata dalla Corte di giustizia, che avrebbe sicuramente sconvolto i fragili equilibri del calcio europeo, ma ha esplicitato la volontà di procedere nella direzione di un graduale adeguamento del calcio professionistico alle regole comunitarie.

L'UEFA, spalleggiata dalle federazioni nazionali, ha rifiutato ogni tentativo di dialogo, ritenendo che la regolamentazione del calcio europeo (non solo comunitario) le spettasse in via esclusiva. Fino al 1990 i risultati sono stati pressoché nulli, se si eccettua un accordo del 1978, rimasto peraltro inattuato, tra l'UEFA e la Commissione, con il quale si acquisisce l'impegno delle federazioni calcistiche di modificare i loro statuti o regolamenti — che restringono l'impiego degli stranieri (compresi i comunitari) nelle squadre per le partite nazionali —

affinché i cittadini comunitari potessero impugnare qualsiasi clausola discriminatoria fondata sulla nazionalità quale limite al reclutamento dei giocatori comunitari per club ed all'esercizio della loro attività in partite di prima o seconda divisione.54 Per realizzare detto impegno, così da evitare repentini

cambiamenti nello svolgimento delle competizioni, è proposto un regime transitorio durante il quale il reclutamento non può essere limitato ma, per contro, per l'utilizzazione nelle partite di dette divisioni, i club hanno il diritto di schierare in squadra non più di due cittadini di un altro paese comunitario oltre a quelli che risiedevano da almeno cinque anni nel territorio della federazione interessata. Questo regime avrebbe dovuto avere lo scopo di pervenire gradualmente alla soppressione di qualsiasi discriminazione diretta (reclutamento) o indiretta (schieramento in campo).

Questo “accordo” è il segno più palese del convincimento dell'istituzione comunitaria di trovarsi di fronte ad un problema complesso e delicato,55

concernente una “attività lavorativa”, le cui regole principali sono dettate dalle Federazioni internazionali.

A causa del mancato o parziale adempimento delle Federazioni e delle società nazionali a detto accordo, la Commissione verso la fine del 1984, riprende in esame la questione, d'intesa con le delegazioni delle stesse Federazioni e dell'UEFA, insistendo sull'esigenza di concordare una soluzione, tanto che le prime vengono invitate ad avanzare proposte per rendere nel tempo operante la soppressione di ogni discriminazione, ma al contrario del 1978, fissando un termine preciso (1992) per l'allineamento delle posizioni di tutti gli Stati .

Nel 1987, la Federazione europea delle associazioni calcistiche ha proposto di ammettere alle competizioni almeno due giocatori stranieri comunitari e 54 Non si toccava la questione delle altre categorie di campionato, adottando peraltro una terminologia

che, perlomeno in Italia, avrebbe potuto creare qualche problema per il fatto che le squadre sono raggruppate in «serie». Invero con la dizione usata nell'accordo si intendeva stabilire una differenza fra professionisti e dilettanti e per quest'ultimi si dovrebbe dare per scontata l'esclusione dal campo di applicazione degli artt. 48 o 59 del Trattato, così da essere legittime le limitazioni eventualmente poste dagli ordinamenti interni.

55 Forse è proprio perciò che, in questa fase, la Commissione ha ritenuto di adottare il massimo di cautela senza fissare un termine preciso con riguardo al periodo transitorio.

l'attribuzione della «nazionalità sportiva» in base alla quale uno straniero comunitario acquista la cittadinanza «calcistica» del paese dove ha giocato ininterrottamente per cinque anni ma non si perviene a risultati concreti ed a nessun mutamento di rilievo nella situazione.

Di fronte al nulla di fatto a cui si è giunti, dopo le ultime trattative, la Commissione europea, pressata anche dal Parlamento europeo che si pronuncia ripetutamente per l'applicazione del principio della libera circolazione, non intendeva restare inerte.

Nel contempo, non si possono non valutare le difficoltà incontrate dalla Commissione; per il radicale cambiamento che si sarebbe registrato nella disciplina e che coinvolgerebbe anche Stati non membri della Comunità affiliati all'UEFA e giocatori cittadini non comunitari.

Nel 1991 le parti stipulano un gentleman's agreement, un accordo informale, che ha permesso di accantonare il problema dietro l'impegno di regolarizzare il dialogo e raggiungere una soluzione definitiva entro il 1996. Nell'accordo, valido per le coppe europee (Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe e la Coppa Uefa), era prevista una regola secondo la quale non si potevano schierare in campo più di tre giocatori non appartenenti allo Stato in cui le società svolgevano la loro attività, cui potevano aggiungersi altri due che avessero giocato in quello stesso Paese almeno per cinque anni consecutivi, tre dei quali in squadre giovanili (c.d. regola del 3+2). Primo passo verso una maggiore liberalizzazione era permettere di tesserare un numero illimitato di giocatori aventi nazionalità diversa da quella della società.

Per quel che riguarda la serie A italiana, il Consiglio Federale stabilì, con delibera del 24 Aprile 1992 e dopo un lungo braccio di ferro con l'Associazione Italiana Calciatori, di rendere illimitato il tesseramento di giocatori comunitari, fermo restando tuttavia che i giocatori stranieri utilizzabili tra campo e panchina sarebbero stati solamente tre. Gli extracomunitari tesserabili erano 2, Le squadre delle altre serie continuavano a essere costituite esclusivamente da giocatori italiani.

Si trattava, in sostanza, di norme che di fatto aggiravano la disposta liberalizzazione degli ingaggi a livello europeo, visto che i limiti numerici allo schieramento in campo (limiti indiretti) dei giocatori stranieri, finivano con indurre le società a non tesserare un numero di giocatori comunitari superiori a quelli utilizzabili in gara.56

2.2 La sentenza Bosman e la fine del trattamento

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 54-57)