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Il caso Hernandez Paz e le novità introdotte dalla legge

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 108-112)

2.5 La condizione Giuridica degli atleti extra-comunitari

2.5.3 Il caso Hernandez Paz e le novità introdotte dalla legge

Interessante è anche il caso del giocatore spagnolo di pallanuoto Hernandez Paz, già campione olimpico e mondiale, al quale era stata preclusa la possibilità di essere tesserato da una squadra del massimo campionato, poiché già dotata di tre giocatori non italiani.

Il pallanuotista decise di fare ricorso contro la Federazione Italiana Nuoto (FIN), ex art. 43 D.Lgs. 286/98 al Tribunale di Pescara, visto il rifiuto di questa a concedere il tesseramento dell'atleta a favore della società sportiva CUS D'Annunzio Pescara, impedendogli così di svolgere l'attività agonistica sul territorio italiano partecipando al massimo campionato.

La vicenda presenta due punti di fondamentale interesse: da un lato la base dilettantistica dell'attività, dunque fuori dalla formalizzazione federale di

professionismo, dall'altro la cittadinanza dell'atleta in relazione ad una attività non lavorativa, ma che per portata, impegno ed interessi, rientra nel c.c. “sostanziale professionismo”.

Sotto il primo profilo è da ritenersi formalmente dilettantistica tutta l'attività sotto l'organizzazione della FIN, compresa la pallanuoto, ai sensi dell'art. 2 della l. 91/81 che qualifica come attività professionistiche solo quelle esercitate a «titolo oneroso, con carattere di continuità, nell'ambito delle discipline regolarmente dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal Coni per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica».

Con ordinanza del 18 ottobre 2001, il Tribunale di Pescara riconosceva l'illegittimità del divieto imposto dalla FIN attesa la violazione del principio di ordine pubblico di non discriminazione, di immediato rilievo costituzionale. Secondo il giudice: «il tenore volutamente “universale” del legislatore, consente di ritenere che ogni attività di rilievo sociale costituisca oggetto di protezione, e non soltanto quella che rivesta un preminente significato economico-professionale. La distinzione tra professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva, si mostra, pertanto, priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi la discriminazione del dilettante. Del resto, l'art. 16 del D.Lgs. 242/1999 impone alle singole Federazioni sportive nazionali il principio di “partecipazione all'attività sportiva da parte di chiunque in condizione di parità”; principio recepito dall'art. 1 della FIN.

Quindi deve concludersi che il ricorrente, cittadino comunitario, titolare del diritto di stabilirsi in ogni paese dell'UE senza limiti di sorta, non può essere escluso dall'attività agonistica».

Il principio di non discriminazione secondo la disciplina tracciata dal Trattato è infatti «un principio fondamentale del diritto comunitario, la cui applicazione è

generalizzata in tutte le fattispecie non disciplinate da norme specifiche anti-discriminazione».99

Pertanto non è da escludersi l'applicazione del principio di non discriminazione nell'accesso all'esercizio di attività sportive dilettantistiche, se si considera infatti l'idoneità della pratica sportiva a fungere non solo da mezzo per lo sviluppo fisico e psichico dell'individuo ma anche e soprattutto come mezzo per una piena integrazione del cittadino comunitario migrante.

In questo senso aveva avuto modo di esprimersi la Commissione europea nell'ambito della Relazione di Helsinki, a fronte dell'unitaria posizione delle Federazioni sportive dell'area comunitaria che ritengono applicabili le norme comunitarie ai soli settori professionistici, affermando come «la pratica dello sport costituisce uno dei benefici sociali che devono essere riconosciuti ai cittadini comunitari che decidono di stabilirsi in un altro Stato membro» ma altresì che le «limitazioni che si basano sulla nazionalità non sono compatibili con lo status di cittadino europeo».100

Nonostante il primo provvedimento,in sede reclamo, il Tribunale di Pescara osservava tuttavia che «l'interesse a far pratica sportiva non rientra tra le libertà fondamentali, perché né l'art. 2 né le ulteriori fonti normative di diritto internazionale convenzionale e consuetudinario annoverano l'interesse a far pratica sportiva e ad impiegare in tal modo il proprio tempo libero tra le libertà fondamentali dell'individuo, quindi la sua eventuale lesione non legittima il ricorso alla tutela prevista dal D.Lgs. 286/98 […] né, l'interesse tutelato dal ricorrente può dirsi ricompreso nel diritto del lavoro e quindi facente parte dei diritti fondamentali perché dalla normativa di settore non si ricava in alcun modo che il campionato nazionale di pallanuoto sia stato organizzato su base professionistica».

É del tutto evidente che tali motivazioni non possono essere condivise.

99 E. Calò, Sport e diritti fondamentali.

Se tollerabile poteva essere la presa di posizione sulla rilevanza costituzionale dell'attività sportiva, non poteva certo essere condivisa la considerazione secondo la quale, per tale via, risultava esclusa l'applicazione della normativa antidiscriminatoria, perché una discriminazione dovuta a ragioni di razza, etnia, colore, credo religioso viola per sua natura il fondamentale diritto umano costituzionalmente garantito a non essere discriminato per le suddette ragioni.

Ed inoltre, neppure appare determinante richiamare la natura non professionistica della pallanuoto posto che, è indubbio che il tempo impiegato da un campione olimpico e mondiale nella suddetta attività, non possa qualificarsi come mero tempo libero. L'Hernandez era comunque impegnato in un'attività di rilievo economico e non potendosi dunque riferire il suo caso a quello dell'amateur che svolge un'attività sportiva volta solo ed esclusivamente a finalità ricreative e prive di qualunque corrispettivo economico.

Il tema era già stato affrontato dalla giurisprudenza comunitaria che aveva ritenuto inidonea l'unilaterale qualificazione Federale nella distinzione tra professionismo e dilettantismo. Infatti, l'applicazione delle fondamentali libertà riconosciute dal trattato, non può prescindere dal necessario approfondimento concreto sulla natura dell'attività svolta dall'atleta a nulla rilevando il mero dato formale della qualificazione data da una federazione alla determinata disciplina sportiva.101

L'autonomia dell'ordinamento sportivo non può pertanto significare “spazio libero dal diritto”.102

101 In tal senso anche l'orientamento della giurisprudenza successiva, in tema di applicazione dell'art. 43 del D.Lgs. 286/98, come si vede nel caso della pallavolista cubano Gato, deciso dal tribunale di Verona, con ordinanza del 23 luglio 2002 in cui la corte statuì che «le norme antidiscriminatorie del decreto, non legittimano alcuna discriminazione per il dilettante e, comunque, seppur formalmente dilettanti, i giocatori come l'odierno ricorrente prestano la loro attività in favore di società sportive italiane in virtù di un rapporto contrattuale che presenta le caratteristiche proprie di un rapporto di lavoro la cui esatta natura, subordinata o parasubordinata, è irrilevante nel presente giudizio». Ed in maniera non dissimile, si vedano i provvedimenti del tribunale di Piacenza del 23 ottobre e del 15 novembre 2003, relativamente ai casi Rivero, Mayeta, Borges, tutti e tre giocatori di pallavolo, cittadini cubani con regolare permesso di soggiorno in Italia.

Al fine di porre fine ad altre eventuali contestazioni in materia, veniva approvata la nuova legge 30 luglio 2002, n. 189, recante modificazioni alla normativa in materia di immigrazione ed asilo (cosiddetta legge Bossi-Fini). In particolare, il novellato D.Lgs. 286/98, all'art. 27, comma 5-bis dispone che «con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), sentiti i Ministri dell'interno e del lavoro e delle politiche sociali, è determinato il limite massimo annuale d'ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire fra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal Coni con delibera da sottoporre all'approvazione del Ministro vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili».

É innegabile, a conclusione della disamina sulla condizione del lavoratore sportivo extracomunitario, sottolineare la disarmonia che sussiste tra la qualificazione operata dalla legge 91/81 di lavoratore sportivo, modellata sul solo atleta professionista e la disposizione richiamata che, nel configurare l'atleta straniero che svolge comunque attività sportiva retribuita, perviene al riconoscimento come lavoratore sportivo anche dello sportivo straniero dilettante.

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 108-112)