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Caso Walrave and Koch v UCI

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 49-52)

2.1 La libera circolazione prima della sentenza Bosman

2.1.1 Caso Walrave and Koch v UCI

Sulla base di un'interpretazione estensiva del Trattato istitutivo della Comunità Europea, la Corte di Giustizia si è attivamente e, ormai ampiamente, occupata di sport, sin dalla metà degli anni settanta. Il delicato problema dei rapporti tra il diritto comunitario e lo sport ha ricevuto un primo e fondamentale inquadramento da parte della Corte con una pronuncia relativa al ciclismo.

Nel caso Walrave50 il giudice comunitario era stato chiamato a pronunciarsi in

ordine alla compatibilità con gli art. 48 (ora art. 45 TFUE) e 59 (ora art. 56 TFUE) del trattato CEE, a seconda che si trattasse di lavoro subordinato o di 50 Sentenza 12 Dicembre 1974, B.N.O Walrave, L.J.N. Koch c. Association Union Cicliste

prestazione di servizi, di una norma del regolamento dell'Union Cicliste Internazionale— UCI — che prevedeva che corridore e allenatore partecipanti alle gare del campionato mondiale di corse dietro battistrada (stayers) dovessero possedere la stessa nazionalità. Nella pronuncia il giudice comunitario ha sancito tre principi chiave destinati a divenire nel tempo la base del rapporto sport-diritto europeo.

In primo luogo, la Corte riconobbe che, la rilevanza comunitaria dello sport discende essenzialmente dalla possibilità di considerare il lavoro sportivo, esercitato in forma autonoma o subordinata,51 come un'attività economica, ai

sensi dell'articolo 2 del Trattato. Solo, al verificarsi di tale condizione risultano applicabili le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei prestatori di lavoro ed il generale principio di non discriminazione in base alla nazionalità (art. 7 del Trattato CEE).

In secondo luogo, a fronte dell'eccezione sollevata dall'UCI, è stato affermato che, la natura privata delle federazioni sportive (i cui organi avevano emanato le norme incriminate), non può costituire motivazione sufficiente per esimere le stesse dal rispetto del diritto comunitario. Se si ragionasse diversamente, la prescrizione per gli Stati membri di abolire gli ostacoli alla libera circolazione delle persone e alla libera prestazione di servizi, sarebbe vanificata se, oltre alle eventuali limitazioni stabilite dalle leggi statali, non si eliminassero anche quelle poste in essere da organismi o associazioni private nell'esercizio della loro autonomia giuridica.

Da ultimo, la Corte ha individuato quella che oggi è definita “eccezione sportiva”: i giudici comunitari hanno limitato l'applicabilità del diritto europeo alle questioni economicamente rilevanti sottolineando che il principio di non discriminazione non riguarda la composizione delle squadre sportive, in 51 Per quanto concerne l'ambito di applicazione del divieto di discriminazione in ambito sportivo non

assume alcun rilievo la qualificazione del rapporto come lavoro subordinato o libera prestazione di servizi. Infatti come ha sottolineato R. Foglia, Tesseramento dei calciatori e libera circolazione nella Comunità europea, in "Dir. Lav", 1988, p.300, «l'alternativa sull'applicabilità degli art. 48 ovvero 59 e seguenti del Trattato risponde all'esigenza di tener conto del diverso atteggiarsi degli ordinamenti nazionali, nonché delle diverse configurazioni che dell'attività sportiva in concreto vengono ritenute dai giudici di ciascun Stato membro».

particolare le rappresentative nazionali. In questi casi la formazione delle squadre è frutto di scelte tecnico-sportive come tali non riferibili ad un'attività economica.

Tornando al caso di specie, la Corte finisce per negare che, di fronte a tale specificità, l'attività sportiva possa assumere una rilevanza economica, ed essere dunque soggetta all'applicazione delle norme sulla libera circolazione dei lavoratori.

Nonostante l'accezione volutamente mercantilistica del ragionamento, la sentenza Walrave and Koch v. UCI rappresenta senza dubbio il primo, significativo passaggio di un processo attraverso il quale la giurisprudenza comunitaria ha lentamente scardinato, almeno nei suoi rapporti con il diritto comunitario, il dogma della completa autonomia degli ordinamenti sportivi.

Questa sentenza ha lasciato tuttavia impregiudicati alcuni aspetti di primaria importanza. La possibilità di ammettere una deroga alla libera circolazione di fronte al criterio di composizione delle squadre sportive ha infatti dato adito a diverse interpretazioni. La non totale chiarezza della formulazione utilizzata, unitamente ai ben noti problemi di traduzione delle pronunce rese in sede comunitaria, hanno infatti favorito il diffondersi di un'interpretazione estensiva della deroga, fortemente sostenuta dalle federazioni sportive, diretta a legittimare le pratiche restrittive, basate sul meccanismo delle quote, anche per quanto riguarda gli incontri che non impegnavano direttamente le squadre nazionali.52

Addirittura, secondo alcuni, l'intero settore calcistico doveva essere escluso dall'applicazione del diritto comunitario, perché in tale settore, secondo questa tesi, l'elemento agonistico avrebbe una sensibile prevalenza sugli aspetti di tipo economico. Tali interpretazioni restrittive evitarono l'avvenire di un vero e proprio terremoto al mercato calcistico. In Italia infatti, al momento dell'emanazione della succitata sentenza vigeva, addirittura, un blocco totale all'entrata dei giocatori stranieri, che era stato proclamato nel 1966

52 La commissione e l'avvocato generale, nelle sue conclusioni avevano tuttavia ritenuto che l'unica eccezione al divieto di discriminazione su base nazionale fosse quella diretta alla costituzione delle squadre nazionali.

(verosimilmente per rimediare all'infausto esito dei campionati mondiali in Inghilterra, dove fummo eliminati dalla Corea del Nord).

Al di là di tali incertezze interpretative, tuttavia, il principio affermato nella sentenza Walrave è quello che sottopone lo sport professionistico all'applicazione delle regole del Trattato, ogni qual volta questi costituisca un'attività di carattere economico, con l'eccezione dei casi in cui siano coinvolti i criteri di composizione delle squadre nazionali; in quest'ottica la discriminazione appare infatti giustificata e ragionevole dato che la materia in questione attiene alla sfera dell'identità e dell'orgoglio nazionale, più che a logiche di tipo economico e mercantile.

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 49-52)