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Il caso Cassano/U.C Sampdoria

Nel documento Il rapporto di lavoro sportivo (pagine 195-199)

3.11 Le vicende del rapporto di lavoro sportivo

3.11.5 Il caso Cassano/U.C Sampdoria

L'inadempimento del lavoratore

Il lodo depositato lo scorso 16 dicembre dal Collegio Arbitrale presso la Lega Serie A, nell’ambito della controversia tra il calciatore Antonio Cassano e la società U.C. Sampdoria, rappresenta un’utile occasione per discutere di alcuni obblighi di condotta a carico dei calciatori professionisti e di quali possano essere le conseguenze e/o le reazioni delle società di calcio di fronte ad un’eventuale violazione degli stessi.

Il 26.10.2010, infatti, stando a quanto riportato, l’atleta, non condividendo una richiesta a lui fatta dal presidente della Società, abbandonava la stanza in cui i due erano riuniti e si dirigeva verso gli spogliatoi utilizzando espressioni scurrili e volgari percepite dallo stesso presidente, dai dirigenti e dai compagni di squadra in quel momento presenti.

Laddove la ricostruzione corrisponda alla realtà, un tale atteggiamento potrebbe in astratto integrare gli estremi dell’insubordinazione all’autorità datoriale e dell’eccesso di critica.

L’insubordinazione, infatti, consiste in una reazione del lavoratore nei confronti dei propri superiori tale da rappresentare una grave infrazione alla disciplina ed al regolare svolgimento del lavoro.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, una tale condotta può estrinsecarsi anche attraverso ingiurie159 e costituisce violazione degli obblighi di diligenza e

di obbedienza sanciti dagli artt. 1176 e 2104 c.c. oltre che, nel caso specifico, degli obblighi stabiliti dall’Accordo Collettivo applicabile e dal regolamento disciplinare aziendale.

Per quanto concerne, più in particolare, l’eccesso di critica, l’inadempimento si verifica quando la critica travalichi i limiti della correttezza formale imposti dall’esigenza di tutela della persona umana ex art. 2 Cost.

Tali limiti, in particolare, si ritengono superati laddove all’impresa o ai suoi rappresentanti vengano attribuite qualità apertamente disonorevoli, riferimenti volgari ed infamanti.160

Conseguenze dell'inadempimento e possibili sanzioni

L’inosservanza dei doveri da parte del calciatore professionista, dunque, può dar luogo alla reazione disciplinare della società sportiva.

In primo luogo, però, il datore di lavoro può disporre (come fatto, peraltro dalla Sampdoria) la sospensione dal servizio del lavoratore: l’art. 11.1 dell’Accordo Collettivo 2012 prevede che quando l’inadempimento del calciatore 159 Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 15334/2007.

sia tale da non consentire, senza obiettivo immediato nocumento per la Società, la partecipazione dell’atleta agli allenamenti, la Società stessa può disporre l’esclusione dagli allenamenti purché contesti preventivamente gli addebiti al calciatore e, contestualmente alla sospensione, inoltri, al calciatore ed al Collegio Arbitrale presso la Lega, la proposta di irrogazione della sanzione disciplinare.

Tale provvedimento, dunque, non ha natura disciplinare ma cautelare: fermo restando l’obbligo retributivo per la Società, il calciatore è esonerato dall’obbligo di fornire la prestazione. La funzione è solo quella di allontanare l’atleta dal luogo di lavoro, per il tempo strettamente necessario alla definizione del procedimento disciplinare, quando l’infrazione sia così grave da non consentire la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto ovvero nel caso in cui la presenza dell’atleta medesimo possa costituire fondato pericolo di ulteriori turbamenti.

Tralasciate le ipotesi più lievi di ammonizione scritta e della multa, le sanzioni che la Società può richiedere, in caso di ingiuria nei confronti del datore di lavoro, sono, ai sensi dell’art. 11.1 dell’Accordo Collettivo, la riduzione della retribuzione, l’esclusione temporanea dagli allenamenti e, in extrema ratio, la risoluzione del contratto.161 La riduzione della retribuzione e/o l’esclusione

temporanea dagli allenamenti, riguardando profili principalmente quantitativi, non presentano particolari problemi ermeneutici dovendo in tali casi per lo più guardarsi al grado di gravità dell’inadempimento e, di conseguenza, commisurare l’entità della riduzione e/o del periodo di esclusione.

Più interessante, invece, è capire se la condotta sopra descritta sia sufficiente per giustificare la richiesta di risoluzione del contratto per giusta causa da parte della Società: unico caso in cui è possibile risolvere unilateralmente ed anticipatamente il contratto di lavoro a tempo determinato del calciatore.

161 Nel caso specifico l'U.C Sampdoria aveva richiesto in via principale la risoluzione del contratto e, in subordine, l'esclusione dagli allenamenti fino al 30.06.2011.

Proporzionalità della sanzione e lesione del rapporto fiduciario

Né la legge né l’Accordo Collettivo forniscono una precisa definizione di “giusta causa”: l’art. 2119 c.c. si limita a descriverla come una causa che non consenta la prosecuzione, anche in via provvisoria, del rapporto lavorativo.

L’elaborazione giurisprudenziale, inoltre, ha specificato che sussiste una giusta causa laddove la violazione commessa dal lavoratore sia tale da ledere in modo grave, definitivo ed irreversibile gli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario.

La giusta causa, dunque, si sostanzia in un inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione, diversa dalla risoluzione del contratto, risulti insufficiente a tutelare l’interesse della Società datrice di lavoro.162

Principio fondamentale in materia è comunque, anche nel calcio, quello della proporzionalità ex art. 2106 c.c.: la sanzione disciplinare deve, infatti, essere proporzionata alla gravità dei fatti contestati.

In base a tale principio, dunque, occorre verificare in concreto se l’utilizzo di espressioni scurrili e volgari, indirizzate nei confronti del datore di lavoro legittimi la risoluzione per giusta causa. In casi analoghi ed in linea generale, la Suprema Corte ha avuto modo recentemente di specificare che per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed alla intensità dell’elemento intenzionale che sta alla base del comportamento astrattamente previsto come giusta causa di recesso, dall’altro lato la ridetta proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta.163

Da tale principio, pertanto, consegue che l’utilizzo di espressioni irriguardose e/o parole volgari da parte del lavoratore al proprio datore di lavoro non può configurare automaticamente una giusta causa di recesso se non si analizzano,

162 Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 11516/2003. 163 Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 6569/2009.

preventivamente, le cause e le circostanze che hanno potuto generare lo spiacevole episodio.

La soluzione accolta dal Collegio Arbitrale

Partendo da tali premesse, il Collegio Arbitrale investito della questione, accertato il concreto svolgimento dei fatti, ha irrogato al calciatore la sanzione dell’esclusione temporanea dagli allenamenti per tre mesi con effetto retroattivo (computando, quindi, come sanzione disciplinare anche la sospensione cautelare disposta dalla società), il conseguente reintegro dell’atleta a partire dal 1° febbraio e la riduzione del 50% della retribuzione annua lorda sino alla scadenza del contratto.

Si tratta della sanzione più grave che il Collegio Arbitrale abbia mai irrogato. Nelle motivazioni del lodo, il Collegio ha specificato che, pur sussistendo gli estremi per disporre la risoluzione contrattuale, ha ritenuto di evitare il ricorso a questa drastica soluzione sia perché è emerso che, in principio, la Società sarebbe stata disposta a soprassedere laddove l’atleta avesse sottoscritto un documento di scuse (elemento che mette in dubbio una lesione irreparabile del rapporto fiduciario), sia perché si sarebbe trattato di un episodio isolato e dagli effetti circoscritti.

3.11.6 Gli effetti della sentenza Bosman sui trasferimenti

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