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Secondo Meier, “proprio i concetti che la nostra lingua ha ereditato dai greci ci rendono difficile avvicinarci a loro”595.

Il segno fondamentale dell'impossibilità di rapportare il discorso politico nostro a quello del mondo antico, è infatti dato innanzitutto dall'indistinzione terminologica che nel greco e nelle lingue classiche dà luogo alla coincidenza a-problematica dei concetti di società civile e società politica, nel senso che la societas civilis è la

politiké koinonia di Aristotele che traduce l'ambito di una società civile che è già

direttamente società politica, così come il termine politeia indica due sfere separate ma che l'ordine classico dà come intercambiabili, sovrapponibili: “sia l'assetto ‘costituzionale’ di una comunità politica, sia l'estensione e la composizione gerarchica del corpo civico, incluso il diritto di cittadinanza e di accesso alle cariche”596; inoltre, se politeia si usa per indicare la cittadinanza, correlativamente

vuol dire anche “modo di governarsi”, ossia un “insieme di leggi e norme ma anche stili di vita”597.

594 R.Samaddar, Foucault e il nostro tempo postcoloniale, op. cit., p.232

595 C.Meier, Introduzione a C.Meier-P.Veyne, L'identità del cittadino e la democrazia in Grecia, op. cit., p.9

596 M.Vegetti, Un paradigma in cielo, op. cit., p.15

597 AA.VV., Antichità classica. Enciclopedia tematica aperta, a cura di L.Aigner Foresti, C.Chiaramonte Treré, G.Reale, M.Sordi, G.Tarditi, Jaca Book, Milano 1994, p.199, voce “cittadinanza”.

Alla base vi è quella che lo Strauss lettore di Aristotele afferma come l'irriducibilità della polis alle nozioni moderne di Stato e di società: egli osserva che, pur se nella “Politica” la città-stato viene intesa come una forma particolare di Stato, tuttavia quest'idea non può nemmeno essere formulata nella lingua dello stagirita; e inoltre non può ontologicamente esservi quella distinzione per noi naturale tra «Stato» e «società», perché nel mondo classico il termine «città» include in sé sia «Stato» che «società», in quanto antecede la distinzione tra le due nozioni, anziché discenderne598.

L'impossibilità concettuale a pensare una discontinuità tra natura e artificio politico deriva da una metafisica di fondo che pone il rapporto tra potenza ed atto secondo uno schema in cui la prevalenza della causa finale definisce un'esperienza dell'ordine ed un'epistemologia specifiche: se ogni cosa, com'è per Aristotele, è animata da una potenza all'atto, ma l'atto viene ontologicamente prima dell'attualizzazione della potenza, e a sua volta questa è ordinata finalisticamente a diventare atto, allora ogni cosa è per essenza collocata naturalmente in un certo ordine e si conosce attraverso un'opera di estrazione della sua causa finale, ed è parte di una molteplicità sempre per mezzo della differenza che ciascun telos impone, a distinguere ciascuna cosa dall'altra.

Ne deriva che, pure quando Aristotele scrive la “Politica”, così come non può darsi un'autonomia concettuale della società civile, anche la politica come concetto moderno non può esistere, perché, non essendovi scarto tra essere e dover essere, dato che l'essere è già normativo in sé, in potenza, pure il nesso tra l'organizzazione sociale e la polis è rappresentato secondo una linea di continuità. L'azione politica esiste, ma è letta come un'attività che consiste nell'estrarre, nel far emergere un telos che è già insito nelle potenzialità dell'ordine sociale.

Da qui l'immagine che tipicamente descrive il tipo di razionalità politica che fa da sfondo ad un governo inteso come gestione, come tenuta del gobernaculum, cioè del timone: la metafora della nave di Platone, in cui il politico, che conduce la nave, non deve comandare ma gestire le cose, dirigere la rotta, tenendo conto dei venti e delle circostanze della navigazione; ma ciò che più conta è un particolare, significativamente esaltato da Veyne, che, opponendosi ad altri traduttori di testi di Platone ed Aristotele, sostiene che quella ci cui si parla è una nave senza passeggeri, perché si immagina che in essa ad essere imbarcato sia il solo equipaggio, a significare che “l'istituzione civica non sfrutta la popolazione, come un

598 Cfr: L.Strauss, La città e l'uomo. Saggi su Aristotele, Platone, Tucidide, Marietti, Genova-Milano 2010, p.75

re, ma non la governa neppure: la fa militare”599.

Mentre, a partire dallo sviluppo della governamentalità quale conduzione pastorale degli uomini600, con la nascita dell'organismo statuale, a delinearsi sarà un governo

strettamente legato ad un territorio, ciò è del tutto estraneo all'idea greca di comunità politica601, quale vissuta, ad esempio, dall'Atene antica: qui, come

sostiene Vegetti, “il cittadino è legato più alla comunità dei suoi simili e alla forma politica che li governa, che allo stesso territorio della polis: è perfettamente pensabile (come del resto gli Ateniesi pensarono prima di Salamina, e come fecero altre comunità), che la polis si imbarchi sulle navi e si trasferisca altrove, abbandonando la terra patria senza nulla perdere della sua identità”602.

Vegetti si riferisce in proposito alla situazione in cui, come racconta Erodoto, nel 480 a.C. gli Ateniesi, consapevoli dell'indiscusso predominio in campo terrestre dei Persiani che, guidati da Serse, erano in procinto di attaccare, approvano la proposta di Temistocle di lasciare la città e di trasformare la guerra in una battaglia navale, per poi ripiegare su una linea difensiva ritirandosi presso lo stretto di Salamina e salvando infine la loro libertà e la città, dimostrando che “quando una città è minacciata, gli uomini contano assai più delle mura”603, pure quando decidono di

abbandonare la città per poi riprenderne il possesso grazie ad una vittoria calcolata strategicamente sulla base della consapevolezza e della capacità di governo come padronanza delle proprie forze.

E' emblematica in tal senso la rappresentazione che della lotta dà la tragedia di Eschilo dedicata a “I Persiani”, in cui il dramma di Serse è dipinto per lo più come la giusta punizione della sua tracotanza, piuttosto che come motivo di gaudio e di vanto per la vittoria dei Greci; la tragedia viene però a dare prova simbolica del contrasto tra un re dispotico e incapace di frenare la propria hýbris e il sistema democratico ateniese, dove è il popolo ad esercitare il comando e perciò vince in quanto lotta per se stesso solo, non per un tiranno; e a far ciò è ogni cittadino singolarmente, oltre che come parte del tutto che è la comunità politica cui

599 P.Veyne, I Greci hanno conosciuto la democrazia?, op. cit., p.76

600 Per Foucault, come si è detto, questo tipo di governo degli uomini trova le sue matrici nelle pratiche e nelle istituzioni cristiane, per cui è chiaro che anche per il filosofo francese è necessario aprire una linea di discontinuità rispetto al mondo greco-romano.

601 E' questo uno dei punti di partenza di Foucault nel tenere la governamentalità non tanto come oggetto di studio quanto come punto di osservazione: il filosofo francese precisa che il governo degli uomini, “un'idea simile, sottolinea Foucault, non è, in senso stretto, né greca né romana – cosa che, già da subito, rende la politica antica fondamentalmente estranea a ciò che definisce la nostra esperienza politica. La sua origine è orientale, anche se bisogna aggiungere che la tradizione orientale ne ha fatto e ne farà un uso completamente diverso da quello che caratterizza il cristianesimo”.

Il testo si trova in B.Karsenti, La politica del “fuori”. Una lettura dei Corsi di Foucault al Collège de France (1977-1979), in S.Chignola (a cura di), Governare la vita, ombre corte, Verona 2006, pp.71-90, qui p.83

602 M.Vegetti, L'etica degli antichi, op. cit., p.47 603 C.Meier, Cultura, libertà e democrazia, op. cit., p.50

appartiene.

Quello che lega l'uomo greco ad un modo peculiare di concepire la politica – una “identità civica” peculiare per noi, ma probabilmente del tutto ovvia perché i greci stessi potessero comprenderla604 - pare essere un circolo diretto tra i propri affari e

quelli della città: la perfetta traducibilità di politikà con l'espressione “affari politici” ma anche, e più efficacemente, con il significato che noi riconnettiamo ai termini “affari civici”; se, infatti, la parola greca polìtes indica il cittadino, è perché “allora la politica era tanto un affare dei cittadini quanto gli affari dei cittadini erano politica”605.

Questa militanza si riconnette alla considerazione per cui i cittadini ateniesi erano liberi o, per meglio dire, si configuravano a se stessi in quanto liberi proprio in quanto appartenenti alla città; e quando combattevano contro chi voleva usurpare il potere e modificare l'assetto del loro governo imponendo un regime straniero, lo facevano per conservare uno status, immediatamente per se stessi e non per qualcun altro, cosicché, quando Eschilo mette in scena “I Persiani”, può sottolineare la differenza tra greci e persiani facendo appello al fatto che i primi sono liberi da dominazioni straniere e vogliono rimanerlo, ma precisa che il vero motivo della loro supremazia in battaglia è che “i greci volevano essere liberi anche all'interno del proprio paese. Ed è appunto di questa libertà, come d'una qualità che li connotava, che i greci cominciarono allora a essere consapevoli. Grazie a essa avevano combattuto – differentemente da «tutta l'Asia» per se stessi, non per un altro […]. E' per questa ragione, perché erano liberi, che quegli uomini poterono costituire una sicura protezione della città”606.

E' in questa cornice che si inquadra l'affermazione di Veyne per cui “se torniamo all'Atene antica, vi troveremo non il semi-ideale democratico delle nazioni occidentale, ma l'atmosfera mentale dei partiti politici formati da attivisti”607.

Per Veyne, se nella metafora politica della nave chi guida non comanda ma governa, è perché, a monte, ci sarebbe la realizzazione di una certa idea del rapporto tra governanti e governati, in cui i cittadini sono tali non in quanto la città li raccoglie costituendo il legame sociale - come se fosse il nostro Stato-nazione - , men che meno in quanto essa legifera su di loro: la città li fa militare; e allora “il fatto che il cittadino sia un militante significa anche che […] non è l'oggetto del

604 Meier definisce identità civica la specificità del modo in cui il cittadino configurava se stesso nel mondo greco, a sottolineare “l'insieme delle forze che ha determinato questa cittadinanza e che ha reso possibile il suo impegno politico”.

C.Meier, L'identità del cittadino e la democrazia, op. cit., p.59 605 Ivi, p.14

606 C.Meier, Cultura, libertà e democrazia, op. cit., p.55

governo, ma un suo strumento: non lo si governa, ma ci si serve di lui per governare. Questo Stato è una strana nave senza passeggeri: oltre al capitano (o piuttosto, come si diceva, il pilota), non imbarca che l'equipaggio. Quando Platone o Aristotele parlano di nave dello Stato, non menzionano che gli uomini dell'equipaggio”608.

Di contro a questa nave che trasporta il solo equipaggio, e passando per l'esperienza descritta da Foucault in cui la nave diventa la metafora del luogo di un'esclusione che interna, generando il passeggero per eccellenza, come prigioniero del passaggio, “il liberalismo borghese organizzerà crociere in cui ogni passeggero se la cava come può, dal momento che l'equipaggio gli assicura solo beni e servizi collettivi”609; e, si può aggiungere, saranno viaggi in cui a fungere da equipaggio

saranno per lo più degli esperti, ma non solo e non tanto dell'arte della navigazione, quanto dei tecnici delle diverse e specifiche arti del tenere in cura i passeggeri; nel frattempo il titolo di questi, riportato su ogni biglietto individuale, ne determinerà automaticamente le caratteristiche morali e i deficit in termini di civiltà e civicità, e di conseguenza il trattamento normalizzante, come premessa ad aprire l'iter verso l'acquisizione di una cittadinanza che viene definita sempre di più come il dovere civico di ogni individuo di ridurre il proprio fardello sulla società, e di sviluppare invece il proprio capitale umano – in altre parole, di ‘essere un imprenditore di se stesso’ ”610.

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