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Il discorso storico-politico: la guerra delle razze

Nella riflessione nietzscheana di cui fa uso Foucault, la storia non è il progresso di una ragione universale, ma il cammino dell'umanità che avanza da una

395 Ivi, p.48 396 Ivi, p.62 397 Ivi, p.50

dominazione all'altra, dove le storie dei vinti sono occultate e assorbite dalla storia di chi vince.

Lungo questa direzione, i Subaltern Studies sembrano farsi portatori di una riattivazione di quel discorso storico-politico della guerra delle razze – con gli esiti spesso stagnanti che ne derivano in termini di essenzialismo culturale e quindi di staticità dei rapporti tra “razze” intese come culture chiuse – che, come preso in analisi in “Bisogna difendere la società”, si fa carico di insistere sull'esistenza di una certa economia del discorso di verità e della narrazione storica, oltre che di una dinamica del mutamento sociale che è ben distante dal procedere secondo una progressiva pacificazione dei rapporti sociali espressa nella forma della legge e siglata dalla forma del contratto.

Ponendo in primo piano la necessità, per comprendere la densità delle stratificazioni dello spazio-tempo del presente, di ripensare la postcolonia alla luce dell'eredità coloniale, gli studi che insistono sulle modalità, presunte a-politiche, con cui il subalterno di oggi e di ieri prende la parola situandosi in un discorso in cui esso è parte di una lotta entro una struttura dicotomica del conflitto sociale, aprono alla visibilità di “una specie di effetto di ritorno della pratica coloniale sulle strutture giuridico-politiche dell'Occidente [in quanto] se la colonizzazione, con le sue tecniche e le sue armi politiche e giuridiche, ha trasferito dei modelli europei in altri continenti, ha provocato a sua volta numerosi effetti di ritorno sui meccanismi di potere in Occidente”398.

Uno di questi effetti di ritorno consiste appunto nella circolazione del discorso storico-politico di cui parla Foucault, che è possibile situare a livelli multipli e sovrapposti, senza nascondere la contraddittorietà dei suoi esiti.

Dall'analisi del discorso sulla guerra delle razze emerge, infatti, come questo modo di pensare la storia sia stato fatto proprio anche in Occidente da una classe specifica e in seguito in nome del popolo, per poi scivolare nello stesso discorso che ha fondato la politica coloniale in quanto scontro tra le razze e quindi sottomissione della razza da civilizzare.

Tuttavia, finché ha potuto porsi come una contro-storia, ha avuto la funzione di far sì che il soggetto che prendeva la parola potesse situarsi come una forza nella storia: il che “implica in primo luogo, come primo compito, il fatto di riprender coscienza di sé e di reiscriversi nell'ordine del sapere”399.

Per il punto di vista del discorso di verità dei vinti, cui fanno riferimento gli studi postcoloniali, ribaltare la massima di Clausewitz, per sostenere che la politica è la

398 M.Foucault, Bisogna difendere la società, op. cit., p.91 399 Ivi, p.136

guerra continuata con altri mezzi, significa “reagire contro la neutralizzazione del conflitto interno implicita nella proiezione della guerra nello spazio dell'internazionale”400.

Nelle prime lezioni del corso “Bisogna difendere la società”, Foucault vede che, a partire dal XVII secolo, è esistito un discorso storico-politico che ha permesso di leggere la guerra come relazione sociale permanente alle strutture di potere e, su questa linea, la politica come guerra continuata con altri mezzi401; una guerra che è

essa stessa da leggersi come cifra della pace, motore delle istituzioni e dell'ordine, giacché adopera il diritto per consacrare i rapporti di forza da essa definiti, codificando la legge nei termini di un rapporto “che non è quello di una regolazione dei rapporti tra i soggetti, o tra essi e il potere, bensì quello del loro assoggettamento ad un determinato assetto al tempo stesso giuridico e politico”402.

Il discorso storico-politico, come rottura rispetto a quello filosofico-giuridico, che sosteneva la ragione sovrana analizzando il potere in termini di cessione, di contratto e rappresentanza, vede nella guerra delle razze la matrice storica dell'ordine sociale: il tema del conflitto permanente che si svolge sotto la pace, sotto la struttura della legge, riveste un ruolo centrale nel contribuire a concepire la società in una visione conflittuale, attraversata da un irriducibile scontro, tra segmenti della popolazione, che trova origine nella frattura indotta dalla conquista, dall'asimmetria introdotta dagli esiti di battaglie storicamente situate.

E' solo facendo riferimento al discorso della guerra delle razze che si può cogliere “l'istanza materiale dell'assoggettamento”403, lontano dallo schema informato alla

riflessione hobbesiana, che vede l'ordine sociale strutturato secondo una contrapposizione binaria: da un lato la legge, con i diritti degli uomini, dall'altro il potere, secondo “una sorta di relazione a somma zero, per la quale quanto più diritto, tanto meno potere e viceversa”404.

Questo discorso, al momento del suo insorgere nella presa di parola di una classe che si autoidentificava in una razza – nello specifico, si trattava della nobiltà espropriata dal re dei suoi antichi poteri – si presenta come contro-storia, in quanto, da un lato rompe la tradizione del discorso storico come intensificatore del potere sovrano e che funzionava attraverso un'immobilizzazione dei fatti e la circolazione degli esempi, dall'altro determina una frattura rispetto alla coscienza della continuità col mondo antico che il Tardo Medioevo possedeva ancora -

400 M.Guareschi – F.Rahola, Chi decide? Critica della ragione eccezionalista, op. cit., p.107 401 Cfr: M.Foucault, Bisogna difendere la società, op. cit., pp.21-23 e pp.47-49

402 R.Esposito, Bios, op. cit., p.18

403 M.Foucault, Bisogna difendere la società, op. cit., p.32 404 R.Esposito, Bios, op. cit., p.18

quell'immagine di Roma quale origine mitica e gloriosa della storicità indoeuropea - , facendo emergere qualcosa che apparirà come un'antichità che è in un altro mondo rispetto al presente405.

Laddove, come principio generale, il discorso di potere si basa sempre su una certa economia del discorso di verità, Foucault sottolinea come “il nuovo discorso sarà una presa di parola che irrompe, un appello”406: in esso prende vigore la

caratteristica di matrice nietzscheana, e risalente al sofismo greco, per cui una verità universale del discorso storico-politico non può ontologicamente esistere, poiché questa esiste solo in una dimensione di partigianità, nel prendere parte ad una lotta, perché è l'appartenenza a un campo che permette di decifrare la verità407.

L'affermazione della verità – o meglio, a questo punto, di una certa verità - non è il naturale esercizio del pensiero, ma già una scelta, una decisione nei confronti di qualcun'altro o di un altro gruppo.

Si afferma, riprendendo una traccia benjaminiana, che “il soggetto della conoscenza storica è di per sé la classe oppressa che lotta”408: essa diviene vero soggetto della

conoscenza storica in quanto e nel momento in cui lotta, in quell'attimo della conoscibilità, in cui “la vera immagine del passato guizza via”409 che non è un

qualunque attimo dell'esistenza, bensì quello della situazione d'emergenza, l'«l'attimo del pericolo»”410.

Allora la principale rottura operata dal discorso della guerra delle razze è quella che riguarda l'esistenza di un soggetto universale che fa la storia, che la narra e definisce e legittima se stesso attraverso questa narrazione.

Viene per la prima volta rivendicata la posizione non universale del soggetto che parla, per cui la verità può stare da una parte o dall'altra, non esiste che prendendo una posizione, affermando la propria origine come provenienza, non come essenza che fonda un discorso universale.

E', del resto, proprio questo “il luogo in cui Marx ed Engels avevano trovato la lotta di classe”411.

405 Cfr: M.Foucault, Bisogna difendere la società, op. cit., pp.67-70 406 Ivi, p.65

407 Cfr: ivi, pp.50-52

408 W.Benjamin, Sul concetto di storia, op. cit., p.43 (tesi XII) 409 Ivi, p.25 (tesi V)

410 Ivi, p.164

411 M.Foucault, Bisogna difendere la società, op. cit., p.72

Qui Foucault cita direttamente Marx, che nel 1882 ricordava a Engels : “Sai molto bene dove dove abbiamo trovato la nostra lotta di classe: negli storici francesi che raccontavano la lotta delle razze”. E in una lettera del 27 luglio 1854 aveva definito Thierry come “il padre della lotta di classe nella storiografia francese”.

Foucault, nel porsi lungo la traiettoria delineata chiaramente da questa traccia marxiana, individua nella presa di parola della nobiltà francese il momento in cui “la coscienza storica [della] società moderna non è […] più incentrata sulla sovranità e sul problema della sua fondazione, ma sulla rivoluzione, le sue promesse e le sue profezie di affrancamento futuro”

Tuttavia, è su questo riferimento che comincia ad innestarsi una problematizzazione: mentre Foucault accenna a Marx nel corso del 1976, aveva già chiarito la sua posizione critica rispetto alla tradizione marxista “in quanto, nell'approcciare il concetto di ‘lotta di classe’ , essa avrebbe privilegiato la ‘classe’ lasciando cadere le questioni legate alla lotta”412.

Il problema, quindi, è quali spostamenti la dialettica abbia poi operato per riprendere, reinvestire questo discorso entro una logica che ne assicurasse una funzione analoga a quella che era svolta dal discorso giuridico-filosofico: la costituzione, attraverso la storia, di un soggetto universale, di una verità riconciliata413.

La guerra delle razze, se fin dagli inizi del XIX secolo è stata legata al progetto post-rivoluzionario di scrivere una storia il cui vero soggetto fosse il popolo, basterà attendere pochi anni per ritrovarla ritrascritta e ripresa in termini socio-biologici nell'ambito della politica europea della colonizzazione, per squalificare le sotto-razze colonizzate, e, ancora, rovesciata a fini di quel conservatorismo sociale assunto da un potere che, in Europa ed entro la specificità della dimensione statuale, si dà il compito di difendere la società da se stessa e da quella sotto-razza che nel suo seno si va costituendo dall'interno414.

Se la storia ci insegna che è esistita questa deriva dialettica, al livello metodologico della creazione di uno specifico dispositivo politico, gli studi postcoloniali, nel rileggere il passato delle lotte anticoloniali, tendono ad un nuovo ribaltamento e ad una riassunzione strategica del discorso storico-politico, nel ribadire che la coscienza di una modernità europea si costituisce entro la dimensione storicamente contraddittoria di un discorso che, fin dall'inizio, si presenta come polivalente e polimorfo415 e che rende, oggi come ieri, attuale il pericolo postulato da Benjamin

per cui la “tradizione degli oppressi” finisca per “prestarsi ad essere strumento della classe dominante”416, il cui conformismo della cultura rischia sempre di soggiogarne

la memoria attraverso una determinata modalità della trasmissione del passato.

Ivi, p.73

412 M.Guareschi, F.Rahola, Chi decide? Critica della ragione eccezionalistica, op. cit., p.107 413 Cfr: ivi, pp.55-56

414 Cfr: ivi, pp.56-61 e pp.69-70

415 Sulla necessità di considerare il rischio costante della ripresa dialettica, si rimanda a quanto detto nel primo capitolo sulla opportunità di considerare lo stesso discorso foucaultiano come “geopoliticamente situato”.

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