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La differenza tra i sessi: la donna e la situazione coloniale

Nell'analisi del rapporto tra l'uomo di colore e la Bianca, si è visto, dunque, il modo in cui Fanon ha usato anche la differenza sessuale come strumento per capire il funzionamento dello stereotipo razziale, mostrando come l'alterità, la reificazione dell'altro, derivino da strutture che costituiscono l'altro in quello stesso discorso in cui razza e sesso formano un tutto unico, si confondono nella costruzione di un soggetto, o meglio, di un corpo collettivo, che non è altro che il modo in cui lo si vede esprimere la sua sessualità, e dell'individuazione di un istinto sessuale che è definito a sua volta da una razzializzazione dell'oggetto considerato.

Con riguardo alla relazione tra la donna di colore e il Bianco, la situazione pure è prodotta in modo analogo dal dispositivo razziale.

E come ha mostrato la Stoler, “Nelle Indie Olandesi, nell’Asia meridionale, e nelle colonie del Nord e del Sud America, le condotte sessuali (sexual arrangements)

293 M.Foucault, La volontà di sapere, op. cit., pp.119-142

294 Tritonj ne registra le caratteristiche in termini prettamente biologici: “una grande mortalità infantile, frequenza di aborti e predominanza, nella prole, del sesso femminile, come se si tendesse a riparare una spiccata fragilità”; inoltre una precocità nell'equilibrio sessuale che ostacola una sana formazione del pensiero: in sostanza, la razza “perde, nella discendenza, quella potenza civilizzatrice che la forza e il vigore degli antenati le abbia costituito”.

R.Tritonj, Politica indigena africana, op. cit., pp.405-406

295 A.L.Stoler, Una lettura coloniale di Foucault. Corpi borghesi e sé razziali, op. cit., p.25

Così funziona lo stesso dispositivo sessuale in Foucault: una proliferazione di sessualità periferiche è il risultato di un potere che, anziché fissare nella legge limiti e divieti, non esclude la sessualità, ma ne produce, moltiplica e fissa le modalità insolite.

degli ufficiali della Compagnia, dei soldati “subalterni” (subaltern soldiers) e dei coloni erano monitorate, se non coerentemente regolate, da molto tempo, in modi che collocavano costantemente le donne la cui pelle era di colore diverso nella posizione di oggetti di desiderio e, più indirettamente, anche in quella di indisciplinati soggetti di desiderio”296.

Tuttavia, secondo Ania Loomba, “l'uso di Fanon dello schema della differenza sessuale per capire la sua produzione, mentre mette in crisi la cecità delle categorie psicanalitiche rispetto al colore, conferma e espande l'asimmetria tra i sessi. Mentre il desiderio dell'uomo nero nei confronti della donna bianca è storicizzato, la fantasia della donna bianca di essere violentata da un uomo nero è “in qualche modo il compimento di un sogno privato, un desiderio intimo”. […] Egli non usa le analogie tra razza e sesso per riconfigurare la soggettività femminile: sia le donne nere che quelle bianche rimangono, in Fanon, il terreno su cui gli uomini si muovono e portano a termine le battaglie”297.

Dello stesso avviso è Gwen Bergner, secondo cui “Fanon non ignora la differenza sessuale, ma esplora il ruolo della sessualità nella costruzione della razza solo attraverso delle rigide categorie di genere. In Pelle nera maschere bianche, le donne sono delineate quasi esclusivamente in termini di rapporti sessuali con gli uomini; il desiderio femminile viene, allora, definito come una (etero)sessualità oltremodo letterale e limitata”298.

E' avvalorata, in tal modo, la tesi di Spivak per cui “la differenza sessuale entra in gioco solo all'interno dell'arena bianca”299.

La stessa importanza conferita, quale presupposto per il mondo pre-capitalistico, alle strutture di potere comunitarie, fondate sulla parentela e sul clan, proprio nella misura in cui non è problematizzata dalla storiografia dei Subaltern Studies, preclude il dispiegarsi di una dimensione radicale: “l'importanza cruciale, sintagmatica e micrologica, della differenza sessuale [e] la questione della donna come un problema di rilievo strategico e non marginale in ognuno dei molti tipi di culture”300.

Sul problema della storicizzazione del desiderio della donna bianca, si è già chiarita la questione attraverso il percorso sopra delineato: è il discorso della morale sessuale borghese che vi fa da sfondo andandone a definire la struttura storica.

296 Ivi, p.34

297 A.Loomba, Colonialismo/Postcolonialismo, Meltemi, Roma 2006, p.163

298 G.Bergner, Who is that Masked Woman? or, The Role of Gender in Fanon's Black Skins White Masks, in “PMLA” , vol.110 n.1, gennaio 1995, pp.75-88, qui p.77

299 G.Ch.Spivak, Critica della ragione postcoloniale, op. cit., p.180

Per quanto riguarda, invece, la critica diretta a Fanon di ignorare le donne e di trattarle, al pari di Freud, come un “continente oscuro”, il punto è che egli tende a situare tutti i rapporti che stanno sotto il dominio coloniale entro una dimensione di per sé viziata, patologica, immediatamente nevrotica.

Sono viziati i rapporti familiari, perché il figlio è cresciuto vedendo percuotere e umiliare impunemente il padre, e perché il marito ha visto stuprare la moglie dal bianco davanti ai suoi occhi; i rapporti di amicizia, perché i compagni che tornano dopo aver visto la metropoli europea indossano ormai maschere bianche e quelli che parlano bene il francese sono temuti; e i rapporti d'amore, perché l'uomo di cui parla Fanon, quando è amato, sa di essere amato “nonostante il colore”.

Al cuore del discorso sulla razza non può essere posta la divisione binaria tra i sessi, perché il dispositivo sessuale opera proprio attraverso spostamenti continui e mediante una proliferazione delle identità.

E allora la situazione della divisione tra i sessi è solo uno dei rapporti sovradeterminati dal problema della razza e del dominio - rapporti che, alla rottura determinata dalla lotta di liberazione, sono tutti rimessi in discussione.

Come osserva Renate Siebert, gli stessi rapporti patriarcali interni al gruppo familiare si irrigidiscono, proprio per costituire una struttura difensiva rispetto al dominio coloniale, sottoponendo la donna ad un regime autoritario stratificato: prima ancora del colono, ci sono il padre, i fratelli, le donne anziane301, per cui,

“all'interno dell'itinerario cancellato del soggetto subalterno, la traccia della differenza sessuale viene doppiamente cancellata”302.

Tuttavia Fanon ne “L'anno V della rivoluzione algerina”, a quanto aveva detto ne “I dannati della terra” sulla redistribuzione fondamentale dei rapporti tra gli uomini portata dalla lotta di liberazione, che ridefinisce le forme e i contenuti del popolo303,

aggiunge il valore della lotta come modalità di soggettivazione anche della donna, del suo corpo, e alla base dell'apertura di una pista verso lo svincolamento dei legami di coppia e familiari dai vincoli tradizionali: per Fanon, “si pone qui, è chiaro, il fondamento stesso dell'incontro tra i sessi”304.

Questo elemento del “fermento femminile”, come argomenta Lou Turner, aggiunge una nuova dimensione dialettica nello schema servo-padrone, che “Pelle nera maschere bianche” leggeva in termini di classe e di razza, facendo emergere “le

301 R.Siebert, Voci e silenzi postcoloniali, op. cit., p.113

302 G.Ch.Spivak, Critica della ragione postcoloniale, op. cit., p.286 303 Cfr: F.Fanon, I dannati della terra, op. cit., p.172

304 F.Fanon, Scritti politici. L'anno V della rivoluzione algerina, op. cit., p.99

E' rilevante da questo punto di vista l'apertura clandestina, nel periodo della lotta, di registri di stato civile, che davano vita ad un'amministrazione autonoma in grado di siglare, tra l'altro, le unioni nate tra i giovani combattenti lontani dalla famiglie.

donne rivoluzionarie come punto di svolta nel superamento delle contraddizioni della dialettica servo-padrone”305.

Tuttavia, l'agentività della donna, e il suo stesso corpo, sono attraversati dalle ambivalenze segnate dalle trasformazioni culturali innescate, prima, dal passaggio dal dominio coloniale alla lotta, e poi dalle luci e ombre che la liberazione riceve in eredità, perché “poi, quando lo straniero se n'è andato, gli uomini si sono trovati benissimo tra di loro”306.

Fanon non considera la donna come mero oggetto di desiderio sessuale, come dimostra in particolare la sua attenta analisi dei diversi significati simbolici assunti dal velo e del suo uso strategico durante la lotta.

L'irrigidimento della famiglia patriarcale rispetto alla pretesa eurocentrica di mettere al bando il velo, risponde all'etichettamento occidentale di certe tradizioni come arcaiche307, cui è in realtà sottesa l’ossessione occidentale di svelare, insieme alla

donna algerina, tutto il mondo per renderlo trasparente al suo sguardo ed alle sue esigenze: l’europeo, di fronte all’algerina, vuole vedere.

Ma se, nell'immobilismo della situazione coloniale, “all'offensiva colonialista nei confronti del velo, il colonizzato oppone il culto del velo”308, chiudendo il corpo

femminile nell'immagine pietrificata di simbolo della nazione, con la lotta di liberazione il ruolo delle donne muta: si passa dalla resistenza passiva alla partecipazione attiva, ben oltre le previsioni del FNL, e qui il velo può anche essere ripreso, ma è “definitivamente spogliato della sua dimensione esclusivamente tradizionale”309.

Alle donne è riconosciuto un ruolo specifico nel processo di soggettivazione, in quanto il contro-utilizzo di uno strumento come il velo, quale prolungamento del corpo della donna, nella guerra semiotica in cui si esprime, caratterizza l'investimento di una parte del proprio corpo per inventare e portare a termine un compito che gli uomini non potrebbero svolgere.

Anche se nel periodo post-liberazione verrà alla luce un nuovo dominio, quello delle borghesie nazionali e della dittatura di partito, che richiudono gli spazi di soggetti come i contadini e le donne, resta il fatto che la soggettivazione della figura

305 L.Turner, Fanon and the FNL: Dialectics of Organization and the Algerian Revolution, in N.Gibson, Rethinking Fanon, Humanity Books-Prometheus Books, New York 1999, pp.369-407, qui p.399

306 R.Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite. Intervista con Assia Djebar, La Tartaruga, Milano 1997, p.187

307 Al fondo c'è lo stesso discorso che Spivak rinviene a proposito del sati, per cui “l'immagine dell'imperialismo (o della globalizzazione) come fondatore di una buona società viene marcata dall'adesione all'idea della donna come oggetto di protezione dalla sua stessa gente”.

G.Ch.Spivak, Critica della ragione postcoloniale, op. cit., p.302

308 F.Fanon, Scritti politici. L'anno V della rivoluzione algerina, op. cit., p.48 309 Ivi, p.60

femminile quale agente della lotta ha potuto aprirsi per un momento ad uno spiccato carattere di invenzione: le donne che scendono in strada senza il velo oppure nascondendo messaggi, denaro o bombe nelle loro vesti tradizionali, non hanno precedenti da cui prendere esempio, hanno da imparare solo da se stesse un ruolo mai visto né previsto: è questo il senso della lotta come quel quid che “rende possibili il massimo numero di condizioni per lo sviluppo e l'invenzione culturale”310, l'introduzione nella Storia dell' “invenzione dell'esistenza”311, l'unico

vero “salto”, il modo in cui “la soggettività si introduce nella storia e le trasmette il suo soffio vitale”312.

Inoltre, come mostra Robert Young, il “dinamismo storico del velo” descritto da Fanon rende evidente la dimensione contingente entro la quale va letto il significato di certi simboli che cambiano, mutano, subiscono modifiche e vengono adattati a diversi bisogni e a nuove circostanze”313, tenendo conto che “una lettura estrinseca

tenderà sempre a interpretare [quegli stessi simboli] in funzione dei significati dello spazio sociale dell'osservatore”314.

L'esistenza stessa non solo di una eterogeneità di veli con diversi significati storici o anche circostanziali, ma anche di differenze tra i veli indossati dagli uomini (nella maggior parte dei casi, distintivi di uno stato sociale) e quelli indossati dalle donne, “non riguarda una questione intrinsecamente di genere, ma una situazione di tipo contingente”315.

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