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Quella resistenza che sta sempre in un “prima” rispetto alla presa del potere, che già aveva fatto emergere dei margini irriducibili alla comprensione totalizzante dello sguardo del colono formulato nel “discorso coloniale”, perfino a livello letterario, promana in primo luogo dal corpo del subalterno; sciolta da una posizione di mero rovesciamento, lontana, cioè, dal rappresentare solo un contro-spazio situato in un rapporto simmetrico rispetto al potere, la resistenza si incarna anche nei riti di possessione e in quelli di tipo magico o divino che continuano ad esistere, ed anzi si intensificano, sotto la razionalità “cartesiana” del dominio coloniale.

Qui vi si trova una dimensione che toglie ogni iniziativa all'oppressore giacché riconduce le cose all'incontrovertibilità della decisione divina: “terrificandomi, essa mi integra alle tradizioni, alla storia della mia contrada o della mia tribù, ma nello stesso tempo mi rassicura, mi rilascia uno statuto, un certificato di stato civile”346,

ciò che non può essere invece reintegrato da una pratica di confessione, in quanto è lo stesso riconoscimento di un soggetto che da sempre è venuto a mancare.

Le parole di Fanon su quel tipo di rituali che continuano ad esplodere nella popolazione colonizzata sembrano rimandare a quell'altrove che Foucault ha proiettato, nei suoi studi degli anni Ottanta, in un tempo-spazio che anziché essere situato al limite della struttura del potere, può essere creato a partire da pratiche del sé che trovano forma, a loro volta, entro pratiche collettive.

Infatti, come il pensatore francese indica nelle sue ultime ricerche, la creazione delle pratiche di sé è fatta a partire dagli elementi che l’individuo è in grado di reperire nella contingenza, nella singolarità del suo presente storico: queste pratiche non sono tuttavia qualcosa che l’individuo si inventa da solo.

Sono degli schemi che trova nella sua cultura e che gli vengono proposti, suggeriti, imposti dalla sua cultura, dalla sua società e dal suo gruppo sociale347.

Se si tengono però da parte questi appunti sulle linee comuni tra Foucault e Fanon, i richiami agli effetti di verità dei dispositivi, alla strumentazione della macchina confessionale e, in definitiva, la centralità rivolta alla materialità delle condotte e delle pratiche nell'analisi degli effetti di potere, allora la posizione che lo psichiatra martinicano mantiene rispetto alla filosofia di stampo esistenzialista, che arriva alla riproposizione delle polarità oppositive della dialettica hegeliana (contro

Roma 2007, p.64 346 Ivi, p.19

l'oppressione del bianco, l'essenzialità della negritudine, al fine di costituire una nuova umanità), tutti questi elementi fanno sì che il discorso di Fanon venga a situarsi proprio entro quelle coordinate con cui Foucault si è sempre rifiutato di compromettere le sue ispirazioni.

Fanon, comunque, è consapevole dei limiti di quei vortici di violenza che, nei riti di possessione, ai fini di un reale cambiamento della situazione, girano a vuoto, e, in generale, di quell'irrigidimento delle tradizioni che prima della lotta compongono il carattere di una “negritudine”: questa è una fenomenologia che si limita ad opporre delle tecniche di resistenza passiva all'oppressore.

E' vero, tuttavia, che, se ha parlato del rifiuto di autenticare il contratto sociale che sigilla il dominio dell'oppressore, questo può realizzarsi a partire da pratiche collettive di insubordinazione che smentiscono il carattere delle “società primitive” colonizzate come abitate da uno stato di natura dove il rapporto tra simili è, dal punto di vista della collaborazione sociale, informe.

Come si è visto ad esempio a proposito delle “Condotte di confessione in Nord- Africa”, Fanon sembra adombrare la narrazione hobbesiana di una temporalità in cui non esiste il contratto sociale che fonda la società civile: ma si tratta di un “contratto sociale di cui tuttavia sospende la temporalità progressiva per reintrodurci alla scena dello stato di natura”348.

E' questa “sospensione della temporalità progressiva” che risulta essere decisiva proprio per superare la teorizzazione hobbesiana.

Se seguiamo Balibar, infatti, quello che Hobbes presenta come stato di natura, aldilà del fatto che trovi una delle sue forme storiche nelle società primitive, è da vedersi, pure rispetto alla costituita società civile, non tanto come uno stato originario, un racconto mitico, che avrebbe preceduto le forme istituzionali nate dal contratto sociale, ma come una possibilità di barbarie che permane in maniera latente minacciando l'ordine civilizzato, una guerra che continua sotto la cifra della pace.

La prospettiva aperta dalle pratiche di insubordinazione, e lo stesso ripiegamento sui valori chiusi della tradizione, mostrerebbe allora la tendenza della visione di Fanon verso quell'idea di matrice spinoziana che, opponendosi all'idea descritta da Hobbes di uno stato di natura come momento iniziale puro, riconosce che proprio all'interno di un ipotetico stato primitivo dell'umanità vi sia “la presenza di un embrione di razionalità, sotto forma di utilità reciproca degli individui, degli uomini che collaborano gli uni con gli altri”349.

348 S.Mezzadra, Questione di sguardi. Du Bois e Fanon, op. cit.

E' questo stesso fondamento che poi, quando si dispiega il combattimento per la liberazione, permette di comprendere che le tradizioni possono svolgere un ruolo di potenziamento della lotta proprio nel loro cambiare di significato, in quel

discontinuum come fondamento della vera tradizione350 - la tradizione degli oppressi

di Benjamin - e nello strappo che determina questo cambiamento: come osserva Mezzadra, “il soggetto politico, in Fanon, è sempre colto in questo momento di apertura, nello «strappo» (per riprendere la suggestione foucaultiana) che lo costituisce come in procinto di divenire altro da sé”351.

E' una deprise che nel disperdere il soggetto collettivo (quello che si riconosceva nella tradizione) e individuale (se ne è visto un esempio in quella della donna che per la prima volta gira per strada senza il velo e, priva di punti di riferimento, reinventa l'immagine stessa del suo corpo proprio nel mentre diviene partecipante attiva della lotta) fa sì che il punto di forza delle tradizioni stia proprio nel loro essere “fondamentalmente instabili e solcate da correnti centrifughe”352: “La cultura

non ha mai la trasparenza del costume. La cultura fugge principalmente ogni semplificazione [per cui] quel che era tecnica di resistenza passiva può, in quel periodo, essere radicalmente condannato”353.

Come sintetizza Homi Bhabha, “il tempo della liberazione è […] un tempo d'incertezza culturale e, ciò che è più essenziale, di indecidibilità della significazione e della rappresentazione”354.

Un esempio ne è il diverso ruolo che la figura del medico viene ad assumere nell'immaginario che si crea insieme alla lotta di liberazione: quando gli algerini capiscono che per continuare a combattere devono potersi curare e che quindi hanno bisogno anche della medicina che prima era offerta dagli stessi operatori che somministravano il siero della verità, si riempiono gli ospedali francesi, anche per assicurare alla popolazione civile le cure che potrebbero essere riservate ai militari: “il popolo vuole guarire, vuole curarsi e vuole capire le spiegazioni dei fratelli medici o infermieri”355.

Tuttavia Fanon, così come non ha mai celebrato quel ripiego sui valori della tradizione con cui il colonizzato resisteva – il punto è piuttosto che non esisteva altro modo, almeno fino al momento della lotta – allo stesso modo, evita di universalizzare la “negritudine”, consapevole del rischio che ogni forma di

http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=8#links (visitato il 3/6/2013)

350 Cfr: W.Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G.Bonola e M.Ranchetti, Einaudi, Torino 1997 p.234 351 S.Mezzadra, Questione di sguardi. Du Bois e Fanon, op. cit.

352 F.Fanon, I dannati della terra, op. cit., p.154 353 Ibidem

354 H.Bhabha, I luoghi della cultura, op. cit., p.56

culturalismo possa trasformarsi nella riproduzione di una nuova ragione strumentale, quando dice: “La mia vita non deve essere consacrata a fare il bilancio dei valori negri […]. Nel mondo in cui mi incammino, mi creo interminabilmente[...]. Io, uomo di colore, non voglio che una cosa: che mai lo strumento domini l'uomo”356.

E le parole con cui formula la preghiera con cui conclude “Pelle nera maschere bianche” suonano come il monito che incomberà sugli esiti contraddittori della liberazione, nell'intravedere all'orizzonte l'avvento di un nuova oppressione, quando lo psichiatra martinicato soggiunge: “O mio corpo fai sempre di me un uomo che interroga!”357.

Quello che viene a configurarsi è, anziché un soggetto unico che si compone e si fa rappresentante della “negritudine”, “un processo aperto di soggettivazione”358.

Contro la critica che tende a ridurre la radicalità di questo apporto politico sotto l'ampio appellativo di “umanesimo”, occorre considerare che, nel tentativo di localizzare Fanon all'interno di una storia intellettuale che è confinata all'Europa e al ventesimo secolo, si rischia di “escludere a priori ogni comprensione della peculiarità dell’intervento teorico di Fanon […]. Poiché […] non è contro Hegel e in maniera semplicemente negativa, ma invece a partire da lui e […] secondo quello che potremmo chiamare una pratica di dis-eredità, che Fanon viene ad adottare una prospettiva che prefigura, sotto certi aspetti, il pensiero foucaultiano”359.

Come si è già accennato a proposito dell'uso di Fanon della dialettica del riconoscimento, l'anti-umanesimo foucaultiano, che rende necessario l'abbandono del soggetto trascendentale al fine di scongiurare il primo dei punti d'innesto del potere, è possibile proprio perché un soggetto c'era già 360.

Occorre allora tenere conto della radicalità dell'umanesimo fanoniano nella misura in cui “l’«umano» ha un significato affatto peculiare per chi fa quotidiana esperienza della sua negazione”361.

Allora, da queste considerazioni emerge che se c'è una differenza forte tra Fanon e Foucault, più che sul piano della distinzione tra un pensiero legato all'esistenzialismo e all'umanesimo ed uno che, invece, decostruisce l'umanesimo inaugurando la morte dell'uomo, questa differenza si andrebbe invece a collocare

356 F.Fanon, Pelle nera maschere bianche, op. cit., pp.202-203 357 Ivi, p.204

358 S.Mezzadra, Questione di sguardi. Du Bois e Fanon, op. cit.

359 M.Renault, La confessione (anti)coloniale. Razza e verità nelle colonie: Fanon dopo Foucault, op. cit., p.62

360 Sul confronto con Hegel e sulla peculiarità della configurazione della “vita psichica del potere coloniale” si rimanda al capitolo secondo.

per lo più nella vocazione, che ispira Fanon, rivolta alla costruzione di un piano di immanenza che fondi la soggettivazione (e viceversa), cui fa da controparte quella linea interpretiva legata alla visione foucaultiana di un pensiero in cui il soggetto persiste solo nel senso (e attraverso) una continua trasformazione del sé, come forma non ontologica.

Il problema, cioè, è come si interpreta la “svolta foucaultiana” dalle opere che celebrano la morte dell'uomo alle ultime ricerche sull'etica dell'esistenza.

E, parallelamente, sul versante fanoniano, la questione sarebbe quella di prendere sul serio l'umanesimo da lui invocato, lontano dalle critiche ortodosse che tendono ad inglobare sotto un'unica etichetta ogni tipo di richiamo all'uomo.

Secondo Richard Pithouse, autore di “Frantz Fanon and the persistence of humanism”, occorre partire dal presupposto per cui, al centro della carica peculiare dell'opera di Fanon, c'è l'idea di un umanesimo immanente che occorre leggere, per coglierne il valore attuale aldilà della storia cui appartiene, a partire dalla distinzione che Negri e Hardt hanno fatto tra umanesimo rivoluzionario e reazionario.

E' solo a partire da qui che è possibile guardare in modo non riduttivo la modernità e la filosofia che più l'ha caratterizzata.

In “Impero”, Negri e Hardt parlano di due versioni opposte dell'umanesimo che contraddistinguono la modernità: se l'ideale di un umanesimo reazionario è stata l'affermazione di una nuova trascendenza da rinvenire nella forma-uomo, questo è andato ad occultare l'affermazione di un umanesimo rivoluzionario per cui gli esseri umani vivono in un piano di immanenza.

Prendendo la problematicità della linea di ricerca foucaultana ad emblema dell'esistenza di una contraddizione interna all'etichetta “umanesimo”, Hardt e Negri mostrano come il paradosso tra l'anti-umanesimo di Foucault a livello metodologico e il contenuto chiaramente umanista delle sue ultime ricerche sia solo apparente: “L'anti-umanesimo segue direttamente il progetto di secolarizzazione dell'umanesimo rinascimentale, o più precisamente, la sua scoperta del piano di immanenza. Entrambi i progetti si fondano su un attacco alla trascendenza […]. L'anti-umanesimo, quindi, concepito come rifiuto di ogni trascendenza, non deve in alcun modo essere confuso con la negazione della vis viva, la forza vitale creativa che anima il flusso rivoluzionario della tradizione moderna. Al contrario, il rifiuto della trascendenza è la condizione di possibilità per pensare questo potere immanente, una base anarchica della filosofia”362.

In questo senso, le ultime opere di Foucault sulla storia della sessualità e sul governo di sé e degli altri, col richiamo allo stoicismo e ai cinici, farebbero vivere ancora una volta quello stesso impulso che è peculiare di un umanesimo rivoluzionario.

Lo stesso pensatore francese ha voluto chiarire, nel rispondere, in una delle sue ultime interviste, alla domanda su “Che cos'è l'Illuminismo?”, la distinzione tra l'attitudine critica dell'Aufklärung e l'umanesimo: ci sono molti umanismi che definiscono dei valori talvolta opposti tra di loro, che, anche se sono serviti come principio critico di differenziazione, hanno fatto sì che “dal secolo XVIII, ciò che chiamiamo umanesimo è sempre stato costretto ad appoggiarsi a certe concezioni dell'uomo mutuate dalla religione, dalla scienza e dalla politica. L'umanesimo serve a colorare e a giustificare quelle concezioni dell'uomo a cui è costretto a ricorrere”363.

Secondo Pithouse, “l'impegno per la verità non è l'umanesimo reazionario portatore di un'ortodossia normalizzante, di un'ideologia, come l'essenza di ciò che significa essere umano, ma è un umanesimo che riporta alla verità delle esperienze dei singoli esseri umani, all'immanenza”364.

E' in questa direzione che è da leggere anche l'ispirazione fanoniana alla piena fioritura, su un piano di immanenza, dei poteri creativi della moltitudine: è un richiamo all'idea rinascimentale rivoluzionaria di immanenza proprio “perché mette i poteri della creazione nelle mani della moltitudine, sostenendo la concezione di esseri umani in un perpetuo stato di divenire, per quanto riguarda il loro modo di essere, le modalità dell'organizzazione politica e delle circostanze materiali di

363M.Foucault, Che cos'è l'Illuminismo? 1984, in Archivio Foucault vol.3, op. cit., pp.217-232, qui p.227 In questo senso, Foucault non si riduce a dire che tutto ciò che si riferisce all'umanesimo è da rifiutare, ma che esiste una forte tensione tra un'attitudine permanente di critica e di creazione di noi stessi e l'umanesimo.

Essere pro o contro l'Aufklärung è una disputa che confonde appunto i due termini della questione perché sottopone l'impegno per l'attualità che connota la critica illuminista ad un livello variegato e non definito, quello dell'umanesimo, mentre le trasformazioni tecnologiche che caratterizzano l'attitudine critica moderna lasciata in eredità da Kant non può essere riassunta in una sola parola.

C'è inoltre il rifiuto di considerare l'analisi della razionalizzazione della società e della cultura in termini di totalità, come hanno fatto gli esponenti della Scuola di Francoforte, peraltro reintroducendo il motivo dell'universale, nella speranza ancora aperta di riconciliare l'uomo con la natura.

“Dobbiamo fare il processo alla ragione? A mio avviso niente potrebbe essere più sterile […] Un processo del genere ci condannerebbe a svolgere il ruolo arbitrario e noioso del razionalista o dell'irrazionalista”. In Foucault, anziché una totalità da riconciliare dialetticamente, non vi sono altro che razionalità specifiche, contingenti e relative.

Il testo citato si trova in M.Foucault, Perché studiare il potere, Postfazione 1 a H.L.Dreyfus – P.Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, op. cit., p.239

364 R.Pithouse, Frantz Fanon and the persistence of humanism, in Protest and engagement: Philosophy after apartheid at an historically black South African university. South african philosofical studies II, in “Cultural eritage and contemporary change”, series II, Africa, vol.7, edited by P.Giddy, The Council for research in values and philosophy, Washington 2001, pp.9-34, qui p.22

esistenza”365.

Una tendenza che può ben affiancarsi, in vista di un reciproco arricchimento, a quel nodo tra un'ispirazione positivistica ed un'istanza etica che caratterizza il pensiero dell'ultimo Foucault entro un'ascendenza spinoziana: da un lato l'idea per cui “una soggettivazione afferma sempre tutto ciò che può affermare nelle condizioni in cui avviene questa affermazione”366, dall'altro e nello stesso tempo l'affermatività

cangiante di “una creazione permanente di noi stessi nella nostra autonomia”367.

L'umanesimo, che qui si afferma come pratica rivoluzionaria, viene a definire allora la forma del pensiero in grado di rendere conto del potenziale degli esseri umani di risvegliare e utilizzare, liberamente, le loro energie creative, di impegnarsi e cambiare gli aspetti materiali e le realtà simboliche del mondo in cui si trovavano o si trovano, in un perpetuo stato di divenire368.

365 Ivi, p.13

366 A.Pandolfi, L'etica come pratica riflessa della libertà. L'ultima filosofia di Foucault, op. cit., p.24 367 M.Foucault, Che cos'è l'Illuminismo? 1984, op. cit, p.227

368 Un'accezione simile di umanesimo è quella suggerita da Dovolich, che sottolinea che “il dichiarato antiumanismo del nostro autore vale solo se per umanismo intendiamo quella metafisica della soggettività che ha segnato tanto profondamente l’età moderna di cui noi facciamo ancora parte, anche se ci troviamo a viverne, ormai in modo consapevole, la parabola discendente”.

Dovolich, C., Singolare e molteplice: Michel Foucault e la questione del soggetto, Franco Angeli, Milano 1999, pp.7-8

Capitolo quarto

Variabili resistenti alla Storia

4.1 Il problema dell'origine: Storia, tempo, spazio

La pretesa della rappresentazione e dell'identità, che è alla base del pensiero della tradizione metafisica occidentale, è strettamente legata ad un processo di riattivazione dell'origine e di definizione di un tempo e di uno spazio ancorati all'immaginario della modernità e dello Stato.

E' questa un'immagine che determina l'imporsi di una determinata struttura del senso storico.

Fin dalla fase più vicina allo strutturalismo, Foucault ammette l'imbarazzo di trovarsi di fronte ad una storia divenuta “oggetto di una strana sacralizzazione”, che la rende immune dai tentativi di staccarla da quel soggetto donatore di senso su cui essa fonda il suo carattere di scienza delle scienze, infiltrando le categorie del suo campo metodologico come linea di contorno comune a tutte le scienze umane, dalla linguistica all'etnologia, dall'economia all'analisi letteraria e alla mitologia.

Per Foucault, vige una sacralità totalizzante della storia che sorpassa gli individui e si prende gioco di loro.

Ad essa si contrappone la storia diretta dalla genealogia, che, lontano dal farsi serva di quella filosofia che è legata all'antropologia e all'umanesimo e che narra “la nascita necessaria della volontà e del valore”, si propone di rigettare il punto di vista soprastorico di “una storia che avrebbe la funzione di raccogliere, in una totalità ben rinchiusa su di sé, la diversità infine ridotta del tempo; una storia che ci permetterebbe di riconoscerci dovunque e di dare a tutte le trasformazioni del passato la forma della riconciliazione: una storia che getterebbe dietro di sé uno sguardo da fine del mondo. Questa storia degli storici si dà un punto d'appoggio fuori del tempo; pretende di giudicare tutto secondo un'obiettività da apocalisse; in realtà ha supposto una verità eterna, un'anima che non muore, una coscienza sempre identica a se stessa”369.

369 M.Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Il discorso, la storia, la verità, op. cit., p.57

Il sistema di pensiero che caratterizza, secondo il filosofo francese, la storia occidentale, è segnato dagli elementi della continuità e della teleologia come attributi del tempo, che tracciano una cronologia che va dal fondamento mitico di un'origine ad un punto in cui il soggetto della coscienza storica ritroverà questo fondamento razionale restituito in una forma unitaria ricomposta, conservata dal tempo.

Il pensiero moderno ha così autorizzato “gli sforzi positivistici volti a inserire la

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