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Dai greci alle pratiche politiche nella postcolonia

Se fin qui si è posto l'accento sulla necessità di un ritracciamento delle categorie classiche di spazio e tempo, nonché di una prospettiva diversa entro cui possa leggersi oggi la nozione di classe, ciò vale anche alla luce di situare entro una dimensione altra gli attributi generalmente connessi alla densa espressione di “democrazia”.

I significati che riferiamo comunemente al termine “democrazia” e ad espressioni come diritti di cittadinanza, libertà e autonomia politica, potrebbero essere annoverati senza troppi indugi tra quelle che René Char ebbe a definire quali nozioni pressoché ricorrenti e costanti, una sorta di invarianti storiche: era quanto lo portava a dire che la storia pare essere nient'altro che “la lunga successione dei sinonimi di uno stesso vocabolo: contraddirla è un dovere”564.

Al fondo di questa catena continua di significati che si vuol rinvenire nel corso della storia di concetti relativi ad una sfera etico-politica propria e originale dell'Occidente fin dall'antichità, vi è ancora la ricerca di un'origine quale punto fermo di non ritorno, su cui poter fondare l'eurocentrismo.

La ricerca dell'origine si è spinta, com'è noto, fino a chiedersi dove sia nata l'Europa, se vi siano state delle radici specifiche di una certa razionalità, non solo politica, ma immediatamente morale, etica ed umana, cui far appello per legittimare la razionalità di un presente che vi si pone secondo una linea di continuità progressiva pacificata.

Samir Amin e Martin Bernal, in particolare, hanno sostenuto che la storiografia

mainstream sviluppatasi in Occidente ha posto se stessa come diretta discendente

del mondo greco classico: un'antichità depurata, però, della sua provenienza e contaminazione orientale, e derivata dalla colonizzazione di Egizi e Fenici risalente al 1500 a.C. e dai successivi scambi - pure attestati dagli storici dell'antichità concordemente e a più livelli, a partire dall'influsso filosofico ed etico-religioso – con

564 La citazione è contenuta in P.Veyne, I Greci hanno conosciuto la democrazia?, in C.Meier-P.Veyne, L'identità del cittadino e la democrazia in Grecia, Il Mulino, Bologna 1989, p.100

l'area indiana.

Così “Eurocentrism” e “Black Athena” mostrano come la rimozione dell'antica Grecia dal luogo del suo sviluppo, che comprende anche e soprattutto l'Oriente, e l'arbitraria annessione dell'ellenismo ad una storia puramente europea, facciano parte di una costruzione che continua ad interferire con le relazioni transculturali che coinvolgono da sempre, e a maggior ragione nell'era dei flussi globali, l'Europa565.

Per fare solo un esempio tra tanti, a contraddire questa serie di rimozioni, e anzi sostenendo proprio la centralità delle contaminazioni, per così dire, straniere, ci sarebbe in proposito chi, come il Ferrand Sayre di cui Foucault cita gli studi sul cinismo greco, tenderebbe a ricondurre proprio all'aumentare degli scambi con il Sud-Est dell'Asia, nel periodo post-alessandrino, alcune tra le cause della crisi del mondo della polis566; ma non in senso patogeno, in quanto da questo processo

sarebbe derivato lo sviluppo che successivamente si ebbe nell'ambito del discorso etico-politico: proprio da qui si sarebbero date le basi antropologiche, etiche e politiche, prodromiche alla nascita di nuovi stili di vita, come quelli praticati dallo stoicismo, e di figure eroiche, come quella di Diogene, che, come si vedrà nello specifico, con la diffusione di un certo tipo di esempi di pratiche di vita, avrebbe dato inizio ad una delle esperienze della filosofia politica più tipicamente greca, e strettamente collegata al campo dell'etica, quale è stato lo stile di esistenza cinico567.

Al contrario di queste considerazioni che guardano anche al rapporto tra le vicende storiche e i suoi eventi particolari, la ricerca totalizzante di un punto primo in cui potesse dirsi formata l'Europa, o piuttosto l'uomo europeo, anche indipendentemente dalla sua consapevolezza di far parte di un organismo a venire,

565 Il riferimento è a S.Amin, Eurocentrism, op. cit., pp.98-106; M.Bernal, Black Athena, The afroasiatic Roots of Classical Civilization, vol 1. The Fabrication of Ancient Greece 1785-1985, Rutgers University Press, New Brunswick, NJ 1991

566 Da un lato c'è l'interpretazione classica che fa risalire le pratiche dello stile di vita cinico alla diffusione di quella “forma negativa di un individualismo aggressivo che nacque col crollo delle strutture politiche del mondo antico”; dall'altro Foucault pare mostrare più interesse verso la spiegazione fornita da Sayre in “Diogenes of Sincope”, in cui si vede che le conquiste di Alessandro portarono molti filosofi indiani, e in particolare monaci e asceti, a divenire espressione di una presenza familiare presso i greci a livello culturale.

Cfr: M.Foucault, Discorso e verità nella Grecia antica, introduzione di R.Bodei, Donzelli, Roma 1996, pp.76-77

567 Infatti, se, come si vedrà nel corso di questo capitolo e del successivo, la problematizzazione morale dei vari aspetti che formano il soggetto è incentrata, nell'esperienza greca, sui principi di autonomia e indipendenza, Foucault puntualizza che proprio i cinici, pur rappresentando a livello politico-istituzionale un momento di rottura, in realtà non avrebbero fatto che portare ad estreme conseguenze un discorso prettamente greco: “I cinici si riferiscono alla libertà (eleutheria) e all'autosufficienza (autarkeia) come criteri di base su cui misurare ogni tipo di comportamento o modo di vita. Per i cinici la condizione essenziale per la felicità umana è l'autarkeia, l'autosufficienza o l'indipendenza, quella situazione nella quale ciò di cui si ha bisogno o ciò che si decide di fare dipende esclusivamente da se stessi”.

è andata a pensare l'antichità classica, e in particolare la Grecia, quale “culla della civiltà occidentale” e la polis ateniese come modello tipico di base di un'ideale di democrazia che si sarebbe progressivamente evoluto e rafforzato, reso anzi consapevole delle sue potenzialità dal progresso storico di una ragione che sempre dall'uomo greco, cittadino della polis, l'uomo europeo avrebbe ereditato in linea diretta.

Il recupero dell'antico e la comparazione con l'attuale in un senso preciso che è quello di una continuità della storia e dei valori, della mentalità e del logos che vi fa da sfondo, lascia sfuggire la possibilità dell'esperienza di un'alterità radicale, al punto che si potrebbe avere rispetto al mondo greco antico, per l'enorme impatto che ha avuto sulla storia europea medievale e moderna, “l'impressione che non semplicemente ci si sia impadroniti dell'antichità ma che l'antichità si sia impadronita di noi”568, ma nel senso di un progredire a partire da un modello di cui

l'Occidente si è voluto fregiare senza troppe problematizzazioni.

Se, però, gli studi comparatisti, compresi quelli che hanno sostenuto le ricerche degli autori postcoloniali, si sono occupati prevalentemente di mettere in luce la contaminazione, gli ibridismi e l'impensabilità di una forma dell'alterità pura nella contrapposizione tra Oriente ed Occidente anche nel discorso relativo al mondo antico, è possibile arricchire questo dibattito di natura, per così dire, epistemologica, per vedere se sia possibile caricarlo di un potenziale di politicizzazione, andando a distanziare in maniera radicale, piuttosto che a vederne le ibridazioni interne, l'esperienza di democrazia, cittadinanza e partecipazione politica che si suole situare al cuore dell'Europa, quale è stato il mondo della polis greca e in particolare della polis ateniese.

Ciò che molti studiosi del pensiero politico classico rinvengono, infatti, pare essere particolarmente affine alle modalità in cui le pratiche di soggettivazione e le esperienze attraverso le quali, quelli che si è definiti subalterni nel presente postcoloniale, negoziano quotidianamente resistenza rispetto ai biopoteri ma anche modalità di sottrazione, andando a costituire delle sfere cangianti e intrecciate di autonomia.

Si tratta, per i migranti così come per chi vive ai margini delle classificazioni che rompono gli status che definiscono i diversi “pacchetti” relativi ai diritti di cittadinanza, di una resistenza che viene a coincidere con l'esistenza stessa, riguardando aspetti come la vita culturale, psicologica, religiosa, oltre che, naturalmente, sfere materiali quali il diritto ad un luogo dove vivere, ad un lavoro,

568 C.Meier, Cultura, libertà e democrazia. Alle origini dell'Europa, l'Antica Grecia, Garzanti, Milano 2011, p.19

alla sussistenza e all'assistenza sanitaria, tutti ambiti che tipicamente lo Stato neoliberale riconnette allo status legale della cittadinanza.

Se, come si è visto, la cittadinanza si pone come una delle linee problematiche e di valutazione morale sulle capacità di autogoverno dei soggetti, all'incrocio tra razza, genere569, classe e tipologie lavorative, nonché entro la illusoria dicotomia capitale

non-capitale, lavoro salariale e precariato, la scelta del mondo dell'Antichità ellenistica quale angolo visuale per guardare alle pratiche entro cui il soggetto ha guardato e guarda a se stesso come cittadino o come non cittadino con riferimento ad un discorso sulla cittadinanza che attualmente lo specifica come soggetto morale, si richiama non solo a questioni di affinità metodologica rispetto alle ricerche foucaultiane degli anni Ottanta, ma anche alla considerazione per cui, sempre a partire da un'ottica che privilegia l'emersione della differenza dell'attuale rispetto alla continuità che ci unisce al passato, distanziare certi quadri di pensiero che pure hanno avuto una connotazione peculiare e una problematizzazione etico- politica che non è la nostra, può servire a reinvestirli da un punto di vista diverso e carico di stimoli critici e propositivi per l'approccio che mira a politicizzare non solo le lotte, ma anche le attività e le tracce che quotidianamente creano i campi in cui si negoziano e si ridefiniscono di volta in volta i confini tra governamentalità ed autonomia, tra governo di sé e governo degli altri, entro un percorso non del tutto prevedibile negli esiti.

Se c'è, infatti, un elemento a cui si fa tipicamente riferimento per cogliere ciò che abbiamo ereditato dal mondo greco classico, questo include almeno tre nodi, interdipendenti: la cornice entro cui una particolare antropologia e un modo di concepire la vita etica si sono connesse al modello della democrazia; discende da questo una concezione della cittadinanza in cui il legame tra la città e l'uomo riveste una dimensione a tal punto immediata – nel senso anche di non mediata da istituzioni intermedie in funzione di rappresentanza – e problematizzata in un senso estraneo al nostro, da far pensare che il modo specificamente greco di essere

569Il discorso della cittadinanza taglia anche il dispositivo del genere nel senso che, come ha messo in rilievo Ong, il trattamento delle immigrate e l'iter delle donne verso l'acquisizione della cittadinanza vengono differenziati rispetto a quelli dei maschi perché si ritiene che esse siano soggetti più malleabili e maggiormente bisognosi dei servizi offerti dal paese ospitante; avendo del resto tutta una serie di bisogni relativi all'assistenza sanitaria materna e alla cura dei figli e della casa, sarebbero più incentivate e predisposte a diventare i soggetti imprenditori di se stessi richiesti dalla cittadinanza americana e a spingere le nuove generazioni verso un modo di vivere, in tal senso, adeguato; non prima di essersi opposte al marito e al vecchiume patriarcale che hanno portato con se dal paese d'origine.

In tal modo, ai dispositivi di cura che già prendono in carico i migranti usando l' atteggiamento paternalistico tipico della conduzione pastorale, si aggiunge quale elemento ulteriore la strumentalizzazione della figura femminile per entrare nei rapporti familiari, per cui, come conclude Ong: “A prescindere dalle buone intenzioni dei singoli operatori sanitari, la logica interna alla dominazione compassionevole produce una doppia sottomissione: le donne della maggioranza dominano le donne della minoranza, e queste, a loro volta, dominano gli uomini della minoranza”.

cittadini costituisce il nucleo della peculiarità del mondo antico570, e che sia questa

caratteristica che va posta in primo piano per rendere maggiormente evidente la distanza che li separa rispetto al momento in cui l'appartenenza ad uno Stato ha cominciato ad emergere come oggetto di una pratica discorsiva e strumento di un intreccio di tecnologie di governo; terzo nodo, ma a fondamento dei primi, è la visione, tramandata fin dagli studi medievali sul mondo ellenistico, per cui “il retaggio dell'antichità [racchiude] un che di speciale […]. In ogni caso c'era qualcosa alla sua base (qualcosa che tuttora vibra in quel lascito) di cui non troviamo alcun precedente nella storia del mondo: la libertà”571.

Attraverso la lente delle ricerche foucaultiane sul modo in cui funziona il nesso tra etica e politica nel mondo classico, si può forse anche cominciare a guardare a quelle forme di resistenza che si svolgono secondo schemi diversi da quelle tradizionali della lotta diretta contro il potere; poiché, infatti, le forme entro cui il subalterno pratica la resistenza si articolano spesso come sottrazione, come rifiuto, potrebbero costituire un utile strumento di lettura di tali “esperienze altre della soggettivazione” proprio le pratiche di libertà – non, quindi, la libertà come ideale contrapposto alla sottomissione al potere - quali si configurano negli scritti, nei corsi e nelle interviste di Foucault negli anni Ottanta, all'indomani di quella che è stata frettolosamente vista da alcuni come una svolta etica sintomo di un ripiegamento, di un esilio rispetto alla sfera della politica.

Tali pratiche di libertà, infatti, definiscono le resistenze secondo una dinamica che permetterebbe di coniugare la dimensione individuale ed etica con la dimensione collettiva, entro quella sfera di autonomia che, seguendo Samaddar, si specifica in quanto campo che residua dalla governamentalità, proprio in quanto e nella misura in cui è un campo che può ancora essere giocato in vista di una politicizzazione dell'agire dei soggetti che lottano per acquisire il potere, in primo luogo quello su di sé e sulla propria autodeterminazione, pur essendo privi della titolarità dei diritti rispetto allo Stato.

In questa ottica sembra che, proprio nel suo non sondare la discontinuità e la distanza che separa quella che si pretende essere l'origine, il dibattito contemporaneo su democrazia, cittadinanza, politica come partecipazione, come governo di sé e degli altri, e sulle connessioni di queste sfere all'ambito dell'etica, perda un punto critico di confronto, un'apertura a vedere che possibilità altre di concepire certi ambiti sono esistite proprio nell'esperienza di quello che si vuol vedere come il cuore dell'Europa; e delle simili aperture sembrano tornare

570 C.Meier, Introduzione a C.Meier-P.Veyne, L'identità del cittadino e la democrazia in Grecia, op. cit, p.7 571 C.Meier, Cultura, libertà e democrazia, op. cit., p.20

attualmente proprio dal dibattito politico in India, dalle forme in cui si esprimono le istanze delle autonomie, nonché, dall'altra parte del mondo, dalle modalità attraverso le quali una serie di ricerche di stampo foucaultiano, come quelle di Ahiwa Ong, mostrano come i migranti, annoverati quale figura tipica del subalterno, direttamente imparentati con le vecchie vittime delle colonie, siano invece anche e

prima di tutto dei soggetti il cui agire è inerente al funzionamento delle tecnologie

di potere, non estraneo ad esso come se esistesse uno schema binario che divide oppressori e oppressi; e se anche questa azione può essere essa stessa vista come una partecipazione all'operare del potere e quindi come un punto d'innesto ulteriore della disciplina e del controllo, non è detto che delle pratiche consapevoli del governo di sé non possano generare effetti di cui queste “vittime” potrebbero servirsi in maniera strategica, nel senso di imparare “come, entro i giochi di verità e di potere delle nostre società, si possano giocare più partite contemporaneamente: come un rifugiato possa, per esempio, rivolgersi al medico per un certificato d'invalidità che gli valga un assegno integrativo, e, nello stesso tempo, possa andare da un medico tradizionale per elaborare il lutto in un modo per sé comprensibile”572.

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