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La responsabilità morale tra ricchezza e povertà

Se lo schema che il mondo greco si è dato pare incentrato sul carattere aperto del rapporto con la norma sociale, ciò non vale, comunque, a rappresentare un tipo di società in cui le differenze fossero livellate e ciascuno era uguale all'altro.

Il punto è però che la connotazione morale legata alla povertà e al lavoro appaiono quali esemplificazioni particolarmente emblematiche per mostrare come era applicata la sfera etica all'ambito pratico, un ambito di valori che determina in

626 Cfr: M.Foucault, Il governo di sé e degli altri, op. cit., lezione del 5 gennaio 1983.

Qui Foucault tiene a precisare che questo stato di minorità non va confuso “con ciò che certi filosofi potevano designare come lo stato d'infanzia naturale di un'umanità che non ha ancora acquisito la possibilità e i mezzi per raggiungere la propria autonomia” (p.36)

627 Basti pensare che la pratica dell'ostracismo nasceva proprio allo scopo di scongiurare il rischio di incappare di nuovo in un potere tirannico, quale era stato quello di Pisistrato, prima della formazione della democrazia avviata dalle riforme di Clistene.

Tuttavia si trattava di un esilio non penale, in cui la persona colpita non veniva privata della proprietà e non cadeva in disgrazia.

maniera peculiare il modo di atteggiarsi della questione di come l'uomo greco si applicava a pensare se stesso come povero o come lavoratore.

Innanzitutto i termini di povero e lavoratore designano nell'antichità classica delle nozioni diverse dai significati che il pensiero moderno attribuisce loro: basti pensare a quale motivazione veniva addotta da un ateniese storpio intorno al 380 a.C. per rivendicare al Consiglio il sussidio che gli era stato tolto: “Ho un mestiere che mi rende qualcosa, ma praticamente non posso lavorare io stesso né mi posso permettere di comperare qualcuno che mi sostituisca”628.

Ad Atene il criterio distintivo tra ricco e povero “non è il possesso di un certo livello di fortune, ma la necessità del lavoro”, per cui da questo punto di vista i poveri sono i più, la maggior parte, sono ad esempio tutti quelli che non possono permettersi di avere uno schiavo, pur possedendo un appezzamento di terra anche minimo sul territorio della polis, quanto basta ai fini dell'acquisizione di una cittadinanza per via ereditaria prima del V secolo; e il lavoratore non è d'altronde considerato dal punto di vista della produttività, ma qualificato in termini morali a seconda del grado di autonomia e libertà che può permettersi, anche grazie all'ausilio di vari “aiutanti”, quali schiavi, pur se di diverso grado e quindi qualificati a loro volta in un senso più o meno dipendente dalle direttive del padrone dal punto di vista delle decisioni da prendere in relazione alle attività legate al lavoro.

In proposito, come sottolineano Austin e Vidal-Naquet, in ballo ci sono delle distinzioni di natura morale, entro un ordine in cui “l'analisi economica non investirà solo l'analisi politica [...]; essa investirà ugualmente l'analisi etica e lo studio dei valori in generale”629, valori che non sono quindi specificamente creati per l'ambito

economico, ma sono gli stessi che fanno da sfondo, per l'uomo greco, ad ogni sfera dell'atteggiarsi e dell'agire individuale e sociale.

Com'è noto, il mondo greco antico conosceva una forte discrepanza di tipo materiale tra ricchi e poveri, al punto che non esisteva neanche una vera divisione di classe, potendosi rappresentare la società come spaccata in due; e pure quando emersero i ceti medi, questi andarono ad allargare la composizione dei più, della gente comune, cioè dei poveri, determinando la necessità di una riarticolazione politica della cittadinanza.

Tuttavia la sfera politica tendeva a porre la problematizzazione morale di ricchi e poveri in un senso che mirava a trattarli in maniera diversa gli uni dagli altri sulla questione della qualificazione di una soggettivazione etica, guardata dal punto di

628 E' quanto riporta Lisia, citato in M.Finley, Civilità greca e lavoro degli schiavi, in AA.VV., Marxismo e società antica, op. cit., p.133

629 M.Austin–P.Vidal Naquet, Economie e società nella Grecia antica, in AA.VV., Marxismo e società antica, op. cit., p.214

vista di una morale sociale in questo caso molto stringente nei confronti dei ricchi: se, come si è detto, dal cittadino si esigeva che partecipasse agli affari della

politeia, e lui stesso sentiva questi affari come civici, suoi propri, oltre che politici,

in caso di inosservanza a questo suo dovere, non solo mancava di rispetto agli altri, ma rischiava di incappare addirittura in sofferenze psicosomatiche630, proprio perché

veniva a mancare all'esercizio di un suo diritto verso se stesso; ma ciò valeva a maggior ragione qualora fosse stato un ricco, in quanto trascurando la città, “i ricchi hanno il torto di non essere sempre conformi alla propria essenza”631.

Il ricco, dunque, è investito di richieste sociali maggiori in quanto a responsabilità morale, ma non perché il povero avesse in ultima istanza meno possibilità di distinguersi, quanto piuttosto perché chi è ricco ha più tempo materiale per dedicarsi alla politica, mentre un indigente, tranne se il suo stato fosse a lui imputabile, è dispensato da una partecipazione continua, perché deve prima assicurarsi da vivere; e tuttavia il povero non si trova di fronte ad uno schema etico che gli preclude di costituirsi quale soggetto dotato di qualità morali forti: anche se è solo a partire dalla fase successiva alla crisi delle poleis che la virtù viene investita di un'esigenza di universalità, già ci sono i germi che fanno da sfondo all'etica aristotelica nel suo tracciare il nesso tra ēthos (carattere) e ethos (abitudine): nell' “Etica Nicomachea”, “la natura fornisce soltanto una predisposizione alla virtù, che va acquisita però con uno specifico impegno individuale e collettivo. La via maestra è secondo Aristotele l'abitudine alla condotta virtuosa”632, una caratteristica morale

che, come si vedrà, a un certo punto, la democrazia ateniese pare riconoscere proprio – e solo, in qualche caso emblematico633 - nella voce dei poveri o addirittura

degli esclusi dal diritto di parola.

All'ampiezza della questione etica riferita al nesso status economico – status sociale e campo dei valori, fa da contraltare l'assenza di una vera e propria problematizzazione della povertà dal punto di vista strettamente economico: del resto, se la finalizzazione di gran parte dei valori etici trovava una diretta implicazione nella partecipazione alla koiné ed una sperimentazione diretta nella vita politica, “pur di permettere ad ogni cittadino di partecipare personalmente alla vita politica, i cittadini come corpo erano disposti a erogare forti somme. Ed è ovvio che ciò andasse a beneficio soprattutto dei poveri, ma lo stato non si interessava

direttamente della povertà in sé”634.

630 C.Meier, L'identità del cittadino e la democrazia, op. cit., p.16 631 P.Veyne, I Greci hanno conosciuto la democrazia?, op. cit., p.85 632 M.Vegetti, L'etica degli antichi, op. cit., p.179

633 Il riferimento è all' “Oreste” di Sofocle, che sarà trattata a proposito della parresia politica. 634 M.Walzer, Sfere di giustizia, trad. di G.Rigamonti, Laterza, Roma 2008, p.79, corsivo aggiunto

Ciò doveva derivare in qualche modo anche dal carattere non definito in forma di essenza, come una naturalizzazione dell'umanità635, della distinzione tra ricchi e

poveri: del resto l'uomo greco considera le basi materiali dell'esistenza come mai determinate una volta per tutte, o perché frutto di una decisione degli dei o perché conseguenza di esiti sfavorevoli di guerre o calamità naturali, le ricchezze possono sempre venir meno, allo stesso modo in cui paradossalmente libertà e schiavitù, o condizioni di menomazione della libertà, non sono impossibili da pensare come convertibili in ultima istanza, perché un ateniese libero sa che per l'esito negativo di una guerra può diventare prigioniero e schiavo del nemico.

Sul versante del conflitto sociale tra ricchi e poveri interno alla polis – tra cittadini, quindi - fermo il criterio della necessità o meno di lavorare, “le due categorie non corrispondono a due estremi, esse si toccano e possono, all'occasione, confondersi al loro interno”636, cosicché non vanno a designare gruppi sociali distinti, al limite

come una sorta di classi, ma intersecano i gruppi sociali.

Questa configurazione pare in fondo derivare direttamente dalla genealogia che segna gli inizi di Atene come polis democratica: come affermano Lanza e Vegetti, “la città costituisce una risposta politica a una crisi economica e sociale”637, perché

storicamente la polis e in essa il metodo democratico nascono dalla necessità di spostare il conflitto economico e sociale direttamente sul terreno del confronto e della mediazione politica, di fronte alla situazione di impoverimento dei piccoli proprietari agricoli e di sviluppo demografico nelle campagne in cui risiedevano638.

Entro questo organismo sociale i gruppi rivendicheranno o conquisteranno i propri diritti attraverso un canale dichiaratamente politico, cosa che, se per chi tiene fissa l'immagine della classe può far pensare ad una frammentazione della lotta, in realtà dal punto di vista dell'efficacia determina una composizione che quanto meno fa emergere come sostanziale il carattere politico di un nodo di interessi che compatta lotte che non potrebbero trovare altrimenti un unico rappresentante: come sottolinea Meier, ad essere politicizzati non erano per lo più interessi economici, o, per così dire, di classe, tant'è che “gli appartenenti alla più ampia cittadinanza, nonostante la loro posizione politica dominante, non [hanno] sostenuto i loro interessi economici sulla scena politica […]. Infatti erano interessati a una

635 Ciò vale almeno fino allo sviluppo della filosofia aristotelica e alla deriva cui essa conduce nel senso di una sistematizzazione del pensiero.

Il punto sarà chiarito in seguito, a proposito della maniera in cui sembra che l'uomo greco si rappresenti e viva il rapporto con lo straniero, il barbaro e lo schiavo.

636 M.Austin- P.Vidal-Naquet, Economie e società nella Grecia antica, op. cit., p.219

637 D.Lanza - M.Vegetti, L'ideologia della città, in AA.VV., Marxismo e società antica, op. cit., p.274 638 Cfr: M.Vegetti, Polis e economia nella Grecia antica, testi di Esiodo, Eschilo, Protagora, Sofocle, Democrito, Solone, Pseudo-Senofonte, Senofonte, Platone, Aristotele Zanichelli, Bologna 1976, pp.3-5

determinazione politica che avrebbe dovuto loro creare profitto come cittadini, e non come contadini, artigiani, commercianti, braccianti”639.

Insomma, come efficacemente sintetizza Vegetti, “la polis tende a tenere il luogo strutturale che in altri sistemi occupano le forze di produzione, surrogandone la maggior parte; […] la politica tende ad assumere la funzione, direttamente o indirettamente, dei rapporti di produzione”640.

Da ciò derivano delle conseguenze sostanziali dal punto di vista del conflitto sociale: innanzitutto, data la struttura ideologica della città, il cittadino povero non entra mai in concorrenza né con lo schiavo né con lo straniero per il posto di lavoro, in quanto rappresenta se stesso in quanto destinato alla posizione di “rentier della

polis”641; nel quadro invece della sfera allargata alla composizione di tutto il corpo

dei lavoratori, cittadini o non cittadini, accade che proprio “la scansione fondamentale tra liberi e schiavi spinge i liberi poveri a porre le loro rivendicazioni in termini di status e politici […] anziché economici […]. Questo […] lega di fatto i poveri, assai più strettamente di qualsiasi gruppo sociale, alle forme istituzionali della politica”642; infine, anche dal punto di vista della divisione tra cittadini, cittadini

di “seconda classe” e non cittadini, è l'elemento della soggettivazione politica, come si vedrà, il metro di misura, e in grado di determinare la consapevolezza, sia degli

insiders che degli outsiders, che gli status sociali e politici possono subire

un'oscillazione, ma anche una flessione drastica, relativa a un gruppo, sfociando eventualmente in una riarticolazione dello statuto della cittadinanza, o anche relativa a singoli individui, attraverso un “giudizio di meritevolezza” basato su coordinate del tutto avulse dai criteri di produttività e indipendenza dall'approvvigionamento statale.

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