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Medicina, psichiatria, istituzioni religiose e familiari

La figura del medico è al centro della dinamica appena descritta.

Foucault vede in essa il punto in cui si scambiano e si compongono potere giudiziario, psichiatrico e confessionale, una complicità che culmina, con lo sviluppo delle tecnologie disciplinari in Occidente, nella perizia psichiatrica, nell'estorsione della verità finalizzata all'individualizzazione del soggetto.

L'altra faccia, ma complementare alla prima, del sapere/potere medico, quella che emerge dalla svolta biopolitica del governo, di un biopotere esercitato sulla popolazione, si diffonde, in seguito ad un affinamento ulteriore delle tecnologie governamentali, con le campagne di vaccinazione, di prevenzione, basate sulla statistica e finalizzate al suo implemento, in quanto conoscere, tenere sotto controllo la popolazione, misurarne e stimolarne le potenzialità, equivale ad accrescere le forze dello Stato.

Nelle colonie la figura del medico, che, a differenza del giudice e della polizia, non dovrebbe rappresentare, almeno a livello simbolico, direttamente il potere del dominatore bianco, ne diventa di fatto il braccio destro.

Come Fanon riconosce a partire dalla sua stessa esperienza, “il medico si rivela come il più sanguinario e implacabile dei colonizzatori. La sua qualità di medico non è più percepita”249, in quanto, seppure continua a ricevere i malati, curare e

somministare farmaci, gli effetti di verità del discorso medico sono viziati dal collegamento vistoso con le altre diramazioni del congegno coloniale: “Sul piano strettamente tecnico il medico europeo collabora attivamente con le forze coloniali nei loro aspetti più orrendi e più degradanti”250, nel senso che il medico e lo

psicologo usano la conoscenza che hanno del corpo e della mente del colonizzato per metterla al servizio dell'organizzazione delle tattiche militari, mentre “altri medici, addetti ai diversi centri di tortura, intervengono dopo ogni interrogatorio per rimettere in sesto il torturato e rendere possibili nuove torture”251.

Anche quando il medico non è un bianco, la situazione non cambia, in quanto l'algerino, che è un soggetto che pensa che, quando si vede percosso, almeno è chiaro che sta dal lato opposto al bianco, vede nel medico che indossa la maschera bianca il nero traditore, passato dalla parte del nemico.

Al contrario, durante la lotta di liberazione in Algeria, l'atteggiamento del sapere-

249 F.Fanon, Medicina e colonialismo, in Scritti politici, L'anno V della rivoluzione algerina, op. cit., p.116

250 Ivi, p.117 251 Ivi, p.118

potere medico muta radicalmente e le autorità francesi cominciano a vietare la vendita di antibiotici e di prodotti medicinali e farmaceutici, a conferma che, a seconda della situazione da gestire, pare che “il potere di ‘far morire e lasciar vivere’ e quello di ‘far vivere e respingere nella morte’, secondo le formule con le quali Foucault nomina il potere illimitato dell'antico Sovrano e quello caratteristico invece dello Stato moderno, nella colonia non si sarebbero costituiti – come nelle società europee – in opposizione, bensì ricongiunti, come in una temporalità ripiegata su se stessa”252.

Si viene a creare una situazione in cui il medico è confuso con il poliziotto, con il guardiacaccia e col paracadutista, per cui quell'oggettività del discorso medico, che per il colonizzato è sempre l'oggettività scientifica che fonda il discorso sulla razza, viene a cadere, ed il ricorso al medico tende ad essere rifiutato, insieme, in un unico blocco rispetto a tutti gli altri strumenti di potere/sapere che fondano la colonia.

In questo senso bisogna riconoscere che esistono tutte le premesse per parlare, anche nel contesto coloniale, di una medicina che, nell'instaurare un particolare rapporto (non meno che problematico e fonte esso stesso del patologico253) con

l'individuo, dà luogo alla costituzione di un soggetto, oltre che ad una massificazione oggetto del biopotere, perché la scelta di come e se curarsi è anche individuale, come lo è il modo in cui ci si presenta e in cui il corpo risponde al cospetto del medico.

Alla medesima finalità disciplinare sono del resto improntate le attività missionarie delle chiese protestanti e cattoliche che fin dalla prima colonizzazione, quella spagnola e portoghese, spianarono la strada ad un governo omnes et singulatim che in un certo senso presagiva ed esercitava le tecnologie politiche con cui l'Occidente avrebbe a breve organizzato il suo interno.

Foucault pone le colonie all'estremità di un asse che corrisponde ad una perfetta organizzazione dello spazio e dell'ordine delle sue componenti, e che va a comporre un' “eterotopia della compensazione”: le società puritane fondate dagli inglesi in America alla prima ondata colonizzatrice, insieme alle colonie dei gesuiti, rappresentavano la creazione di uno spazio altro, “un altro spazio reale, tanto perfetto, meticoloso e ben sistemato, quanto il nostro è disordinato, mal disposto e caotico. [Lì] la perfezione umana era realizzata [e] l'esistenza umana era regolata

252 R.Beneduce, La tormenta onirica, op. cit., p.41

253 Per una lettura sul rapporto tra normale e patologico - richiamandosi naturalmente G.Canguilhem, Il normale e il patologico, Einaudi, Torino 1998 - si veda G.Campesi, Norma, normatività, normalizzazione. Un itinerario teorico tra Canguilhem e Foucault, in "Sociologia del diritto", n.1, 2008

in ogni suo aspetto”254.

La colonia sarebbe così una versione in miniatura di quel sogno di disciplina e governo perfetti, progressivamente indotti a trarre da sé i meccanismi del proprio funzionamento, che si sarebbero insinuati in Occidente nella forma panoptica dell'ortopedia sociale.

Nelle colonie “la cristianità marcava, con il suo segno fondamentale, lo spazio e la geografia del mondo americano”255: vi si impartiva un insegnamento, anche

nell'ambito di particolari famiglie costituite come una sorta di scuole religiose, attraverso cui “pratiche e discorsi religiosi, pedagogici e sanitari concorsero massicciamente a produrre nuovi soggetti, nuovi corpi, nuovi ordini morali”256,

direttamente legati, secondo la problematica cristiana della “carne”, ad una certa morale del comportamento sessuale, incentrata su una struttura familiare ricalcata naturalmente sul modello occidentale.

Il richiamo, più o meno subliminale che sia, alla struttura familiare occidentale, e prettamente di stampo borghese, porta la stessa psicanalisi ad essere improntata da uno specifico (ed eurocentrico) modello di riferimento.

Difatti, quella psicanalisi che si pretendeva di applicare nel contesto coloniale per capire e curare le nevrosi, si fonda su un paradigma che fa dimenticare a medici ed etnologi che “la nevrosi non è costitutiva della realtà umana”257: paradigma

rintracciabile nel complesso di Edipo.

Da un primo punto di vista, del resto, come osservato, tra gli altri, da Edmond e Marie-Cecile Ortigues, autori dell' “Oedipe africain”, la struttura di parentela di molte società diverse da quella occidentale non è tale da potersi applicare la simbologia del complesso edipico, perché l'autorità investita nella figura simbolica del padre è finalizzata soltanto a costituire una relazione del figlio con gli antenati, mentre sarebbero i fratelli ad assumere il ruolo di rivali258.

Ma il nodo cruciale non è tanto questo.

Né basta, per comprendere il problema riguardante il metodo della psichiatria

254 M.Foucault, Eterotopie, in Archivio Foucault vol.3, op. cit, p.315 255 Ivi, p.316

256 R.Beneduce, La tormenta onirica, op. cit., p.46 257 F.Fanon, Pelle nera maschere bianche, op. cit., p.133

258 Cfr: R.Beneduce, L'ascolto delle differenze, in R.Beneduce - B.Pulmam - É.Roudinesco, Etnopsicoanalisi. Temi e protagonisti di un dialogo incompiuto, a cura di R.Beneduce e É.Roudinesco, Bollati Boringhieri, Torino 2005, pp.11-44, qui p.23-26

Nello stesso volume, Élisabeth Roudinesco riassume la posizione di Fanon, secondo cui “la psicanalisi e il complesso d'Edipo sono incompatibili con la negritudine”.

Per Fanon si tratta di saperi che hanno l'effetto di “psicologizzare la situazione coloniale e di ridurre i conflitti tra l'uomo bianco e l'uomo nero a un gioco sofisticato che mantiene il colonizzato nella dipendenza dal colono”.

Le espressioni citate sono a p.135 del testo sopra richiamato e sono raccolte nel saggio di Roudinesco intitolato “Decolonizzare se stessi. Mannoni”, pp.129-138

coloniale, accogliere la tesi di Malinowski, secondo cui la centralità dell'Edipo, rinviante a una struttura patriarcale che è, secondo Freud, universalmente diffusa, era ampiamente smentita dall'esistenza di società a struttura matrilineare259.

Infatti, in questo stesso tentativo di dissolvere la portata universale del paradigma fondante della psicanalisi occidentale, si farebbe rientrare l'Edipo dalla porta di servizio, potendosi sostenere che nelle società extra-occidentali analizzate avvenga una sorta di spostamento del ruolo dell'Edipo dalla figura del padre a quella dello zio materno: ciò a conferma che l'intuizione freudiana ha il valore di riflettere un aspetto, il tabù dell'incesto, che avrebbe una validità da sostenersi a livello non solo psico-individuale ma già e ancor prima psico-sociale e finalizzata alla possibilità di mantenere la sicurezza di quel minimo di stabilità dell'assetto istituzionale, anche nell'ambito di tribù chiuse, dove l'incesto metterebbe in discussione la ripartizione dei ruoli istituzionali e le norme su “chi decide”, come si rinviene dagli studi sulla comparazione.

Ma il problema rimane comunque irrisolto: il punto è che, negli scambi tra antropologia, psicanalisi ed etnologia, si perde di vista il ruolo determinante della situazione coloniale nel produrre essa stessa uno stato nevrotico nel soggetto, senza che vi sia alcun apparentamento, come adombrato dalla lezione freudiana, tra il bambino e il selvaggio (rispetto ad un ipotetico padre-civilizzatore) che giustificherebbe un atteggiamento ribelle e recalcitrante del colonizzato e che permetterebbe, attraverso gli strumenti psicanalitici occidentali, di inquadrare il suo comportamento nei confronti di chi vuol rendere civile la sua esistenza.

E' in questo senso che Fanon liquida la questione, in realtà completamente gravata dal fardello coloniale, sintetizzando la sua posizione nei confronti della psicanalisi con la seguente annotazione: “[...] né Freud né Adler e neppure il cosmico Jung nel corso delle loro ricerche hanno pensato ai negri. Troppo spesso si dimentica che la nevrosi non è costitutiva della realtà umana. Lo si voglia o no il complesso di Edipo fra i negri non è affatto sul punto di scomparire. […] A parte il fatto che noi potremmo domandarci se gli etnologi, imbevuti del complesso della loro civiltà, non si sono sforzati di ritrovarne la copia presso i popoli da essi studiati, ci sarebbe relativamente facile dimostrare che, nelle Antille francesi, il 97% delle famiglie non possono dare origine a una nevrosi edipica. Incapacità di cui noi ci rallegriamo moltissimo”260.

Quello che si recrimina alla psicanalisi è di portare avanti un discorso fondato su

259 Cfr: B.Malinowski, Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, introduzione di U.Fabietti, trad. di T.Tentori, Bollati Boringhieri, Torino 2013

una struttura familiare che costituisce il riflesso in miniatura, un frammento, della struttura nazionale, e che serve come luogo di preparazione ad una determinata modalità del legame sociale261.

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