Le pratiche di resistenza nel contesto coloniale si producono attraverso una dimensione del potere che non è però esattamente quella descritta da Foucault nel passaggio dall'individualizzazione indotta da un'anatomo-politica del corpo, di un
dressage, ad una massificazione totalizzante investita nella gestione biopolitica del
corpo della popolazione.
Né si può propriamente parlare di un potere che assume le caratteristiche dell'istanza sovrana.
In realtà il problema ha suscitato posizioni diverse e molte di queste sono basate su delle analisi incentrate sul funzionamento di quell'apparato che per primo ha ispirato le ricerche e i perfezionamenti successivi dei lavori di Foucault: la medicina. Megan Vaughan, come si è anticipato, analizzando il sapere e le procedure mediche in colonia, ha mostrato come la nozione foucaultiana del potere individualizzante, descritto nel modo in cui funziona in Europa, non era pienamente applicabile alle pratiche assunte dai discorsi della medicina coloniale africana: gli stati coloniali si fondarono sui soli aspetti repressivi e non anche su quelli produttivi del discorso medico-scientifico.
Dello stesso parere, ma fondandosi su un argomento relativo ad un lavoro di ricostruzione storiografica, è Jenny Sharpe, secondo la quale l'analisi di Foucault che vede nella strategia dell'assoggettamento l'impiego di strumenti sottili e invisibili piuttosto che spettacolari, non è applicabile al contesto coloniale, in cui si verifica il permanere delle strutture al livello della repressione di un potere sovrano- imperiale che Foucault aveva collocato nel passato barbarico dell'Europa.
Sharpe basa la sua tesi su uno studio delle rivolte del 1857 contro gli inglesi in India, in cui la punizione dei ribelli indiani da parte dell'autorità inglese ricordava più il supplizio di Damiens con cui si apriva “Sorvegliare e punire” che non il controllo panoptico della prigione: la repressione era stata infatti rivestita di sembianze rituali e cerimoniali, allo scopo di “scatenare il terrore nell'indigeno ribelle” e di “ridurre i ribelli alla materialità dei loro corpi”237.
E' comunque da notare che un tale carattere repressivo, stando alla lettura foucaultiana, differirebbe dal potere sovrano almeno per un aspetto, quello per cui nella reazione del potere regale “certo, la pena era violenta e solenne. Ma le maglie della rete del sistema penale erano piuttosto larghe, ed era facile sfuggire ad
237 J.Sharpe, Allegories of empire: the figure of woman in the colonial text, University of Minnesota Press, Minneapolis 1993, p.79
esse”238.
Al carattere repressivo del potere coloniale, Vaughan aggiunge un altro dato: gli aspetti repressivi avrebbero oscurato gli aspetti disciplinari, perché il colono non aveva tanto bisogno di costruire un deviante "altro", quanto piuttosto direttamente l' "altro africano", perché “il bisogno di oggettivare e marginalizzare l'Altro in quanto folle o lebbroso era meno urgente in una situazione nella quale ogni individuo era, in un certo senso, già l' ‘Altro’ ”239.
Così, mentre “a dominare fu più la preoccupazione di patologizzare la psicologia normale dell'Africano che definire l'individuo anormale”240, l'individualizzazione
cedeva il posto direttamente, cioè senza che vi fosse il passaggio storico individuato da Foucault, ai meccanismi del governo biopolitico: “Nel discorso medico coloniale e nella pratica delle colonie gli africani erano concepiti, innanzitutto, come membri di
gruppi (generalmente, ma non sempre, in termini etnici), ed erano questi gruppi,
piuttosto che gli individui, a essere considerati come caratterizzati da corpi e psicologie differenti. In contrasto a quanto descritto da Foucault, nell'Africa coloniale la classificazione dei gruppi era di gran lunga una costruzione assai più importante di quanto lo fossero i processi di individualizzazione”241.
Per l'antropologo inglese, nelle colonie sarebbero perciò prevalse, “più che la costruzione di individui (secondo il modello proprio dell'anatomo-politica), le procedure di separazione e classificazione (unitization), attraverso le quali le persone erano contate, censite, misurate per ragioni diverse, dall'esazione di imposte al lavoro forzato alla dislocazione in altri territori […] campagne di vaccinazione, profilassi delle malattie sessualmente trasmissibili, procedure di ‘villagizzazione’ per isolare le riserve umane di Tripanosoma nel controllo della febbre gialla, ecc.”242.
Lo stesso Fanon ha descritto il modo in cui la popolazione autoctona viene percepita come massa indistinta, e come poi, durante il periodo di liberazione, la percezione del colono priva di sfumature rispetto alle individualità indigene comincia sì a
238 M.Foucault, La tortura è la ragione, in Biopolitica e liberalismo, op. cit., pp.93-106, qui p.97 239 M.Vaughan, Curing their ills: Colonial Power and African Illness, Stanford University Press, Stanford 1991, p.10
240 R.Beneduce, La tormenta onirica, op. cit., p.44
241 M.Vaughan, Curing their ills, op. cit., p.12-13, corsivo mio
In questo senso è molto chiaro il trattato di politica coloniale di Tritonj, che, nell'intento di indicare al funzionario la corretta amministrazione della “società negra”, sottolinea l'importanza di tenere in considerazione “il sentimento di collettività insito nel negro” che “determina in lui un senso di lealtà al gruppo”.
Naturalmente, individua il carattere primitivo delle popolazioni indigene nel loro destino ad essere bloccate, se prive della guida del bianco, ad uno stadio in cui “essendo impossibile un progressivo accentuarsi dell'individuo” i componenti della società “non appaiono mai differenziati” e a determina è “l'assorbimento dell'individuo nel gruppo”.
R.Tritonj, Politica indigena africana, op. cit., pp.21-40 242 R.Beneduce, La tormenta onirica, op. cit., pp.44-45
mutare, ma solo e proprio in funzione di realizzare, attraverso l'individualizzazione, dei contatti con le élites243.
Contro questa analisi, Ann Laura Stoler sostiene che Vaughan avrebbe dimenticato che è proprio il XIX secolo, e quindi il periodo cui l'antropologo fa riferimento, ad aver segnato il passaggio ad un regime che predilige, sull'individualizzazione dei soggetti, la regolazione del corpo sociale: il che confermerebbe la possibilità di applicare le analisi foucaultiane al contesto coloniale244.
Alex Butchart, sempre contro Vaughan, sostiene, invece, che l'anatomia del potere descritta da Foucault è utile per guardare a come sono state usate le pratiche mediche coloniali, in particolare in Sud Africa245.
Secondo Butchart e i suoi colleghi della Medical Association of South Africa, le politiche e le pratiche locali dirette al controllo della violenza sono state condizionate da entrambe le modalità di potere indicate da Foucault come potere sovrano e disciplinare: col passaggio dalla forza bruta della sovranità coloniale a una modalità che accentua più il carattere disciplinare del colonialismo, le manifestazioni della violenza dei nativi, intorno al 1890, prima divennero l'oggetto che diede luogo allo sviluppo delle indagini socio-sanitarie, e poi, da allora fino al 1960, sono state intese come argomento di studio per analisi psicodinamiche e etnopsichiatriche.
E' stato inoltre sostenuto da Butchart che i progetti psichiatrici in Sudafrica nel corso del XX secolo facevano parte di una più grande tecnologia politica finalizzata al contenimento o ad un uso strategico della violenza che si manifestava nelle resistenze dirette contro le politiche coloniali e di apartheid.
Una serie di strategie deliberate a partire dal sapere medico sarebbero, perciò, state utilizzate specificamente come una forma di egemonia disciplinare.
In realtà, nel conferire a ciascuna di queste posizioni la propria parte autonoma di validità, c'è un aspetto di fondo che parrebbe essere trascurato, rispetto all'analisi foucaultiana, nei vari punti di vista presi in considerazione.
Infatti, è proprio nel momento in cui in Occidente comincia a delinearsi la frattura che segna il reinvestimento delle pratiche disciplinari nella società del controllo e del biopotere, che nella situazione coloniale, espressione di una temporalità che starebbe sempre in una fase anteriore, la commistione delle tecniche di governo adottate e il modo di apparire del potere mostrano pienamente la validità di una
243 F.Fanon, I dannati della terra, op. cit., p.11
244 A.L.Stoler, Race and the education of desire: Foucault's History of sexuality and the colonial order of things, Duke University Press, Durham-London 1995, nota 39 p.33
245 A.Butchart, The Anatomy of Power: European Constructions of the African Body, Zed Books, London - New York, 1998
delle tesi di fondo di Foucault.
A partire dalle ricerche presentate nel corso “Bisogna difendere la società”, infatti, il filosofo francese indica la soglia della modernità politica nel passaggio dall’antico diritto sovrano di far morire e di lasciar vivere a “un altro diritto nuovo, che non
cancella il primo, ma che lo penetra, lo attraversa, lo modifica, fino a diventare un
diritto, o piuttosto un potere, esattamente opposto: il potere di ‘far’ vivere e di ‘lasciar’ morire”246.
Parimenti anche in seguito, quando si registra una nuova frattura, quella che nel corso della seconda metà del XVIII secolo vede apparire delle tecniche di controllo non tanto del corpo individuale ma del corpo-specie, “si tratta di una tecnologia di potere che non esclude la prima, cioè la tecnica disciplinare vera e propria, ma che
piuttosto la incorpora, la integra, la modifica parzialmente e che, soprattutto, la
utilizza installandosi in qualche modo al suo interno247.
Il punto è ripreso in maniera ancor più chiara quando successivamente, nel corso “Sicurezza, territorio, popolazione”, Foucault rileva quella che emerge come una strategia di potere per così dire implicita, in quanto inerente alla stessa connessione costitutiva tra potere sovrano, disciplinare e biopotere: “gli elementi di questa serie di dispositivi non si succedono dunque gli uni agli altri, quelli che emergono non fanno sparire quelli che li precedono. Non esiste un'età legale, un'età disciplinare un'età della sicurezza. […] Si tratta in realtà di una serie di edifici complessi in cui ciò che cambia, oltre alle stesse tecniche, destinate a perfezionarsi e a divenire sempre più complicate, è soprattutto la dominante o, più esattamente, il sistema di
correlazione tra i meccanismi giuridico-legali, disciplinari e di sicurezza”248.
E' allora proprio la caratteristica variabilità di questo sistema di correlazione che si presta a massimizzare l'efficacia di un'economia del potere che nel contesto coloniale stringe insieme e fluidifica profili repressivi, individualizzanti e produttivi, di classificazione, sorveglianza e controllo.
246 M.Foucault, Bisogna difendere la società, op. cit., p.207, corsivo mio.
Il problema del rapporto tra potere e sovrano e disciplina è ripreso poi ne “La volontà di sapere”, in cui pure “questo formidabile potere di morte […] si presenta ora come un complemento di un potere che si esercita positivamente sulla vita, che comincia a gestirla, a potenziarla, a moltiplicarla, ad esercitare su di essa controlli precisi e regolazioni d'insieme”.
M.Foucault, La volontà di sapere, op. cit., p.121, corsivo mio
247 M.Foucault, Bisogna difendere la società, op. cit, p.208, corsivo mio 248 M.Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, op. cit., p.19