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Frammentazioni e composizioni di classe

La questione della transizione diviene centrale in questo contesto, e va

543 Cfr: K.Sanyal, Ripensare lo sviluppo capitalistico, op. cit, pp.200-208

544 Cfr: A.Ong, Da rifugiati a cittadini. Pratiche di governo nella nuova America, Cortina, Milano 2005

problematizzata entro una prospettiva che riesca ad evitare di continuare a situare le diverse realtà e storie, che la condizione postcoloniale globale presenta, secondo una logica gerarchica tra new entries e old countries, o secondo una separazione netta tra lavoro precario e lavoro migrante.

Questa logica, infatti, produce a sua volta l'effetto di gerarchizzare tra loro le pratiche di lotta contro il dominio del capitale globale, ma non nella misura in cui si situano su diversi livelli di bisogno o di sfruttamento - pur dovendo riconoscersi le peculiarità delle diverse condizioni - bensì in quanto provengono da diverse scale geografiche e quindi da diverse storie del capitale.

In realtà ciò che si vede è proprio che pratiche di autonomia, resistenza e dissidenza riescono ad essere inventate anche (o forse, soprattutto, bisognerebbe riconoscere) in realtà in cui i modelli di governo e l'articolazione tra gli strati sociali sono distanti dai modelli tipici della democrazia di stampo occidentale545.

La questione della transizione rimane tuttavia un punto dibattuto, un nodo non sciolto all'interno del dibattito postcoloniale: ad esempio, pur avendo, come si è detto, posto in rilievo il problema della possibilità in Marx di articolare una composizione di classe a partire dalla contrapposizione cittadino/proletario, lo stesso Chakrabarty, in “Provincializzare l'Europa”, richiama di nuovo una logica che, pur negando la linearità della transizione al capitalismo, la riassume come momento strutturale, anziché di rottura interna.

Ciò è quanto emerge dall'insieme del suo volume, perché se è vero che si ammette che tra storia del capitale (Storia 1) e storie subalterne (Storie 2) c'è un rapporto di interruzione e di riarticolazione provocato dall'eterogeneità delle storie subalterne, questa frattura però è poi rappresentata in quanto prodotta all'interno di una ripetizione continua, per cui anche se “la Storia 2 costituisce un Altro non dialettico della logica necessaria alla Storia 1”, le due restano agganciate, procedono insieme. Inoltre, per descrivere la dimensione altra di “mondeggiare il mondo”, si prendono perlopiù in considerazione elementi connessi ad una “tradizione”, o comunque fattori che non s'intende che affrontino dall'interno il rapporto che il capitale determina, proprio perché in realtà hanno l'unica ed essenziale funzione di sfuggirgli, come s'intende quando si legge che “l'idea stessa di Storia 2 ci spinge a

545 Un esempio lampante si è dato nei processi che hanno segnato la Primavera Araba, in cui si vede in maniera diretta come i percorsi tracciati dall'esperienza politica che i movimenti tunisini ed egiziani - poi diffusi in molte metropoli europee - abbiano giocato un valore di “sfida”, nelle loro peculiarità, contro un immaginario, quello europeo ed eurocentrico, ancora abitato dagli stereotipi che rappresentano il mondo arabo come arretrato e non preparato ad esprimere, figurarsi poi a reclamare, forme di democrazia, peraltro attraverso strumenti come quelli della rete, tradizionalmente tacciati, nella nostra esperienza, di costituire la più grande bio-arma di un capitalismo cognitivo-immateriale detentore di banche di dati e informazioni.

creare narrazioni più affettive dell'appartenenza umana, narrazioni in cui le forme di vita, benché porose l'una nei confronti dell'altra, non appaiano identificabili mediante l'uso di un termine terzo come il lavoro astratto”546.

Lungo questa linea, anche per Mezzadra, appare centrale “il tentativo di cogliere nella transizione un elemento strutturale del modo di produzione capitalistico. Nell’analisi dei postcoloniali emerge l’idea che la transizione non sia qualcosa che possa essere consegnato al passato del capitalismo. Proprio la condizione coloniale mostra invece che la transizione è destinata a ripetersi ogni giorno. Quel problema che è centrale nella transizione del confronto/scontro tra omogeneità del tempo e dello spazio del capitale e l’eterogeneità delle relazioni sociali che il capitale sussume si ripropone continuamente nel funzionamento quotidiano del capitalismo”547.

E ancora “la storia del capitale è continuamente interrotta dal violento riproporsi della sua origine”548, facendo riferimento ad una logica che rende l'accumulazione

originaria come una fase che ripete di continuo il suo processo di espropriazione. Tuttavia, la messa in discussione della logica della transizione in questo senso, ha pochi strumenti per rispondere quando si vede la coesistenza inscindibile, più che contrapposta in maniera netta, tra preistoria del capitale e capitale, in uno stesso tempo, e cioè non lungo una catena di ripetizioni.

Per esempio, quando le economie dei paesi asiatici emergenti sono balzate in avanti, il problema che ha attanagliato il marxismo ortodosso, ma anche il pensiero di qualsiasi abitante di uno dei paesi occidentali sviluppati, è stato e continua ad essere: “perché i modi precapitalistici continuano a esistere in presenza del modo capitalistico? Perché quest'ultimo non si espande, portando alla dissoluzione i modi più antichi nei termini evocati dal processo del materialismo storico?”549.

Più che “preistoria” come fase, allora, sembra più coerente, almeno all'interpretazione che prende forma dall'analisi di Sanyal, “preistorico” come aggettivo che qualifica un insieme di elementi che fanno parte della stessa struttura o razionalità, connotandola in senso immanente e facendo a meno della categoria di transizione, che sembra proiettarsi sempre verso ciò che viene dopo, e non come un quid che sta dentro il processo, pure quando la si interpreta come il momento che può rendere conto dell'interruzione data dall'eterogeneità di forme di vita altre,

546 D.Chakrabarty, Provincializzare l'Europa, op. cit., pp.102-103

547 R.Ciccarelli, Marx dalla Silicon Valley alla favela brasiliana. Intervista a S.Mezzadra, consultabile su http://www.centroriformastato.it/crs/Testi/interviste/Marx/mezzadra.html, (visitato il 12/11/2013), corsivo aggiunto

548 S.Mezzadra, La condizione postcoloniale, op. cit., p.64 549 K.Sanyal, Ripensare lo sviluppo capitalistico, op. cit., p.36

come ha inteso fare anche Chakrabarty.

Allora, seguendo lungo questa pista Sanyal, “se negli studi postcoloniali l'attenzione è incentrata su come la modernità negozia con la tradizione, in realtà ci troviamo di fronte non a un'origine bensì a un prodotto della modernità stessa che è di per sé necessariamente incompleta, poiché è costituita dalla distruzione della tradizione e la contemporanea impossibilità di ricondurre tutto al proprio interno”550.

Al centro è posta una genealogia del capitale che approccia al testo marxiano focalizzandosi su “lo sviluppo del capitalismo […] inteso in termini di trasformazione dei rapporti di classe”551, entro cui il discorso sull'origine è inteso in un senso che

può essere meglio compreso se ricondotto alla peculiarità della critica formulata da Foucault nel saggio “Nietzsche, la genealogia, la storia”: attraverso l'interpretazione nietzscheana dell'origine come pudenda origo, anche l'origine del capitale si rivela in quanto carica di un portato politico irriducibile che, solo partendo dalla questione politica del capitale come relazione sociale, può svelare, attraverso la sua genealogia, un'origine del capitale - in paesi come l'India, in cui con la decolonizzazione si è avviata una fase di pianificazione economica statale - che non è quella della nascita neutrale di una nuova razionalità, votata allo sviluppo in senso lato, ma nient'altro che il riproporsi della logica dell'accumulazione originaria come espropriazione, esclusione e separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione.

E' un'origine che, più che fondare i germi dello sviluppo, mostra che quella razionalità pianificatrice che in India dagli anni Settanta si è vista affidare alle mani di esperti, burocrati e tecnici, possiede una provenienza (Herkunft) peculiare, quella che il discorso neutrale dello sviluppo cela rispetto allo spettro della colonia e a quelle che sono state le modalità del suo superamento.

Eppure non si riduce a questo: è anche un'origine come entrata in scena delle forze, nella declinazione data da Nietzsche dell'origine come emergenza (Entstehung). Infatti, seguendo la genealogia del capitale, vediamo che proprio nel momento in cui la produzione per il mercato è asservita e poi soppiantata dall'accumulazione che inaugura il circuito del capitale, già si creano nuove pratiche e l'invenzione di sub-economie attraverso le quali gli spossessati lasciati fuori da quel circuito devono far in modo di poter (r-)esistere.

Questa economia informale in India è sempre esistita, dice Sanyal, ma è solo

550 M.Brighenti – G.Roggero, Le zone franche dello sviluppo. Intervista a K.Sanyal, “Il Manifesto”, 18 Giugno 2011, consultabile su http://www.dirittiglobali.it/index.php? view=article&catid=17:globalizzazionesviluppo-multinazionali&id=16236:le-zone-franche-dello-sviluppo- &format=pdf&ml=2&mlt=yoo_explorer&tmpl=component (visitato il 12/11/2013), corsivi miei 551 K.Sanyal, Ripensare lo sviluppo capitalistico, op. cit., p.33

quando si scopre che essa può divenire l'altro del capitale nello svolgere il positivo ruolo di assorbimento occupazionale, che improvvisamente viene problematizzata all'interno del discorso della governamentalità votato alla gestione della povertà assoluta.

Il problema è stringere in un unico nodo teorico e materiale due aspetti in modo che possano essere complementari: da un lato queste pratiche informali; dall'altro i modi in cui emergono le soggettivazioni ad esse collegate, ma intese, seguendo Samaddar, come autonomie, come l'altro della governamentalità552, come una sfera

ben più ampia rispetto allo spazio definito dalle “politiche dei governati” di cui parla Chatterjee, ovvero la cornice entro la quale la governamentalità negozia le condizioni dell'esistenza di chi è cittadino di seconda scelta oppure non fa parte della cittadinanza.

L'obbiettivo è, infatti, guardare a tutta quella cangiante – proprio in quanto definita anche dal lavoro che migra - cerchia della popolazione che comprende il complesso della massa che apporta forza-lavoro pur non godendo e disponendo in egual modo della titolarità dei diritti.

Lo scopo è di far emergere la politicità delle lotte che su quelle soggettivazioni si fondano, rendendo però, per fornire loro un substrato comune e antagonista forte, prima visibile il momento politico dentro, contro e oltre un apparato governamentale che tende a neutralizzare il conflitto frazionandolo lungo tutto il corpo sociale mediante la negoziazione delle aspettative; quelle aspettative o pretese che sono direttamente collegate ai diritti di cittadinanza o più ancora ai diritti connessi al lavoro, anche sciolto dallo status di cittadini.

Secondo Sanyal, che guarda al caso indiano per farne un esempio generalizzabile, il punto di partenza sta nel politicizzare l'economia e in particolare il discorso dello sviluppo e la governamentalità che dopo le svolte degli anni Settanta lo ha assorbito: questa non ha fatto che prendere in carico la popolazione formata dalla massa delle vittime dell'accumulazione originaria che si era svolta sotto le sembianze della pianificazione statale e del Welfare State.

Infatti, “per quasi venticinque anni, appena ottenuta l'indipendenza, l'India si era impegnata nella creazione delle condizioni dell'accumulazione originaria; ora si indaffarava nella ridistribuzione di una parte del plusvalore generato nel settore

552 Samaddar spiega che per lui “autonomy indicates the autonomous practices that give birth to the political subject whose existence is in contradistinction to the existence of the governmental realities of this world. […] I am suggesting, therefore, that autonomy is the “Other” of governmentality, it is a stake that marks the existence of the political subject today. […] Autonomous practices in sum, indicate the way society can be reorganized, the dialogic zone that can be created”.

capitalistico”553, ma l'obbiettivo della gestione della povertà assoluta è “non-

capitalistico”.

E' grazie a questa apparente inversione di marcia, che assume la forma di un ordine egemonico complesso a livello non solo statale ma globale, che gli espropriati dal capitale non appaiono come “altri”, in posizione antagonista, ma internati (in un “fuori”) nel circuito del capitale al fine di esserne esclusi, “esclusi dal vero e proprio dominio in cui viene definito lo sfruttamento di classe”554.

La tecnica dell'inclusione escludente fatta propria dalla governamentalità postcoloniale, al fine dell'esercizio dell'egemonia, ha il risultato di operare da una parte una fornitura di fattori produttivi (gli aiuti, il microcredito, ecc...), dall'altra, e in via dissimulata, un prelievo di risorse, in quanto “il lavoratore, dal momento che una parte del suo consumo dei beni di prima necessità è fornito dal settore della sussistenza, è in condizione di lavorare nel settore capitalistico per un saggio salariale inferiore a quello diversamente sufficiente. […] ciò consente al settore capitalistico di usare la forza-lavoro senza dover pagare i costi della sua piena riproduzione”555, per cui qui non vi è tanto e solo la privazione del surplus, ma un

vero e proprio furto, che però sta nell'utilizzo diretto, più che nello sfruttamento, dell'economia del settore precapitalistico, che rende necessario un ripensamento della stessa nozione di capitale autosussistente.

E' la modalità peculiare in cui si esercita la razionalità di quello che Foucault ha descritto come “biopotere”556, che però nel suo esplicarsi, se rende evidente la

frattura rispetto alle modalità prettamente espropriative tipiche dell'accumulazione originaria, tuttavia non si sostituisce a questa, ma la supera inglobandola entro una miscela implosiva di produzione di soggettività e di partage ed esclusione (e di prelievo, come si è appena visto): da un lato si crea il “contadino autosufficiente”, dall'altro questo è già confinato in uno spazio al di fuori del circuito del capitale, in quanto continuerà a produrre per sopperire ad una “economia del bisogno”557.

Allora il discorso sullo sviluppo e la governamentalità ad esso collegata non sono che, rispettivamente, l'atto di violenza del discorso e la modalità depoliticizzata,

553 K.Sanyal, Ripensare lo sviluppo capitalistico, op. cit., p.181 554 Ivi, p.73

555 Ivi, p.41

556 Si è già fatto riferimento, nel capitolo terzo, a proposito della caratterizzazione della razionalità biopolitica nel contesto coloniale, che Foucault ha sempre precisato con forza che il dato peculiare del biopotere sta proprio in quella che si è definita la “caratteristica variabilità di un sistema di un correlazione”, per cui stringere insieme e fluidificare profili repressivi, individualizzanti e produttivi, di classificazione, sorveglianza e controllo, vale a massimizzare l'efficacia dell' economia del potere.

In questo senso, non si configura in Foucault né una linearità teleologica del mutamento storico (com'è noto, si parla di eventi, fratture), né tanto meno una linearità nel succedersi dei dispositivi di potere.

perché delegata ad un apparato tecnico-razionale pacificato che fraziona il conflitto politico-sociale, attraverso i quali il capitale può porre se stesso come autosussistente e, quindi, universale.

La proposta è di porre la finalizzazione di tutta l'economia del non-capitale, ovvero la produzione per il bisogno, alla base di una lotta comune tra lavoratori esclusi dal circuito del capitale, economia informale e lavoratori sfruttati dalla logica dell'accumulazione del surplus apportato da una forza lavoro, perché a Seattle “c'erano anche gli operai delle fabbriche dei paesi sviluppati, che avevano perso o stavano per perdere il loro posto di lavoro a seguito delle delle esternalizzazioni e delle delocalizzazioni”558.

A questi si aggiungono anche tutti quelli che lavorano usando quella peculiare forza-lavoro che è la conoscenza, e per i quali le caratteristiche di fluidità e di appartenenza del prodotto del lavoro, rispetto ad una forma del bios e delle competenze acquisite, hanno una valenza ambigua, per cui essi “hanno una potenza trasformatrice, ma si confrontano con il capitale dall'esterno e non dall'interno”559.

In questo senso Sanyal parla di un' “accumulazione originaria sulla conoscenza. Si dice che gli esclusi siano privi delle competenze necessarie, ma in realtà c'è un continuo deskilling nel processo capitalistico, cioè una costante devalorizzazione e obsolescenza del sapere. La logica è rovesciata: l'esclusione avviene non perché non hai le competenze, ma perché cambia continuamente la definizione dello skill”560.

A definire il processo della produzione delle soggettività continua, così, dal lato del potere, ad essere la logica dell'individuo imprenditore di se stesso, in grado di accumulare e gestire un capitale umano, il proprio sé, tale da poter sopperire anche ai momenti in cui la sua competenza è, in base a mutevoli e contingenti indicatori sociali, inevitabilmente invecchiata, o le sue caratteristiche non corrispondono più a quelle richieste dai profili di professionalità fissati in base ai calcoli della mercificazione che tira di più in un certo periodo.

Tuttavia questo non va visto come un gioco a somma zero, ma il punto di partenza

558 Ivi, p.245

559 M.Brighenti – G.Roggero, Le zone franche dello sviluppo. Intervista a K.Sanyal, op. cit. 560 Ivi.

Come afferma Benedetto Vecchi, “l'affermazione del regime della proprietà privata alla conoscenza, al sapere e la diffusione di forme di lavoro salariato a questi settori possono essere meglio comprese proprio usando l'accumulazione originaria non come momento transitorio ma come suo elemento costante dello sviluppo capitalistico”.

B.Vecchi, L'Oriente è vicino. Un agile viaggio nel futuro del capitalismo, “Il Manifesto”, 8 Settembre 2010, consultabile su http://www.dirittiglobali.it/index.php? view=article&catid=35:libri&id=3899:loriente-e-vicino-un-agile-viaggio-nel-futuro-del-

per lavorare sulle frammentazioni e composizioni di classi che mantengano però il concetto stesso di classe nella tensione costitutiva di una progettualità non determinata una volta per tutte se non dalla base comune del riconoscersi nell'antagonismo rispetto alla norma astratta e accumulatrice del capitale.

Questa interpretazione sembra del resto coerente anche con quanto Marx dice a proposito della distinzione tra classe in sé e classe in sé.

Questo iato è stato sopra richiamato (parlando della rappresentazione dei contadini come “sacco di patate” ne “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte” , del 1852) a proposito della possibilità di vedere una matrice etnicizzante nella considerazione marxiana delle frange dei ribelli come dei personaggi attaccati alla tradizione, quel portato che sarebbe tipico della società civile contrapposto alla razionalità politica della visione statale.

Tuttavia nello stesso testo Marx dice che anche che quei contadini vivono in condizioni economiche di esistenza che differenziano i loro modi di vita, i loro interessi e la loro cultura da quelli di altre classi, ponendoli in funzione antagonistica rispetto ad esse; essi rappresentano una classe per queste caratteristiche e, inoltre, come ha affermato nella precedente “Miseria della filosofia” (1847), per il fatto che la situazione comune crea per i lavoratori “interessi comuni. Così questa massa è già una classe nei confronti del capitale, ma non ancora per se stessa. Nella lotta […] questa massa si riunisce, si costituisce in classe per se stessa. Gli interessi che essa difende diventano interessi di classe. Ma la lotta di classe contro classe è lotta politica”561.

Allora, con questo, se non è possibile “salvare” del tutto, entro questa lettura, lotte anticoloniali come quelle descritte da Guha, che facevano appello agli dei e giocavano la tradizione contro l'oppressione del padrone occidentale 562, è però

possibile vedere nelle attuali frammentazioni, tendenti all'unità attraverso la categoria di economia basata sul bisogno, i punti di innesto di una classe che, perdendo le caratteristiche di violenza e sussunzione interna rispetto alle singolarità che la compongono563, prende corpo direttamente nella lotta, cioè nella pratica, e lì

può trovare la sua composizione, ponendo la necessità di ritracciare e rimappare

561 K.Marx, Miseria della filosofia. Risposta alla “Filosofia della miseria” del signor Proudhon, Editori Riuniti, Roma 1993, p.120, corsivo aggiunto

562 Infatti, nella “Miseria della filosofia” Marx stava facendo riferimento ad una fase dello sviluppo dell'industria che sotto l'avanzata del capitalismo è già cominciata, nel senso che ha già abbattuto quella inciviltà che si rinviene nei paesi soggetti ad uno Stato dispotico.

563 Nell' “Ideologia Tedesca”, Marx nota come la classe possa presentare quell'aspetto, per così dire, di trascendenza che attualmente è palese nella logica dei partiti, quando dice: “ […] la classe acquista a sua volta autonomia di contro agli individui, cosicché questi trovano predestinate le loro condizioni di vita, hanno assegnata dalla classe la loro posizione nella vita e con essa il loro sviluppo personale, e sono sussunti sotto di essa”.

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